Il sistema scolastico nazionale e la prospettiva dell’autonomia differenziata

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ALFONSO RUBINACCI

Autonomia differenziata: un dibattito infinito e un percorso complesso

Il tema dell’autonomia differenziata, nella XIX legislatura, è tornato all’attenzione del Governo, generando un forte contrasto sia per questioni di merito che di metodo. La logica della geometria variabile è l’asse portante dell’iniziativa del Governo, oggi legge della Repubblica. Proviamo a ragionare su quali potrebbero essere gli sviluppi.

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La legge 26 giugno 2024, n. 86, entrata in vigore il 13 luglio 2024, concernente l’attribuzione alle Regioni a statuto ordinario di ulteriori forme e condizioni di autonomia differenziata, ai sensi dell’art. 116, terzo comma della Costituzione, disciplina l’esercizio procedurale che le Regioni, interessate ad acquisire una competenza legislativa potenziata, dovranno mettere in campo per perfezionare le Intese con il Governo, da approvarsi a cura del Parlamento a maggioranza assoluta.

L’autonomia differenziata consente alle Regioni di chiedere maggiori poteri legislativi su 23 materie. In sintesi, si tratta di tutte le funzioni pubbliche oggi statali, ad eccezione delle pensioni e di servizi, con forte esternabilità territoriali, come la difesa e l’ordine pubblico.

Delle 23 materie regionalizzabili previste dal testo costituzionale riformato nel 2001, la legge 86/2024 ne ha riconosciute 14, subordinatamente alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP), da determinarsi entro due anni dall’entrata in vigore della legge, riservando loro un regime di massima tutela. Le norme generali sull’istruzione e sulla formazione sono comprese tra quelle a maggior tutela. La prospettiva attuativa più immediata è quella del trasferimento delle 9 materie classificate non LEP, la cui devoluzione di competenze richiede senz’altro scelte ponderate anche se si tratta prevalentemente di funzioni regolatorie, la cui regionalizzazione comporterebbe trasferimenti di risorse limitate. Queste maggiori competenze, essendo funzioni aggiuntive e non sostitutive di quelle statali, vanno finanziate con risorse proprie delle Regioni.

I principi e le finalità che ispirano l’intervento legislativo di iniziativa governativa possono essere così sintetizzati:

  • rispetto dell’unità nazionale e del fine di rimuovere discriminazioni e disparità di accesso ai servizi essenziali sul territorio;
  • rispetto dei principi di unità giuridica ed economica, di coesione economica, sociale e territoriale nonché dei principi di indivisibilità e autonomia;
  • attuazione del principio di decentramento amministrativo;
  • attribuzione di funzioni relative alle ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, con riguardo a materie e ambiti di materie riferibili ai diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, e nel rispetto dei principi sanciti dall’art. 119 della Costituzione.

La legge configura tre tipologie differenti di autonomia differenziata:

  • quella delle Regioni che la chiedono e la ottengono;
  • quella delle Regioni a statuto speciale;
  • quella della legislazione concorrente prevista dall’art. 117, terzo comma, della Costituzione.

Molti temono che l’attuazione, da parte del Governo, dell’autonomia “differenziata” nel settore dell’istruzione comporti diversità fra le scuole della Penisola e quindi metta a rischio l’identità nazionale. Un’attenta analisi del sistema formativo italiano evidenzia comunque che la “diversità” fra le scuole del Nord e quelle del Mezzogiorno esiste già, nonostante il fatto che tutte le istituzioni scolastiche del Paese dipendano dalla stessa amministrazione, siano governate dalla medesima disciplina legislativa e regolamentare, godano della stessa autonomia gestionale, utilizzino docenti appartenenti ad organici nazionali, rappresentati da una pluralità di associazioni sindacali che operano sull’intero territorio del Paese.

La preoccupazione diffusa nasce dalla possibile ricaduta negativa dell’autonomia differenziata che comporterebbe una frammentazione della disciplina normativa propria di un regionalismo competitivo, con possibili conseguenze in termini di incertezza del diritto.

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Per oltre 20 anni i decisori politici non hanno assunto le decisioni politiche e amministrative necessarie per una corretta attuazione, in primo luogo, della riconfigurazione dei rapporti tra Stato e Regioni prevista dalla riforma del Titolo V, parte seconda, della Costituzione che avrebbe determinato, certamente, le condizioni per una ordinata attuazione dell’autonomia, prevista dalla riforma costituzionale del 2001.

Principi e criteri direttivi della legge

Il comma 1, dell’art 3, della legge n. 86, delinea la procedura per la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni da adottare entro 24 mesi dalla data di entrata in vigore del provvedimento legislativo, sulla base dei principi e criteri direttivi stabiliti dall’art 1, commi da 791 1 801- bis della legge 29 dicembre 2022, n. 197 (Legge di bilancio 2023). A tal fine la legge di bilancio 2023 ha istituito una cabina di regia per la determinazione dei Lep, stabilendo compiti, obiettivi e tempistiche.

