Il quesito referendario consultivo regionale sardo sull’ubicazione di impianti di produzione energetica da fonti rinnovabili è inammissibile.

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progetto centrale eolica offshore Sardinia South 2, punto di sbarco del cavidotto sulla spiaggia di Tuerredda (estratto procedura scoping, 2023)

la petizione Si all’energia rinnovabile, no alla speculazione energetica! si firma qui.

L’Ufficio regionale per il referendum, l’organo composto da magistrati che valuta l’ammissibilità delle richieste di referendum consultivo in Sardegna, ha deciso, con deliberazione n. 2 del 19 dicembre 2024 recentemente pubblicata, l’inammissibilità del referendum consultivo regionale sull’ubicazione degli impianti di produzione energetica da fonti rinnovabili.

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Questo il quesito referendario sottoscritto da 19.121 cittadini:

Volete voi che il paesaggio sardo terrestre e marino sia modificato con l’installazione sul terreno ed in mare di impianti industriali eolici e/o fotovoltaici per la produzione di energia elettrica?”

Di seguito la deliberazione dell’Ufficio centrale del referendum, la cui motivazione è estremamente chiara e rilevante per gli aspetti di carattere giuridico che regolano la materia.

Gruppo d’Intervento Giuridico (GrIG)

centrale eolica

UFFICIO REGIONALE PER IL REFERENDUM

DELIBERAZIONE DEL 19 DICEMBRE 2024, N. 2

Oggetto: Richiesta referendum consultivo regionale sul quesito: “Volete voi che il paesaggio sardo terrestre e marino sia modificato con l’installazione sul terreno ed in mare di impianti industriali eolici e/o fotovoltaici per la produzione di energia elettrica?”.

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In data 19 dicembre 2024, presso la Direzione generale della Presidenza della Regione, in Cagliari, viale Trento 69, secondo piano, si è riunito l’Ufficio regionale del referendum, costituito ai sensi della legge regionale 17 maggio 1957, n. 20, con decreto 3 ottobre 2024, n. 121, del Presidente della Regione autonoma della Sardegna, composto dai signori, dott.ssa Silvia Badas Presidente, dott. Federico Loche Componente, dott. Gabriele Serra Componente, dott.ssa Valeria Mistretta Componente, dott. Giovanni Deiana Componente, e con l’assistenza del dott. Matteo Campus, in qualità di Segretario supplente

* * *

L’Ufficio regionale del referendum Vista la legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna), e successive modificazioni; Vista la legge regionale 17 maggio 1957, n. 20 (Norme in materia di referendum popolare regionale), e successive modificazioni;

Vista la nota prot. n. 13014 dell’11 settembre 2024 della Cancelleria della Corte d’appello di Cagliari, con la quale sono stati trasmessi n. 698 fogli contenenti n. 19.221 sottoscrizioni (con relative certificazioni elettorali), relativi alla richiesta di referendum popolare regionale consultivo “Volete voi che il paesaggio sardo terrestre e marino sia modificato con l’installazione sul terreno ed in mare di impianti industriali eolici e/o fotovoltaici per la produzione di energia elettrica?”.

Rileva quanto segue

In via preliminare, ai sensi dell’art. 6 della legge regionale 17 maggio 1957, n. 20, deve esaminarsi la legittimità della richiesta referendaria.

La richiesta di referendum popolare regionale presentata rientra nella tipologia di cui alla lett. f) dell’art. 1 della predetta legge regionale 17 maggio 1957, n. 20, come sostituito dall’art. 3 della legge regionale 15 luglio 1986, n. 48. In base a tale disposizione normativa può essere indetto referendum popolare per “esprimere parere su questioni di particolare interesse sia regionale che locale”.

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La richiesta deve essere considerata illegittima, in quanto la materia su cui verte non può costituire oggetto di referendum consultivo perché, pur non essendo tale tipo di referendum vincolante e non concorrendo a formare la volontà degli organi che lo indicono, esula del tutto dal campo degli atti che potrebbero essere compiuti in futuro dalla Regione (“per quanto sprovvisto di efficacia vincolante – non può non esercitare la sua influenza, di indirizzo e di orientamento, oltre che nei confronti del potere di iniziativa spettante al Consiglio regionale, anche nei confronti delle successive fasi del procedimento di formazione della 1 legge statale, fino a condizionare scelte discrezionali affidate alla esclusiva competenza di organi centrali dello Stato”: Corte Cost., 6 ottobre 1992, n. 470; cfr. anche Corte Cost., 25 giugno 2015, n. 118).

