Palestina, la sete di Gaza

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L’OMS stima in 120 litri il consumo idrico minimo pro capite quotidiano. Secondo l’Istat ogni italiano utilizza circa 215 litri d’acqua al giorno.I palestinesi possono contare su meno di 90 litri d’acqua a testa al giorno. E dal 9 ottobre 2023 la situazione si è fatta ancora più critica.

La condivisione delle fonti idriche tra Palestina e Israele è da sempre stato terreno di scontro. Gli Accordi di Oslo I e II avrebbero dovuto definire un quadro regolatorio che consentisse ai due popoli di trovare i necessari approvvigionamenti a prezzi equi. Non è stato così.

Di tutto questo ne abbiamo parlato con l’Ambasciatrice di Palestina in Italia, Abeer Odeh.

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Quali sono le condizioni di accesso all’acqua potabile, ma anche per gli impieghi agricoli, per la popolazione palestinese?

L’accesso dei palestinesi all’acqua rappresenta da decenni uno dei diritti fondamentali calpestati dall’occupazione israeliana della nostra terra. Come risultato della guerra del 1967, Israele ha preso il controllo del fiume Giordano e di tutte le principali falde acquifere di acqua dolce. L’obiettivo strategico era di assicurarsi il controllo di una quantità d’acqua sufficiente a garantire la sostenibilità a lungo termine dello Stato israeliano in una regione dove l’acqua scarseggia. L’obiettivo politico era di privare i palestinesi dei loro diritti idrici condivisi, danneggiando il loro benessere economico e sociale complessivo. Di conseguenza, l’accesso all’acqua potabile sicura per i palestinesi è gravemente limitato, con Israele che controlla oltre l’85% delle risorse idriche in Cisgiordania, dove il consumo medio di acqua è di 83 litri al giorno, ben al di sotto del minimo globale consigliato di 120. La domanda di acqua in Palestina sta aumentando principalmente a causa della crescita della popolazione, attualmente stimata in 5,6 milioni, ma che si prevede aumenti a 7,2 milioni entro il 2030. Parliamo di limitazioni che non riguardano solo l’acqua potabile, ma anche la disponibilità di acqua per scopi agricoli, mettendo ulteriormente a dura prova i mezzi di sostentamento degli agricoltori palestinesi. A Gaza, in particolare, la situazione idrica è particolarmente critica a causa di diversi fattori interconnessi. L’acquifero costiero, la principale fonte d’acqua di Gaza, è sfruttato in modo eccessivo, con tassi di estrazione quasi quattro volte superiori alla ricarica naturale che portano a un grave calo della falda acquifera e all’intrusione di acqua di mare: circa il 97% dell’acquifero costiero è diventato inadatto al consumo a causa della contaminazione da acqua di mare. La situazione è ulteriormente aggravata dall’aggressione in corso contro la Striscia, dove gli sforzi per salvare Gaza costruendo impianti di desalinizzazione e impianti centralizzati per il trattamento delle acque reflue, insieme alle infrastrutture associate, sono stati interrotti e il lavoro fatto sin qui è andato distrutto.

Israele e la Cisgiordania condividono le fonti d’acqua della falda acquifera montana e il bacino del fiume Giordano. Come si è sviluppata questa convivenza?

Nel 1995, come parte degli Accordi di Oslo, l’OLP firmò un Accordo Provvisorio con Israele. L’Allegato III, Articolo 40 di quell’Accordo, affrontava le questioni idriche, assegnando risorse idriche per un periodo di cinque anni, al termine del quale la questione idrica doveva essere risolta nell’ambito di un accordo tra le due parti sullo status permanente. Da quel momento, i palestinesi non hanno potuto accedere alle quantità di acqua concordate, a causa delle restrizioni israeliane imposte dal Comitato Congiunto per l’Acqua e dall’Amministrazione Civile Israeliana. Queste restrizioni impediscono ai palestinesi di scavare nuovi pozzi nelle falde acquifere settentrionali, occidentali e orientali, e li costringono ad acquistare acqua aggiuntiva dalla compagnia idrica israeliana Mekorot, nella quantità e ai prezzi dettati esclusivamente dalla parte israeliana. Queste pratiche sono evidenti tentativi di promuovere gli obiettivi politici israeliani.

É cambiato qualcosa dopo gli Accordi di Oslo II del 1995? E dopo la costruzione del muro di separazione?

