I conti in equilibrio di Stato e famiglie: crisi italiana alle spalle

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Il comunicato stampa Istat sul “Conto trimestrale delle Amministrazioni pubbliche, reddito e risparmio delle famiglie e profitti delle società – III trimestre 2024” non troverà molto spazio sui media italiani, più inclini a cogliere le notizie negative piuttosto che quelle positive riguardanti la nostra economia. Eppure, tale comunicato contiene una manciata di statistiche di non poco conto, che evidenziano il progressivo aggiustamento dei nostri conti pubblici e il miglioramento delle condizioni economiche delle famiglie italiane dopo la sberla dell’inflazione seguita allo scoppio della guerra russo-ucraina.

Primo dato: il bilancio primario delle amministrazioni pubbliche, cioè il bilancio calcolato prima del pagamento degli interessi, è ormai positivo da due trimestri: è stato pari all’1,2% del Pil nel secondo trimestre 2024 e all’1,7% del Pil nel terzo trimestre, dopo il -5% del primo trimestre. Pertanto, nei primi nove mesi del 2024 il bilancio primario ha cumulato un disavanzo complessivo relativamente contenuto, pari al -0,6% del Pil, ormai avviato verso un possibile pareggio alla fine di quest’anno e verso un avanzo consistente nel 2025 e 2026, come previsto dalla stessa Commissione Europea.

La pubblicazione da parte dell’Istat dei dati sul pagamento degli interessi nel terzo trimestre 2024 permette altresì di calcolare con precisione la dinamica del debito pubblico dell’Italia con e senza gli interessi negli ultimi dodici mesi, cioè dal terzo trimestre 2023 al terzo trimestre 2024. I numeri definitivi confermano le nostre prime stime pubblicate su queste colonne poco prima di Natale. Infatti, il debito italiano è cresciuto complessivamente di 111,7 miliardi di euro, 85,4 dei quali dovuti agli interessi. Escludendo questi ultimi, il nostro debito è aumentato in un anno di 26,3 miliardi. Nello stesso periodo, per un confronto, il debito pubblico della Francia è aumentato di 205,7 miliardi, di cui soltanto 56,9 dovuti agli interessi. Sicché il debito francese esclusi gli interessi è cresciuto di ben 148,8 miliardi, cioè di oltre 5 volte e mezza di più di quello italiano.

Secondo dato: in base alle statistiche destagionalizzate, negli ultimi dodici mesi, cioè dal terzo trimestre 2023 al terzo trimestre del 2024, il potere d’acquisto delle famiglie italiane è aumentato tendenzialmente in termini reali del 2,6%: in particolare, esso è cresciuto congiunturalmente soprattutto nel primo trimestre di quest’anno (+1,2% rispetto al quarto trimestre 2023) e nel successivo secondo trimestre (+1,1% sul primo trimestre 2024), mentre il progresso del potere d’acquisto è un po’ rallentato nel terzo trimestre 2024 (+0,4% rispetto al secondo trimestre). Si tratta di dati ragguardevoli, perché dopo l’impennata dell’inflazione segnano una forte ripresa del reddito lordo reale disponibile delle famiglie, cioè del reddito ottenuto utilizzando il deflatore della spesa per consumi finali (valori concatenati con anno di riferimento 2020).

Molti commentatori, di regola, tendono a drammatizzare i confronti storici di lungo periodo, evidenziando il peggioramento tendenziale del debito pubblico italiano e il calo del potere d’acquisto delle famiglie come se entrambi fossero due tendenze ormai immodificabili. Scaricando per di più quasi sempre sugli anni recenti le responsabilità sia della deriva dei conti pubblici sia del deterioramento delle condizioni di vita rispetto a 20-30 anni fa, senza un minimo approfondimento delle cause reali e della dinamica di queste due variabili.
La verità è che il debito pubblico italiano di oggi risulta sicuramente molto più alto in percentuale del Pil rispetto agli anni precedenti la crisi finanziaria mondiale del 2009 ma in realtà esso è praticamente lo stesso di dieci anni fa, nonostante tutto ciò che è avvenuto nel frattempo, dal Covid alla guerra russo-ucraina.