Preliminarmente, giova rammentare che la Repubblica è “una e indivisibile” (art. 5 Cost.), precisandosi che mentre l’indivisibilità impone un limite determinato e tassativo, il carattere dell’unità è un principio elastico dal quale discendono puntuali limiti alle autonomie territoriali, tra i quali vengono in particolare rilievo:

  1. quello dell’interesse nazionale, il quale permane nell’ordinamento italiano nonostante le modifiche apportate all’art. 127 Cost. (che al terzo comma prevedeva il rinvio al Consiglio regionale da parte del Governo della Repubblica di una legge contrastante appunto “con gli interessi nazionali”) dalla L. Cost. 18 ottobre 2001, n. 3: in questa prospettiva, Corte cost., 1° ottobre 2003, n. 303 ha chiarito che “il nuovo art. 117 Cost. distribuisce le competenze legislative in base ad uno schema imperniato sulla enumerazione delle competenze statali; con un rovesciamento completo della previgente tecnica del riparto sono ora affidate alle Regioni, oltre alle funzioni concorrenti, le funzioni legislative residuali. In questo quadro, limitare l’attività unificante dello Stato alle sole materie espressamente attribuitegli in potestà esclusiva o alla determinazione dei principi nelle materie di potestà concorrente, come postulano le ricorrenti, significherebbe bensì circondare le competenze legislative delle Regioni di garanzie ferree, ma vorrebbe anche dire svalutare oltremisura istanze unitarie che pure in assetti costituzionali fortemente pervasi da pluralismo istituzionale giustificano, a determinate condizioni, una deroga alla normale ripartizione di competenze [basti pensare al riguardo alla legislazione concorrente dell’ordinamento costituzionale tedesco (konkurrierende Gesetzgebung) o alla clausola di supremazia nel sistema federale statunitense (Supremacy Clause)]. Anche nel nostro sistema costituzionale sono presenti congegni volti a rendere più flessibile un disegno che, in ambiti nei quali coesistono, intrecciate, attribuzioni e funzioni diverse, rischierebbe di vanificare, per l’ampia articolazione delle competenze, istanze di unificazione presenti nei più svariati contesti di vita, le quali, sul piano dei principi giuridici, trovano sostegno nella proclamazione di unità e indivisibilità della Repubblica”;
  2. quello della funzione statale di indirizzo e coordinamento dell’attività amministrativa delle Regioni, nel senso che “pur in presenza di interessi regionali che radicano nelle Regioni determinate competenze costituzionali, possono essere mediatamente coinvolti interessi di dimensione ultraregionale: si è voluto che questi ultimi siano salvaguardati non già attraverso una diminuzione qualitativa o quantitativa delle attribuzioni regionali ma, più correttamente, indirizzando e coordinandone l’esercizio. In tal modo si delinea […] un sistema coerente col disegno costituzionale, giacché, ferme restando le competenze regionali, il rispetto delle esigenze unitarie è garantito dai principi fondamentali stabiliti nelle leggi dello Stato per quanto riguarda la potestà legislativa, dalla funzione statale di indirizzo e di coordinamento per quanto riguarda la potestà amministrativa” (Corte cost., 24 luglio 1972, n. 138). Giova precisare che detto istituto non è venuto meno a seguito della riforma costituzionale del 2001, trovando costante applicazione giurisprudenziale (v., da ultimo, Cons. Stato, Sez. V, 14 marzo 2024, n. 2496, nella quale viene pacificamente ammesso che l’amministrazione statale possa attribuirsi un potere di indirizzo e coordinamento sul presupposto che in uno specifico settore si incrocino materie attribuite dalla Costituzione alla competenza di diversi livelli di governo, anche regionale, avvertendosi al contempo l’esigenza di una regolamentazione unitaria).

In definitiva, l’autonomia regionale – anche secondo le previsioni di cui agli artt. 114 ss. Cost. e le norme costituzionali che regolano le regioni a statuto speciale – viene assicurata e difesa nell’unitarietà dello Stato.

Ebbene, è in detto contesto che deve essere inquadrato il conflitto tra i due beni giuridici che vengono in rilievo nel quesito referendario oggetto di valutazione, ossia l’ambiente e il paesaggio.

Innanzitutto, occorre chiarire cosa debba intendersi esattamente con i due termini in esame.

