difficile missione a Mar-a-lago di Meloni da Trump

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In una vicenda di ostaggi, essere il terzo lato di un triangolo di cui gli altri due lati sono Usa e Iran è forse la cosa peggiore che può capitare, anche se sei Giorgia Meloni e ti offri come spalla europea di Donald Trump e hai la carta non tanto segreta della «relazione speciale» con Elon Musk, cui – scrive l’agenzia Bloomberg – sei pronta a offrire 1,5 miliardi di euro per progetti legati a sicurezza e tecnologia affidati alle sue aziende.

Da quando esiste, cioè dal 1979, il regime teocratico di Teheran pratica la diplomazia degli ostaggi con gli Stati Uniti, a partire dalla clamorosa presa dei 52 diplomatici dell’ambasciata Usa trattenuti per 442 giorni dal 4 novembre 1979 al 20 gennaio 1981, senza ottenere quanto voluto, la consegna dello Scià deposto Rehza Palhavi, ma innescando un cambio di presidente negli Usa. Il sequestro, infatti, creò i presupposti per la vittoria nelle elezioni del 1980 del repubblicano Ronald Reagan, che estromise il democratico Jimmy Carter.

Dal canto loro, gli Stati Uniti hanno la posizione ufficiale di non negoziare la liberazione di ostaggi, anche se la storia del dopoguerra è fitta di scambi di prigionieri, specie con l’Urss prima e la Russia poi, l’ultimo dei quali il 1° agosto 2024 ha coinvolto fra gli altri il giornalista del Wall Street Journal Evan Gershkovich e il marine divenuto uomo d’affari Paul Whelan. A dicembre del 2022 c’era stato uno scambio di prigionieri per «riportare a casa» la cestista Brittney Griner.

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Nel podcast Riottoso, suo e dei praticanti della scuola di giornalismo della Luiss, Gianni Riotta dice che la diplomazia degli ostaggi si riduce a catturare innocenti per scambiarli con gaglioffi: formula che può anche applicarsi a quanto sta avvenendo tra Iran, Usa e Italia, sempre che i nessi presunti siano tutti veri – non lo sappiamo e, al momento, non abbiamo modo di verificarlo.

Tecnicamente, nella vicenda che coinvolge la giornalista italiana Cecilia Sala e l’ingegnere iraniano Mohammad Abedini Najafabadi, non è corretto parlare di ostaggi. L’ingegnere, in carcere a Opera dal 16 dicembre con l’accusa di collaborazione con il terrorismo, è stato arrestato in esecuzione d’un mandato di cattura internazionale emanato dagli Stati Uniti: un provvedimento giuridicamente legittimo, anche se Abedini non ha violato leggi italiane. E la giornalista, imprigionata a Teheran dal 19 dicembre, è stata arrestata su ordine della magistratura iraniana. Nessuno dei due è stato, quindi, sequestrato illegalmente, anche se le ragioni dell’arresto di Sala ci appaiono al momento fumose e pretestuose.

Nell’ipotesi che l’arresto di Sala sia una conseguenza di quello di Abedini, una sorta di ritorsione e un modo di procurarsi una moneta di scambio, la variante Italia complica il braccio di ferro tra Usa e Iran sulla sorte dell’ingegnere arrestato alla Malpensa e di un suo sodale arrestato a Boston, Mahdi Mohammad Sadeghi, pure lui iraniano, ma naturalizzato cittadino statunitense – la stampa nell’Unione ne parla poco o nulla.

In questo clima, e su questo sfondo, si colloca la trafelata missione della premier italiana Giorgia Meloni dal presidente eletto degli Stati Uniti Donald Trump: 20 ore di viaggio avanti e indietro e quattro incontri, tra convenevoli, affettuosità, colloqui a tutto campo – Sala, ma anche le guerre dall’Ucraina al Medio Oriente e i dazi –, più un docu-film visto insieme sui presunti brogli elettorali di Usa 2020.

Ora, pensare che quattro salamelecchi nei confronti del presidente eletto degli Stati Uniti possano ammorbidirne la posizione sulla richiesta di estradizione di Abedini può rivelarsi illusorio. Ma, certo, l’Italia ha merce di scambio: può proporsi come quinta colonna dell’Amministrazione Trump nell’Unione europea, con un peso maggiore di quello dell’Ungheria dello scodinzolante, ma al fondo irrilevante, premier Victor Orban.

E la visita di Meloni a Mar-a-lago è stata miele per Trump, che si bea che la sua dimora in Florida sia diventata «l’ombelico del Mondo» – parole sue –: a pietire favori o a cercare di sopire rancori, pagando pegno, ci vanno potenti d’America e leader di mezzo pianeta. Prima di Meloni, l’israeliano Benjamin Netanyahu, l’argentino Javier Milei, l’ungherese Orban, pure il canadese Justin Trudeau, che sui social è uno zimbello del magnate.

A Trump, riferiscono fonti di stampa Usa, Meloni ha posto «in modo aggressivo» la questione Sala. E Trump è stato prodigo di elogi per la premier italiana, che ha «investito come una tempesta» l’Europa e che può essergli utile interlocutore europeo. Meloni ha espresso e postato apprezzamenti e ringraziamenti, «Pronti a lavorare insieme».

Ma non risulta che Trump abbia preso impegni sulla vicenda Sala. La diplomazia e la giustizia statunitensi tengono il punto della richiesta di estradizione di Abedini.

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Nel brevissimo termine, il passo di Meloni con Trump potrebbe anche rivelarsi un boomerang. Ancora per due settimane, le decisioni, negli Usa, le prendono Joe Biden e la sua Amministrazione. E proprio Biden sarà in Italia nel fine settimana soprattutto per incontrare Papa Francesco, ma anche per vedere il presidente della Repubblica Sergio Mattarella e la stessa Meloni.

È inevitabile che la missione della premier a Mar-a-lago getti un’ombra sull’incontro con Biden, dopo che, in campagna elettorale, Meloni aveva fatto il pesce in barile: allineata con Biden come capo di governo, specie sull’Ucraina; vicina a Trump come leader di partito.

Può però darsi che il governo italiano dia per scontata la logica dei tempi lunghi nella vicenda Sala e abbia già rinunciato a una soluzione a breve, che appare oggettivamente difficile. Possibili fasi intermedie, tipo una parallela concessione degli arresti domiciliari alla giornalista e all’ingegnere, non hanno teoricamente bisogno dell’avallo di Washington e possono essere discusse direttamente tra Roma e Teheran, anche se si possono immaginare le riserve americane per sviluppi del genere, stante il passato da groviera dell’Italia in storie simili.

Come scrive su Appunti Stefano Feltri, «reagire alla spregiudicata ‘diplomazia degli ostaggi’ usata dal regime dell’Iran si sta rivelando molto difficile». La priorità dell’Italia deve essere la liberazione della giornalista, salvaguardando diritto e giustizia, ma senza privilegiare i giochi della geo-politica e le logiche degli schieramenti.







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