A Marino è andata in scena, con Roberto Libera, la storia dei fondamentali ai Castelli Romani: pane, olio, vino

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Non lo sappiamo ma ci nutriamo di storia, una storia talmente antica che è impossibile andare troppo indietro nel tempo, contabilizzare la vertigine del passato. Di assaggi, giusto per avere un’idea di quale eredità portiamo in tavola ogni giorno senza consapevolezza, ne ha proposti Roberto Libera, demoetnoantropologo e direttore del Museo diocesano di Albano nel corso della conferenza dal titolo ‘Pane, vino e olio nelle tradizioni religiose’ che si è svolta sabato 4 gennaio presso la Sala Lepanto di Palazzo Colonna a Marino.

L’evento è stato incastonato all’interno della più ampia programmazione di una ‘Gita ai Castelli alla scoperta del cibo degli dei’, una serie di iniziative ideate e proposte dal Parco regionale dei Castelli Romani, e finanziate dall’Arsial, l’Agenzia Regionale per lo Sviluppo e l’Innovazione dell’Agricoltura del Lazio, per promuovere prodotti tipici del territorio. Il Parco, guidato dal Commissario Straordinario Ivan Boccali e dal Direttore Emanuela Angelone, è stato rappresentanti, nell’occasione, dai guardaparco Sara Nardi ed Emanuele De Lellis.

Centenario della Sagra dell’Uva, tempo di riflessioni culturali

Nel Centenario della Sagra dell’Uva di Marino, il Parco dei Castelli Romani propone per iniziare l’anno ‘pillole’ di sapere che concentrano un solo messaggio: ai preziosi prodotti della terra associati ai Castelli Romani di cui non possiamo né vogliamo fare a meno, sempre si affianca un potente simbolismo che a sua volta rimanda a tradizioni religiose, riti, passaggi di tempo e di stati. Pane, vino, olio, le eccellenze del Vulcano laziale, sono parte della storia umana da sempre.

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La conferenza di Libera si è svolta in maniera informale. Come una chiacchierata tra amici su fatti materiali e immateriali dell’altro ieri appena.

“Ringrazio il comune di Marino per la sensibilità e avermi messo a disposizione i locali. Pane, vino,olio, sono tre prodotti che associamo alla tradizione culinaria, ma c’è ben altro”. Libera ha ampliato gli orizzonti spazio-temporali, ma anche quelli mentali dei presenti, ricordando la svolta nella storia umana avvenuta con l’addomesticamento dei cereali. Prima di quel momento, le popolazioni vivono di caccia e raccolto in piccoli gruppi. Circa 9 mila anni fa, in Medio Oriente si semina una storia nuova e tutto cambia: non solo la popolazione aumenta, ma diventa più longeva grazie anche all’uso del fuoco che neutralizza gli elementi patogeni contenuti nei cibi, a cominciare dalla carne. Innegabile, persino ovvia, l’importanza dell’agricoltura nelle varie civiltà: egizia, greca e romana, ma anche indiana e cinese, omesse dall’elenco dei primatisti per l’etnocentrismo della cultura occidentale.

La segala cornuta, allucinazioni nei secoli

“Cicerone, diventato iniziato ai Misteri Eleusini, ci informa che questa esperienza gli fa passare la paura della morte grazie a delle visioni sacre, ma non dice come. Dalle scoperte degli archeologi, sappiamo che agli iniziati facevano bere una bevanda”, l’avvincente racconto di Libera.

In effetti Cicerone nel mondo latino celebra i Misteri e attribuisce ad essi il merito di aver civilizzato i costumi umani, di avviare alla conoscenza del ‘principio della vita’ e di infondere speranza di una felice sopravvivenza dopo la morte.

Il ciceone, che significa mistura, bevanda eleusina per eccellenza, sarebbe una bibita narcotica. Esperienze che oggi chiameremo di sballo, spiegherebbero tanti capitoli storici.

Tutta colpa o merito dei cereali, specie della segale cornuta, così chiamata dall’aspetto che le conferisce la presenza di un fungo patogeno, la Claviceps purpurea. Il fungo che colpisce in genere le graminacee tra cui la segale per fare il pane, spiega una moltitudine di esperienze estreme dall’antichità ai tempi recenti e fenomeni deplorevoli quali la caccia alle streghe, come a quelle di Salem. Chi si nutre di questo alimento, infatti, può andare incontro a deliri allucinatori ed è perciò visto con sospetto dalla comunità. Molti casi riconducibili al pane fatto con la segale cornuta

Quando il chimico svizzero Albert Hofmann scopre casualmente l’acido lisergico, ‘seduce’ hippies e figli dei fiori. Inizia un’altra storia contraddistinta da allegri rapimenti di massa.