In un primo momento, ambiente e paesaggio costituivano un’endiadi: in tal senso, risulta particolarmente significativa Corte cost., 20 febbraio 1995, n. 46, nella quale la Corte, chiamata a pronunciarsi in materia di usi civici, aveva espressamente superato la “visione frammentaria della tutela del paesaggio propria della legge n. 1497 del 1939, in prevalenza diretta alla tutela di singole bellezze naturali isolatamente considerate”, dando atto che “la legge del 1985, invece, ha introdotto “una tutela del paesaggio improntata a integralità e globalità” (sent. n. 151 del 1986), sicché essa è diventata sinonimo di tutela ambientale (cfr. sent. n. 359 del 1985, sent. n. 67 del 1992, sent. n. 269 del 1993). Sotto questo profilo la sovrapposizione fra tutela del paesaggio e tutela dell’ambiente si riflette in uno specifico interesse unitario della comunità nazionale alla conservazione degli usi civici, in quanto e nella misura in cui concorrono a determinare la forma del territorio su cui si esercitano, intesa quale prodotto di “una integrazione tra uomo e ambiente naturale” (art. 1, comma 3, della legge quadro sulle aree protette, 6 dicembre 1991, n. 394)”.

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Tale impostazione era stata peraltro recepita dal D.lgs. 29 ottobre 1999, n. 490 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali), laddove all’art. 138 definiva “beni ambientali”, tra gli altri, quelli “tutelati per legge” menzionati nel successivo art. 146 “in ragione del loro interesse paesaggistico”.

Con l’entrata in vigore del Codice dei beni culturali (che ha abrogato il precedente D.lgs. 490/1999) il concetto di paesaggio è stato poi differenziato – quantomeno a livello di normativa primaria – da quello di ambiente: l’art. 131 del D.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 afferma infatti che “per paesaggio si intende il territorio espressivo di identità, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali, umani e dalle loro interrelazioni”; definizione, peraltro, del tutto coerente con quella presente nella Convenzione europea sul paesaggio del 20 ottobre 2000 (ratificata in Italia con la L. 9 gennaio 2006, n. 14), laddove viene affermato che il paesaggio “designa una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni”.

Per quanto invece riguarda il concetto di ambiente, questo compare per la prima volta nella Costituzione a seguito della riforma del 2001 – accompagnato da quello di “ecosistema” e di “beni culturali” – e la sua tutela viene attribuita alla competenza legislativa esclusiva dello Stato (v. art. 117, comma 2, lett. s, Cost.); tutela che, successivamente, ha poi avuto un riconoscimento costituzionale espresso come principio fondamentale con la L. cost. 11 febbraio 2022, n. 1, che ha aggiunto all’art. 9 Cost. – che fino a quel momento menzionava solo la tutela del “paesaggio” e del “patrimonio storico e artistico della Nazione” – un terzo comma ai sensi del quale la Repubblica “tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. La legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali”.

Pertanto, e senza pretesa di esaustività, può essere affermato che, nell’Ordinamento giuridico italiano, mentre il paesaggio esprime un valore identitario – in quanto è il risultato dell’interrelazione tra fattori naturali e umani –, l’ambiente concerne “la conservazione, la razionale gestione ed il miglioramento delle condizioni naturali (aria, acque, suolo e territorio in tutte le sue componenti), la esistenza e la preservazione dei patrimoni genetici terrestri e marini, di tutte le specie animali e vegetali che in esso vivono allo stato naturale, intesi tutti quali valori che in sostanza la Costituzione prevede e garantisce (artt. 9 e 32 Cost.)” (in questi termini Corte cost., 13 giugno 2024, n. 105)

Deve ora essere evidenziato che i due beni in parola ben possono entrare in conflitto, e ciò in ragione del fatto che entrambi si sostanziano nella medesima dimensione fisica, ossia quella del territorio; nel caso concreto, il conflitto tra ambiente e paesaggio è ancor più evidente, giacché – com’è noto – l’installazione di impianti industriali eolici e/o fotovoltaici per la produzione di energia elettrica, se da un lato consente di preservare l’ambiente, inteso come insieme delle condizioni fisiche e chimiche di esistenza dell’essere vivente, dall’altro impatta sul patrimonio paesistico e culturale.