Dopo quasi tre decenni dall’Accordo Provvisorio, la disponibilità di acqua per i palestinesi non è migliorata, mentre la popolazione palestinese è raddoppiata. Nel frattempo, Israele ha continuato a impedire la costruzione e la manutenzione delle infrastrutture idriche nel 64% della Cisgiordania, classificata come Area C. Ciò si ottiene principalmente attraverso il rifiuto sistematico di permessi per la costruzione o la riabilitazione di infrastrutture idriche che servirebbero le comunità palestinesi. Invece, i coloni israeliani non sono tenuti a ottenere tali permessi e Israele continua a costruire infrastrutture all’interno delle aree palestinesi per collegare i loro insediamenti illegali, isolando di fatto le comunità palestinesi dalle infrastrutture idriche.

Inoltre, Israele ha bloccato la costruzione di impianti di trattamento delle acque reflue, le trivellazioni di pozzi profondi e lo sviluppo di condotte idriche nazionali tra i governatorati palestinesi. La costruzione del Muro dell’Apartheid ha ulteriormente limitato l’accesso palestinese all’acqua, in particolare bloccando fisicamente l’accesso a determinati pozzi e falde acquifere, e isolando le comunità palestinesi dalle infrastrutture idriche. L’attuale sistema israeliano di controllo delle acque, esemplificato dall’annessione illegale della Valle del Giordano, evidenzia i cambiamenti e le sfide emerse dopo l’accordo di Oslo II.

Cosa vuol dire, per la popolazione palestinese, dover ricevere e acquistare acqua da Mekorot?

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Per la popolazione palestinese questo ha implicazioni significative. La carenza idrica causata dalle politiche discriminatorie israeliane costringe il governo palestinese ad acquistare circa 85 milioni di metri cubi di acqua all’anno, che rappresentano circa il 56% dell’acqua disponibile per tutti gli usi, eccetto l’agricoltura. Israele stabilisce i prezzi dell’acqua, con tariffe molto elevate rispetto al reddito medio delle famiglie palestinesi, per cui l’acqua sarebbe più accessibile se i loro diritti naturali alle risorse idriche locali fossero rispettati. Di conseguenza, il governo palestinese interviene sui prezzi per sostenere i suoi cittadini e aiutarli a rimanere saldi sulla loro terra. Per i palestinesi, l’acquisto di acqua da Mekorot sottolinea la loro dipendenza da risorse idriche controllate da Israele. Politicamente, questa situazione perpetua la dipendenza economica dei palestinesi e diminuisce la loro autonomia su una risorsa cruciale, con gravi implicazioni per la sovranità e lo sviluppo della Palestina.

Particolarmente critiche sono le condizioni della popolazione della Striscia di Gaza che ha accesso alla falda acquifera costiera, acqua che per il 95% non è utilizzabile. Un report del 2008 della Banca Mondiale ha evidenziato queste gravissime difficoltà. Cosa è cambiato da allora?

Per diversi anni – prima della recente aggressione nell’ottobre 2023 – allo scopo di evitare la catastrofe che minacciava di trasformare la Striscia di Gaza in un’area non vivibile, l’Autorità Palestinese dell’Acqua (PWA) ha portato avanti un piano di emergenza con l’obiettivo di salvare la falda acquifera, fornire fonti alternative di acqua, e proteggere la salute e l’ambiente.  Parallelamente, dopo il successo della Conferenza dei Donatori ospitata a Bruxelles nel 2018 nell’assicurare i fondi necessari (circa 700 milioni di dollari), la PWA ha intrapreso la realizzazione del Programma Centrale di Desalinizzazione di Gaza. Contestualmente, si sviluppava il progetto per migliorare la ricarica delle falde acquifere e mitigare l’intrusione salina attraverso la costruzione di impianti per il trattamento delle acque reflue e per la desalinizzazione. Gli investimenti totali nei progetti idrici o relativi ad acque reflue ammontavano a circa 1 miliardo di dollari. Tuttavia, tutti questi progetti si sono scontrati con questioni legate all’elettricità, alle chiusure e alla sicurezza imposte da Israele. Le organizzazioni internazionali hanno svolto un ruolo importante, fornendo sostegno finanziario a questi progetti, che miravano a migliorare l’accesso immediato all’acqua pulita e a costruire una resilienza infrastrutturale a lungo termine. Nonostante questi sforzi, il recente conflitto ha avuto un impatto devastante su queste iniziative, sottolineando l’urgenza di un rinnovato sostegno e di un intervento per affrontare il peggioramento delle condizioni ripristinando i servizi idrici essenziali.

