Giacomo Leso per “l’Espresso”
Sarkozy, c’est fini? Proprio nel momento in cui, con la politica sommersa dai gossip, un presidente dovrebbe toccare la massima sintonia col suo popolo per via della nascita dell’erede, il pensiero che Nicolas sia al capolinea si è infiltrato nella testa di tutti. A sinistra, come a destra. Al bar, come nei ministeri. Nei mercati, come in tv. “Mon amour, non possiamo cenare con i tuoi amici, sono tutti in tribunale o infrequentabili, è il Giudizio Universale”, afferma il pupazzo di gomma di Carla Bruni-Sarkozy, l’italienne première dame sempre più calata nel ruolo di mamma.
Nessun presidente era diventato papà quando stava all’Eliseo, ma l’Eliseo non era mai stato travolto, nella sua storia invero comunque travagliata, da tanti scandali. Corruzione, mazzette, legami troppo stretti con potenti speculatori e miliardari, occupazione abusiva dello spazio mediatico. Persino l’ombra di alcuni morti ammazzati. E la crisi economica che ha messo a nudo tutti i limiti della sua politica. Risultato: stando ai sondaggi chiunque dei socialisti uscirà vincente dal ballottaggio delle primarie, François Hollande o Martine Aubry, avrà ottime chances di batterlo.
Dalla rentrée post vacanze la campagna elettorale domina il dibattito pubblico e una Francia esasperata dall’iperpresidente iperingombrante sembra non sognare altro se non di annoiarsi con una “presidenza normale”. Ma deve confrontarsi con un’attualità giudiziaria che non dà tregua al potere. Valigie piene di soldi con finanziamenti illeciti che hanno foraggiato la destra accompagnano le immagini di un Sarkozy che aveva promesso una “Repubblica impeccabile” quando ormai sono in molti a pensare che sarà tale solo con la sua uscita di scena.
Non bastasse, anche il nomignolo di “Superflic”, superpoliziotto, che si è conquistato durante i suoi mandati da ministro dell’Interno, è oggi associato a parole come “processo”, “inchiesta”, “banditismo”, “informatori segreti” e “vecchi metodi”. Il tutto a causa della palude in cui è finito il commissario Michel Neyret, numero due della polizia giudiziaria di Lione, arrestato per aver usato la droga dei sequestri per pagare gli informatori e la sua influenza per far sparire i loro nomi dalle procedure giudiziarie.
Uno scandalo che lambisce l’Eliseo. Chiamato invece direttamente in causa dalle rivelazioni sul bagno di sangue dell’attentato di Karachi per il quale il deputato verde Noël Mamere non ha esitato in Parlamento a pronunciare la frase choc: “Il potere ha le mani insanguinate”. Karachi riporta al 1995 e alla guerra fratricida a colpi di dossier segreti fra le due destre, quella liberale del primo ministro Edouard Balladur e quella gollista di Jacques Chirac. Capo di gabinetto di Balladur era Nicolas Bazire e a firmare gli assegni della Repubblica per le commissioni necessarie a oliare i meccanismi del commercio internazionale, in particolare quello delle armi, era il ministro del bilancio Nicolas Sarkozy.
Passano 16 anni, siamo a pochi giorni fa, quando la principessa Elena di Jugoslavia, nipotina dell’ultimo re d’Italia Umberto II, figlia del principe Alexandre di Jugoslavia e della principessa Maria Pia di Savoia, in fase di divorzio dal marito Thierry Gauber (proprio l’attuale presidente li aveva uniti in matrimonio quando era sindaco di Neuilly-sur-Seine), racconta al giudici le di lui malefatte.
Gauber e Nicolas Bazire (testimone di nozze di Carlà e Nicolas), sostiene la principessa, hanno partecipato al finanziamento occulto della campagna di Balladur, trasportando e ricevendo valigie piene di soldi provenienti dalle commissioni versate dal Pakistan in occasione di una vendita d’armi. Visto che alle presidenziali vinse Jacques Chirac, il versamento delle commissioni venne interrotto. Sull’ipotesi di una relazione di causa/effetto, tra la fine di quei versamenti e l’attentato di Karachi dell’8 maggio 2002, lavora il giudice incaricato della parte finanziaria del dossier, Renaud van Ruymbeke. In quell’attentato sono morte 14 persone, fra cui 11 impiegati francesi della Direzione delle Costruzioni Navali.