Anche durante la celebrazione dei misteri eleusini i partecipanti ingeriscono l’ergot, nome comune del fungo della segale.

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In tempi recenti, a inizio ‘900 la panificazione psichedelica ad Alicudi provoca un exploit di ‘sciroccati’: gente convinta di volare di notte.

L’antropologo ha fatto poi riferimento al pane, tanto presente nelle tradizioni contadine a cominciare da quella dei Castelli Romani, che nell’interpretazione cristiana diventa elemento di incarnazione: “Ancora da piccolo mi veniva detto: non si butta il pane, c’è Gesù dentro. Pane e vino non sono pane e vino nella religione cristiana. Sono il corpo e il sangue di Gesù. E pazienza se all’inizio c’è un richiamo all’antropofagia, visto che il pane è inteso come carne.

Il vino, da Noè ai monaci

La Bibbia fa risalire a Noè la coltura della vite e la produzione del vino dopo il diluvio. Ubriaco per il troppo vino bevuto, il patriarca si addormenta, completamente nudo e viene deriso dal figlio Cam. Gli archeologi hanno individuato l’arca in Anatolia.

I Romani, più dei greci, sono forti consumatori di vino. Nell’antichità è collegato ai culti dionisiaci, per diventare poi elemento identitario della civiltà romana che ha appreso però tecniche di coltivazione della vite e vinificazione da etruschi, greci, cartaginesi. Le feste orgiastiche del culto orfico-dionisiaco, importate a Roma dalla Magna Grecia dove sono molto popolari durano poco. Già dal 186 a.C. Roma le mette al bando e scioglie le associazioni bacchiche esistenti nell’Urbe e nella Penisola. “Sono i legionari romani a portare la vite dall’Italia in ogni territorio conquistato, quindi anche in Francia”. Insomma la bontà dei vini francesi ha una matrice precisa. Naturalmente non dobbiamo pensare al vino attuale. Si tratta di una bevanda diluita con acqua calda o fredda, mescolata con aceto, resina, miele, aromatizzata, speziata. In prevalenza i Castelli Romani e la Campania forniscono i vini più diffusi. Alla fine della repubblica sono noti e ricercati il Falernum, il Caecubum e l’Albanum.

Roberto Libera Marino

Alla caduta dell’impero romano la coltivazione della vite rischia di scomparire: i monaci salvano vino e anche birra, in seguito introducono come medicina il tabacco proveniente dalle Americhe. “Al di là di Dioniso e Bacco, il vino salvato dai monaci è legato all’eucaristia”.

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Olio, niente più fatture con quello che costa

Anche l’olivo, l’oro liquido, accompagna la storia dell’uomo dagli albori della civiltà ad oggi “L’uso di pressare le olive arriva dal Medio Oriente”. Inizialmente è usato in cerimonie religiose per alimentare lampade nei templi, o per ungere il corpo degli atleti greci e romani. Nella religione cristiana viene da subito utilizzato per vari sacramenti e riti. L’unzione con olio consacrato, o crisma, è ancora pratica centrale in sacramenti come il battesimo, la cresima, l’ordinazione sacerdotale. Poi c’è quella estrema.

Ai Castelli, nella storia l’olio è stato usato anche per sciogliere fatture, un lavoro da strega, magari una contadina che conosce erbe e proprietà, sa curare con piante officinali e tanto basta perché sia guardata con sospetto.

Roberto Libera Marino

Libera ha concluso la conferenza con un aneddoto che è anche nel suo libro ‘Storie Di Streghe, Fantasmi e Lupi Mannari Nei Castelli Romani’. La guarigione da una patologica magrezza dello scrittore Aldo Onorati bambino. La mamma lo porta da una fattucchiera. La prova ripetuta tre volte è incontrovertibile: l’olio non si addensa con l’acqua ma fugge alla periferia del catino, segno evidente che una fattura c’è stata. Seguono provvedimenti. Consuetudini che avrebbero tuttora la loro ragione d’essere ma con quello che costa oggi l’olio, conviene concentrarsi sull’uso culinario.





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