Giova poi ulteriormente sottolineare che il conflitto in parola è tutto interno all’art. 9 Cost. – il quale, come si è detto, assegna rango di principio fondamentale sia al paesaggio che all’ambiente – e non appare risolvibile assegnando prevalenza all’uno piuttosto che all’altro; i due interessi devono, invero, essere contemperati in una prospettiva di bilanciamento, secondo i criteri indicati da Corte cost., 09 maggio 2013, n. 85 (“tutti i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione si trovano in rapporto di integrazione reciproca e non è possibile pertanto individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri. La tutela deve essere sempre «sistemica e non frazionata in una serie di norme non coordinate ed in potenziale conflitto tra loro» (sentenza n. 264 del 2012). Se così non fosse, si verificherebbe l’illimitata espansione di uno dei diritti, che diverrebbe “tiranno” nei confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette”).

Tutto ciò esclude già di per sé l’ammissibilità di una richiesta referendaria, anche semplicemente consultiva, che intanto presuppone – nella parte in cui fa appunto menzione del “paesaggio sardo” – la sussistenza di una competenza esclusiva sul paesaggio terrestre e marino insistente sul territorio regionale in merito all’installazione di impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili.

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Il paesaggio, infatti, è un bene complesso e, soprattutto, unitario (cfr. art. 9 Cost.) – considerato dalla giurisprudenza costituzionale di valore primario ed assoluto –, la cui tutela costituisce un limite alla tutela degli altri interessi pubblici assegnati alla competenza concorrente delle Regioni (Corte cost., 25 luglio 2022, n. 187).

Nella stessa prospettiva unitaria deve essere inquadrato anche l’ambiente, così come ribadito dalla già citata Corte cost., 13 giugno 2024, n. 105 (“l’ambiente va inteso come bene unitario, comprensivo delle sue specifiche declinazioni rappresentate dalla tutela della biodiversità e degli ecosistemi, ma riconosciuto in via autonoma rispetto al paesaggio e alla salute umana, per quanto ad essi naturalmente connesso; esso vincola così, esplicitamente dopo la riforma costituzionale del 2022, tutte le pubbliche autorità ad attivarsi in vista della sua efficace difesa, a tutela degli interessi delle future generazioni: e dunque di persone ancora non venute ad esistenza, ma nei cui confronti le generazioni attuali hanno un preciso dovere di preservare le condizioni perché esse pure possano godere di un patrimonio ambientale il più possibile integro, e le cui varie matrici restino caratterizzate dalla ricchezza e diversità che lo connotano”).

Per altro verso, la finalità della richiesta referendaria è quella di stabilire una prevalenza tra il paesaggio e l’ambiente, indipendentemente da qualsivoglia bilanciamento tra i detti beni; tuttavia, ciò si pone in evidente e diretto contrasto con quanto affermato dalla più recente giurisprudenza costituzionale, secondo la quale:

1. “secondo un orientamento costante di questa Corte, nella disciplina relativa all’autorizzazione di impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili, le Regioni non possono imporre in via legislativa vincoli generali non previsti dalla disciplina statale. Una normativa regionale, che non rispetti la riserva di procedimento amministrativo e, dunque, non consenta di operare un bilanciamento in concreto degli interessi, strettamente aderente alla specificità dei luoghi, impedisce la migliore valorizzazione di tutti gli interessi pubblici implicati e, di riflesso, viola il principio, conforme alla normativa dell’Unione europea, della massima diffusione degli impianti da fonti di energia rinnovabili (sentenza n. 286 del 2019, in senso analogo, ex multis, sentenze n. 106 del 2020, n. 69 del 2018, n. 13 del 2014 e n. 44 del 2011)” (Corte cost., 30 luglio 2021, n. 177)

2. le Regioni non hanno il potere “di provvedere autonomamente alla individuazione di criteri per il corretto inserimento nel paesaggio degli impianti alimentati da fonti di energia alternativa” (sentenza n. 168 del 2010; in termini simili anche le sentenze n. 106 del 2020, n. 298 del 2013 e n. 308 del 2011), né a fortiori quello di creare preclusioni assolute e aprioristiche che inibiscano ogni accertamento in concreto da effettuare in sede autorizzativa (sentenze n. 106 del 2020 e n. 286 del 2019)” (Corte cost., 13 maggio 2022, n. 121);