Com’è cambiato l’accesso all’acqua da parte della popolazione palestinese dopo il 9 ottobre? Ci sono aree del Paese più in difficoltà di altre?

L’accesso all’acqua è notevolmente peggiorato, soprattutto a Gaza. Qui, dal 9 ottobre, la situazione è diventata disperata a causa della grave diminuzione di acqua pulita, la cui disponibilità, in alcune aree, è scesa a soli 5 litri al giorno per persona. Questo forte calo è attribuibile alla chiusura delle risorse idriche da parte di Israele, alle interruzioni dell’elettricità che hanno bloccato il funzionamento degli impianti idrici – tra cui i tre impianti di desalinizzazione e i pozzi d’acqua – e ai danni ingenti alle infrastrutture idriche, come pozzi, condotte e impianti di trattamento. Anche la Cisgiordania deve affrontare gravi sfide. Le riserve idriche sono diminuite rispetto agli anni precedenti, specialmente durante l’estate, con aree meridionali come Hebron e Betlemme alle prese con una ridotta disponibilità e una maggiore difficoltà di accesso all’acqua. Le continue incursioni militari israeliane e la deliberata distruzione delle infrastrutture limitano ulteriormente la possibilità di rifornirsi d’acqua. Ci sono anche significative restrizioni agli sforzi di costruzione e riparazione, aggravate dalla demolizione di infrastrutture precedentemente riparate. Se tutto questo non bastasse, le attuali attività dei coloni, tra cui il controllo delle risorse e dei pozzi che servono le comunità palestinesi, peggiorano sensibilmente la crisi idrica.

L’accesso all’acqua viene utilizzato come arma di guerra?

Le prove sul campo dimostrano chiaramente che Israele usa l’accesso all’acqua – o meglio la sua negazione – come arma contro i civili. Il 9 ottobre, Yoav Gallant, Ministro della Difesa israeliano, ha annunciato un “assedio completo di Gaza”, dichiarando che non ci sarebbe stati “né elettricità, né cibo, né acqua, né gas: è tutto chiuso”.

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Questa azione ha costretto la popolazione di Gaza a una grave mancanza di acqua. Nel mettere in pratica questa forma di punizione collettiva, Israele ha violato il diritto umanitario internazionale in materia di approvvigionamento di acqua dolce, in particolare l’Elenco dei Principi per la Protezione delle Infrastrutture Idriche di Ginevra. Questo documento stabilisce le norme internazionali applicabili durante i conflitti armati e offre preziose raccomandazioni. L’accesso all’acqua viene usato da Israele come strumento di controllo e coercizione. Il dominio di Israele sulle risorse idriche fa parte di strategie di controllo più ampie, che hanno un impatto significativo sulla vita quotidiana della popolazione palestinese e ne limitano lo sviluppo. Le infrastrutture idriche vengono spesso danneggiate durante le incursioni militari e la negazione dell’accesso alle forniture idriche essenziali in aree di conflitto come Gaza costituisce una forma di punizione collettiva. Pertanto, un aspetto cruciale della resilienza palestinese consiste nel garantire l’accesso all’acqua, soprattutto nell’Area C.

Quali sono le azioni positive che potrebbero aiutare la popolazione palestinese ad avere un accesso equo all’acqua?

La comunità internazionale deve adottare misure decisive per garantire che le risorse transfrontaliere di acqua dolce siano condivise “equamente e ragionevolmente”, in conformità con le leggi e le convenzioni internazionali. Israele deve essere costretto a cessare le sue politiche e pratiche discriminatorie che privano i palestinesi di risorse essenziali, e in particolare dell’acqua. Ai palestinesi devono essere consentiti l’accesso e l’uso della loro legittima quota di fiume Giordano, come codificato nel diritto internazionale sulle acque. Inoltre, devono essere compiuti sforzi per facilitare lo sviluppo di adeguate infrastrutture idriche e igienico-sanitarie palestinesi, compresi impianti di trattamento delle acque reflue e altri progetti strategici. Molti di questi progetti attualmente richiedono l’approvazione del Comitato Congiunto per l’Acqua israeliano, dove vengono spesso respinti bloccando ogni progresso. La comunità internazionale deve aumentare il proprio sostegno agli sforzi del governo palestinese per modernizzare ed espandere il settore idrico, garantendo sostenibilità a lungo termine ed equo accesso all’acqua per tutti.



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