Il comma 3 dello stesso art. 3 specifica quali sono, tra le materie di cui all’art. 116, terzo comma della Costituzione, quelle in riferimento alle quali i predetti decreti legislativi provvederanno alla determinazione delle procedure e delle modalità operative per il monitoraggio dell’effettiva garanzia nell’erogazione dei livelli essenziali.

L’art. 4, comma 1, prevede che al trasferimento delle funzioni riguardanti materie e ambiti di materie riferite ai Lep, si può procedere solo dopo la determinazione dei LEP, dei relativi costi e fabbisogni standard nei limiti delle risorse rese disponibili nella legge di bilancio.

L’art 6, comma 1, dispone che le funzioni amministrative trasferite alla Regione possono essere assegnate alla Regione, in attuazione dell’art. 116, terzo comma della Costituzione, contestualmente alle relative risorse umane, strumentali e finanziarie a Comuni, Province e Città metropolitane, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza.

L’art 7 prevede che l’intesa è valida al massimo per un decennio e che l’intesa, con le stesse modalità previste per la sottoscrizione, può essere modificata su iniziativa dello Stato e delle Regioni, sulla base di atti d’indirizzo adottati dalle Camere.

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L’art 9 dispone che dall’applicazione di ciascuna intesa tra Stato e Regione non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico delle finanze pubbliche. Il finanziamento dei LEP è disposto nel rispetto delle norme vigenti in materia di copertura finanziaria delle leggi e degli equilibri di bilancio.

Costruzione dei LEP e quadro dei diritti civili e sociali: un percorso non facile e non breve

L’art. 1 della legge 29 dicembre 2022, n. 197, prevede che “… l’attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia di cui all’art. 116, terzo comma, della Costituzione è consentita subordinatamente alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni relative a materie o ambiti di materie riferibili”.

L’attività istruttoria è affidata ad una Cabina di regia, presieduta dal Ministro per gli affari regionali e le autonomie, alla quale è affidato il compito di elaborare e trasmettere all’organo decisorio le ipotesi tecniche inerenti alla determinazione dei costi e fabbisogni standard nelle materie di cui all’art. 116, terzo comma della Costituzione.

Il Comitato tecnico scientifico, istituito con decreto del Presidente del Consiglio, del 23 marzo 2023, con funzioni istruttorie per l’individuazione dei LEP, è incaricato di fornire supporto alla Cabina di regia, con particolare riferimento alle esigenze di studi e approfondimenti tecnici delle complesse questioni rilevanti ai fini delle funzioni attribuite allo stesso nell’ambito della determinazione dei LEP. I LEP vanno costruiti in stretta correlazione alla tutela dei diritti civili e sociali e non concepiti come obiettivi a lungo termine delle mpolitiche pubbliche regionali stabiliti dallo Stato. Essi non consistono solo in misure di tipo organizzativo, in target di offerta di servizi regionali, realizzabili in un futuro non determinato.

La loro funzione costituzionale è garantire in base ai principi di autonomia, solidarietà e uguaglianza una tutela uniforme dei diritti, civili e sociali su tutto il territorio nazionale. 

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La riforma costituzionale del Titolo V del 2001 incide non sui principi che regolano il servizio dell’istruzione, ma sull’assetto che lo riguarda, con un nuovo riparto delle competenze tra Stato, Regioni ed autonomie territoriali. Lo Stato ha la competenza esclusiva in tema di [] norme generali sull’istruzione” e sulla “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale” (art.117, secondo comma lettera m) e n). È riconosciuta, inoltre, allo Stato la competenza in tema di determinazione dei principi fondamentali nelle materie di legislazione concorrente (art.117, terzo comma).

Alle Regioni è riconosciuta la potestà legislativa esclusiva sull’istruzione e sulla formazione professionale (art.117, terzo comma), nonché la potestà legislativa concorrente sull’istruzione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche, che è esercitata nel rispetto dei principi fondamentali fissati dallo Stato.

L’assetto delinea un sistema educativo unitario nel quale:

  • lo Stato detta le norme generali, tutela e garantisce i livelli delle prestazioni, definisce i principi fondamentali;
  • le Regioni, nel quadro di principi fondamentali stabiliti dallo Stato, disciplinano le funzioni di organizzazione e di amministrazione di carattere generale, definendo le linee programmatiche di sviluppo dei servizi;
  • le autonomie locali sono competenti per la gestione dei servizi;
  • le istituzioni scolastiche hanno piena autonomia funzionale.

È stata una grave mancanza politica non aver dato attuazione al dettato costituzionale del Titolo V. Questo, infatti, non ha favorito lo sviluppo dell’istanza sociale che era stata introdotta nella scuola dagli organi collegiali. Nel titolo V si parlava di norme generali sull’istruzione, da attribuire ad uno Stato che doveva abbandonare l’aspetto gestionale, e di LEP che il sistema scolastico pubblico doveva assicurare a tutti i cittadini, lasciando alla realtà territoriali il compito di interpretare le esigenze locali e di fornire adeguate risposte, in vista del raggiungimento dei risultati (livelli e standard) richiesti a livello nazionale.