3. “l’art. 12 del D.Lgs. n. 387 del 2003 – nel prevedere che l’autorizzazione alla costruzione e all’esercizio di impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili sia rilasciata nell’ambito di un procedimento unico, cui partecipano tutte le amministrazioni interessate, che deve concludersi entro novanta giorni – esprime un principio fondamentale in materia di “produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia”. Esso è “funzionale al raggiungimento degli obiettivi di massima diffusione delle fonti energetiche rinnovabili sancito dalla normativa europea” (sentenza n. 46 del 2021) ed è volto a bilanciare l’esigenza di potenziare le fonti rinnovabili con quella di tutelare il territorio nella dimensione paesaggistica, storico-culturale e della biodiversità (sentenza n. 121 del 2022). Le finalità cui mira la normativa statale, pertanto, non tollerano eccezioni sull’intero territorio nazionale, sicché le regioni non possono sospendere le procedure di autorizzazione, né subordinarle a vincoli o condizioni non previste dalla normativa statale (ex multis, sentenze n. 77 del 2022, n. 177 del 2021, n. 258 del 2020 e n. 177 del 2018): è soltanto nella sede del procedimento unico delineato dall’art. 12 del D.Lgs. n. 387 del 2003, infatti, che “può e deve avvenire la valutazione sincronica degli interessi pubblici coinvolti e meritevoli di tutela, a confronto sia con l’interesse del soggetto privato operatore economico, sia ancora (e non da ultimo) con ulteriori interessi di cui sono titolari singoli cittadini e comunità, e che trovano nei principi costituzionali la loro previsione e tutela. La struttura del procedimento amministrativo, infatti, rende possibili l’emersione di tali interessi, la loro adeguata prospettazione, nonché la pubblicità e la trasparenza della loro valutazione” (sentenze n. 69 del 2018 e n. 177 del 2021; in senso analogo, sentenza n. 177 del 2018, nonché, più in generale, con riferimento alle competenze primarie delle regioni a statuto speciale e delle province autonome, sentenza n. 117 del 2022)” (Corte cost., 27 ottobre 2022, n. 221).

Ciò vale anche per la Regione Sardegna, che pure ha competenza statutariamente riconosciuta in merito alla materia “edilizia ed urbanistica”, ai sensi dell’art. 3 dello Statuto, la quale deve però essere esercitata “in armonia con la Costituzione e i principi dell’ordinamento giuridico della Repubblica e col rispetto degli obblighi internazionali e degli interessi nazionali, nonché delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica”, nonché, ai sensi del successivo art. 4, in materia di “produzione e distribuzione dell’energia elettrica”, nei limiti di quanto previsto dal citato art. 3 dello Statuto e “dei principi stabiliti dalle leggi dello Stato”. Ed infatti, proprio in relazione a fattispecie inerente la realizzazione di impianti ad energia rinnovabile nel territorio della Regione Sardegna, la Corte Costituzionale “ha incluso l’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003 – attuativo della normativa europea in materia di produzione di energia da fonti rinnovabili – tra i princìpi fondamentali della materia, di competenza legislativa concorrente, «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia» (ex plurimis, sentenze n. 192 del 2011, n. 124 del 2010, n. 282 del 2009). Poiché la disciplina relativa alla localizzazione degli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili ricade negli ambiti di diverse competenze legislative, nazionali e regionali, questa Corte ha ulteriormente precisato che «l’armonizzazione profilata nell’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003, tra competenze statali, regionali e provinciali costituisce una modalità di equilibrio rispettosa delle competenze di tutti gli enti coinvolti nella programmazione e nella realizzazione delle fonti energetiche rinnovabili». Ciò sul presupposto che, pur rivolgendosi il d.lgs. n. 387, nella sua interezza, soltanto alle Regioni ordinarie – in base alla “clausola di salvezza” contenuta nell’art. 19 del medesimo decreto – la competenza legislativa delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome «deve tuttavia coesistere con la competenza statale in materia di tutela dell’ambiente e con quella concorrente in materia di energia» (sentenza n. 275 del 2011). (…) Peraltro questa Corte ha già affermato in modo esplicito che, pur non trascurandosi la rilevanza rivestita, in relazione agli impianti di energia eolica, dalla tutela dell’ambiente e del paesaggio, anche le Regioni a statuto speciale sono tenute al rispetto dei princìpi fondamentali in materia di “energia” dettati dal legislatore statale (sentenza n. 168 del 2010)” (Corte Cost., 11 ottobre 2012, n. 224).

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Per le ragioni che precedono, letto l’art. 6, comma 7, della L.R. 17 maggio 1957, n. 20 e successive modifiche ed integrazioni.

L’UFFICIO REGIONALE PER IL REFERENDUM

DICHIARA

la richiesta referendaria illegittima e il referendum consultivo inammissibile. Dispone che la presente deliberazione venga pubblicata entro 15 giorni sul Bollettino Ufficiale della Regione Sardegna.

centrale fotovoltaica

(foto da mailing list ambientalista, S.D., archivio GrIG)



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