Allo stesso modo, se il potere d’acquisto pro capite delle famiglie consumatrici, calcolato sui dati grezzi degli ultimi quattro trimestri, è ancora oggi, nel terzo trimestre 2024, del 6,8% inferiore a quello del secondo trimestre 2007 precedente lo scoppio della bolla mondiale dei mutui subprime, è altrettanto vero che esso è anche più alto dell’8,3% rispetto al primo trimestre 2014, che segna emblematicamente la fine della cosiddetta “austerità”. Debito e potere d’acquisto non sono cioè condannati inevitabilmente a peggiorare e cambiamenti positivi sono già avvenuti.

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La realtà è che tra il 2008 e il 2014 l’economia italiana ha sperimentato una sorta di “apocalisse” ben peggiore, in termini macroeconomici, di quella della recente pandemia, con, in rapida successione, la crisi mondiale del 2008-2009, la crisi finanziaria e il contagio del debito greco del 2010-2011, nonché il successivo periodo di “austerità” dal 2011 all’inizio del 2014. Da allora, però, è iniziata una lunga “convalescenza” parallela di Stato e consumatori, benché ancora non conclusa. Ma, fortunatamente, da ormai dieci anni, pur con qualche alto e basso, il nostro debito pubblico è tornato relativamente sotto controllo, mentre le condizioni delle famiglie italiane, anche grazie ad una vigorosa ripresa dell’occupazione, stanno migliorando progressivamente.
Insomma: c’è stato un prima e un dopo, ben diversi. Infatti, il debito pubblico italiano, in rapporto al Pil, peggiorò dal 103,5% del 2007 al 134,8% del 2014: un aumento di ben +31,3 punti di PIL, grosso modo equamente distribuiti tra il periodo 2008-2011 e quello successivo di “austerità” dal 2011 al 2014. Mentre nel 2023, dopo aver toccato una punta massima del 154,3% durante il Covid, il nostro debito è tornato al 134,8%, cioè praticamente agli stessi livelli del 2014.

Crisi mondiale dei mutui subrime, Grecia e “austerità” furono allo stesso modo all’origine di un drammatico peggioramento del potere d’acquisto pro capite delle famiglie italiane dal secondo trimestre 2007 al quarto trimestre del 2011, stimabile in un -13,9% in termini reali. Seguì, con i governi Renzi e Gentiloni, un recupero di tale potere d’acquisto del 4,2% fino al primo trimestre 2018; una successiva fase stazionaria con i Governi Conte 1 e 2 fino al quarto trimestre 2019, prima del Covid; poi un sostanziale quasi ritorno ai livelli pre-Covid nel primo trimestre 2021, durante la seconda fase del governo Conte 2; un successivo progresso del 3,8% durante il Governo Draghi fino al terzo trimestre 2022; per arrivare, in conclusione, al terzo trimestre di quest’anno, data alla quale, nonostante l’inflazione (che ne ha determinato un temporaneo calo nel 2022-2023), si registra una ulteriore crescita dello 0,8% del reddito reale disponibile delle famiglie durante l’attuale governo Meloni.

Di fronte a questi dati, dobbiamo forse rimpiangere all’infinito ciò che andò male nell’economia italiana tra il 2007 e il 2014? Guardiamo piuttosto ai successivi progressi e ai prossimi anni. Cercando di mantenere i conti pubblici in ordine e migliorando ulteriormente le condizioni di vita delle famiglie. Non è impossibile, perché non siamo messi male. Il nostro debito/Pil è l’unico nel G-7 ad essere tornato ai livelli pre-Covid.

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Mentre il reddito reale pro capite disponibile italiano, aggiustato con i trasferimenti pubblici, è oggi pari a circa 27.334 euro in parità di potere d’acquisto, praticamente simile a quello della Danimarca, che è a 27.948 euro, e non molto distante dai 28.758 euro di un Paese sempre preso a modello come la Svezia. Inoltre, il nostro reddito è di ben 2.730 euro sopra il reddito pro capite disponibile della sempre lodatissima Spagna, che è pari a 24.613 euro, ed è assai più alto di quelli di Portogallo e Grecia (dati Eurostat riferiti al 2023). Siamo dunque molto più vicini di quanto pensiamo alla Scandinavia che al Mediterraneo, perlomeno sotto questo profilo.





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