Possibili contenuti di autonomia differenziata per il sistema formativo

Con l’autonomia differenziata l’istruzione e dunque la scuola necessitano un’attenzione particolare, maggiore di quella da riservare alle altre materie in quanto sistema di garanzia dei diritti della persona, intesa nella sua globalità. Questo chiama in causa la necessità di mettere in campo un preventivo lavoro di approfondimento, di analisi, strutturato e sistematico delle questioni complesse dal punto di vista istituzionale, di individuazione di una metodologia di lavoro efficiente ed efficace e di opportune forme di comunicazione e di collegamento.

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La materia istruzione in quanto legata ai diritti sociali e civili garantiti su tutto il territorio nazionale è subordinata alla determinazione dei LEP. Il riconoscimento di una maggiore autonomia avverrà dopo la loro determinazione con l’attribuzione della relativa copertura finanziaria, necessaria per l’assegnazione delle funzioni.

In linea di massima alle Regioni potrebbe essere attribuita:

  • la programmazione regionale dell’offerta di istruzione e la definizione dell’organico nel limite dell’organico definito dallo Stato. Alla regione potrebbe essere riconosciuto il potere di aumentare la dotazione organica con contratti a tempo determinato, finanziati con fondi regionali;
  • la competenza legislativa per l’integrazione tra istruzione professionale e istruzione e istruzione e formazione professionale;
  • l’organizzazione degli ITS e il raccordo tra questi e gli altri sistemi formativi;
  • la costituzione di un fondo per l’edilizia nel quale far confluire i fondi statali per l’adeguamento sismico delle strutture, per i laboratori, e gli spazi per la didattica.

Quattro sono i soggetti implicati: lo Stato, le Regioni, le autonomie locali e le istituzioni scolastiche. In questo quadro potrebbero rientrare la definizione, i limiti e contenuti dell’autonomia delle istituzioni scolastiche, gli ordinamenti scolastici, i curricula dei cicli, i programmi di studio, la carriera degli studenti, i criteri per l’organizzazione generale dell’istruzione scolastica, la valutazione del sistema d’istruzione, i criteri di selezione e di reclutamento del personale dirigente, docente e ATA, la formazione iniziale e continua dei docenti, i diritti e gli obblighi delle scuole non statali e paritarie, i criteri di coordinamento informativo, statistico e informatico delle banche dati delle Amministrazioni statale, regionale e locale.

Nell’autonomia differenziata potrebbero rientrare inoltre, la definizione degli ambiti relativi alla libertà di accesso all’istruzione e alla formazione, ai requisiti minimi per il funzionamento degli istituti scolastici, ai criteri per la costituzione di organismi di partecipazione territoriale a livello scolastico.

La questione fondamentale, dunque, è la definizione dei LEP, soprattutto per quel che riguarda il primo ciclo di istruzione. Tali livelli forniranno garanzie ai cittadini ed avranno bisogno di più risorse di quelle che vengono erogate attualmente per i diversi servizi, anche nelle Regioni che hanno scarsa capacità fiscale. Per il secondo ciclo l’attenzione va posta sull’istruzione tecnica e professionale, come richiesto dal PNRR ed in relazione alla riforma di recente approvata dal Parlamento.

Qui i LEP sono già indicati dagli EQF (competenze necessarie per le qualifiche professionali europee) che insieme alle competenze di cittadinanza daranno la possibilità al nostro sistema di confrontarsi e collaborare con gli altri in Europa.

L’area dell’istruzione tecnica e professionale potrebbe essere scelta da tutte le Regioni che chiedono maggiore autonomia anche per tentare un raccordo tra gli istituti statali e i centri di formazione professionale regionale. Il titolo V aveva ipotizzato un nuovo contenitore denominato istruzione e formazione professionale, auspicando forse il passaggio degli istituti statali alle Regioni, cosa che non avvenne per ragioni di tutela del personale, ma che oggi vede un contorsionismo normativo per cercare intese e favorire i passaggi tra i due sistemi.

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Una più specifica visione dell’istruzione tecnica e professionale sul proprio territorio potrebbe migliorare il rapporto domanda-offerta di formazione in relazione al mondo aziendale, una maggiore flessibilità dei curricoli per essere in grado di interpretare da un lato la realtà produttiva del territorio e dall’altro il cambiamento culturale e tecnologico in atto, l’acquisizione di personale docente proveniente dalle imprese e tirocini che arricchiscono gli ambienti di apprendimento. Certo obiettivi difficili da raggiungere quanto ad orari, materie e classi di concorso, e vedremo se l’impresa sperimentale del ministro (4+2), che tra l’altro è impegnata sul fronte dell’integrazione tra le due realtà, statale e regionale, andrà a buon fine o sarà fortemente ostacolata come accaduto con l’organico di potenziamento individuato dai dirigenti scolastici. Alla fine, non si tratta solo di non accentuare le discriminazioni e i disequilibri (tra ricchi e poveri, tra nord e sud), ma di impegnarsi affinché vi sia crescita economica nel Paese e affinché i LEP servano ad aumentare il valore di funzioni e servizi da assicurare ai cittadini; a migliorare l’iniziativa dei territori e quindi ad arricchire il sistema Paese nel suo complesso.

(Testo riportato in Rassegna CNOS, 3/2024)

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