Se, fino al 2009, l’esplosione veniva segnata sul conto di Al Qaeda, ora è piuttosto considerata come la rappresaglia contro la Francia di una costola dei servizi segreti pachistani. Un terremoto che squassa l’entourage di Sarkozy. A partire dal suo vero braccio destro, Brice Hortefeux, ex ministro dell’Interno, intercettato mentre invitava Gauber alla prudenza visto che la moglie aveva chiacchierato fin troppo.
La fine delle mazzette pakistane, o almeno questa è l’ipotesi investigativa, costringe Sarkozy a cercare altre fonti di finanziamento per la sua fastosa campagna vincente del 2007. Che sarebbe stata alimentata dalla miliardaria Liliane Bettencourt. L’infermiera della principale azionista dell’Oréal sostiene che le bustarelle sono state consegnate all’ex tesoriere dell’Ump ed ex ministro del Bilancio di Sarkozy, Eric Woerth. Da mesi la trasmissione satirica “Les Guignols” mostra il serial di un Sarkozy che spilla i soldi a una rintronata vecchia signora.
La Bettencourt ora rischia la custodia tutelare e se vuole evitarla, dovrà dimostrare che ricorda e sa quello che fa. Per avere il controllo su questo affaire, i sarkozysti avevano messo a dirigere l’inchiesta di Nanterre il fedele procuratore Philippe Courroye, sospettato di aver fatto spiare diversi giornalisti per conto dell’Eliseo. Una rivolta dei magistrati ha permesso di togliergli il processo dalle mani, ma le manovre del presidente per controllare la magistratura in questo delicato caso non sembrano finite.
Siamo a ottobre, si vota a maggio e si annunciano mesi particolarmente caldi e senza esclusione di colpi. Anche i più bassi. Le avvisaglie sono inquietanti e lo spionaggio nei confronti dei giornalisti segna uno dei punti di degrado più bassi della storia recente. Un potere ferito e in bilico cercherà con qualche colpo di coda di rimanere a galla. Anche se, persino a destra, in pochi credono a un secondo mandato per Sarkozy e avanza la possibilità , sinora quasi eretica per un presidente uscente, di una candidatura diversa. Come quella del ministro degli Esteri, lo chiracchiano Alain Juppé, che ha dato buona prova di sé nella delicata gestione della guerra in Libia e che ha cominciato a non fare mistero delle proprie ambizioni. Ha detto in televisione: “Farò tutto il necessario per far vincere Sarkozy se si presenta”.
Per aggiungere subito dopo di sperare in un “incidente” che gli spiani la strada. Speranze sostenute anche dai sondaggi che in questo momento gli sono favorevoli e che invece, bebé o non bebé, condannano Sarkozy. Persino il primo ministro François Fillon dice che succedere a se stessi, in queste condizioni economiche (e, sottinteso, giudiziarie), è cosa dura. Quanto ai deputati, “sono in rivolta”, secondo una fonte de “l’Espresso” interna all’Ump. “Temono di perdere il posto, dopo un’eventuale sconfitta di Sarkozy”.
Immaginare che Nicolas Sarkozy, un combattente, possa fare volontariamente un passo indietro, come tutti auspicano ma nessuno osa chiedergli, è follia. Ha già allertato la squadra e varato alcune parole d’ordine. Giocherà la carta del candidato rassicurante, che sa condurre lo yatch francese nell’Oceano in tempesta della crisi mondiale. Punterà sul paragone fra la sua esperienza e l’inadeguatezza della proposte economiche della sinistra, oltretutto mutilata del peso specifico e dell’intelligenza dell’economista capo Dominique Strauss-Kahn. Che, se non fosse incappato nello scandalo, ormai è sempre più chiaro, correrebbe verso l’Eliseo. Avendo davanti davvero pochi ostacoli.
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