Fuori dall’overtourism, l’inverno è un buon periodo per una gita verso l’Agro Pontino e la Riviera di Ulisse: da Sabaudia a Formia, passando per Terracina, Sperlonga e Gaeta, con una puntata verso l’interno, Sonnino, Fondi, Itri. Mare d’inverno in provincia di Latina, Lazio meridionale: clima e temperature (si spera) amiche, zero calca, chef e produttori (di vino e di olive che qui sono un pilastro importante dell’economia e dell’agroalimentare) più propensi all’ascolto e agli incontri in cantina o in frantoio.
Tiella, salsicce ed extravergine
Ci aspettano mozzarelle di bufala campana Dop, Tiella di Gaeta, salsiccia al coriandolo di Monte San Biagio (o Fondana), cucina di terra e soprattutto pesce, calici di Moscato di Terracina (ma non solo) e l’immancabile fetta di pane con un filo d’extravergine di Itrana, cultivar che nella versione da tavola viene ribattezzata “oliva di Gaeta”. Un porto, un nome: da qui, dalle banchine gaetane, questa buona oliva – anche – da mensa, verde o rosata d’aspetto, è stata imbarcata per secoli sulle rotte dei commerci.
Oggi è rinomata soprattutto per gli ottimi extravergini di frantoiani virtuosi, come Alfredo Cetrone di Sonnino, un produttore “star” della nostra guida Oli d’Italia (Tre Foglie continue da più di dieci anni) e Olivicoltore dell’Anno nel 2024. La sua azienda agricola è un modello di tradizione, qualità e innovazione: l’ultima nel 2023 con un frangitore personalizzato che rompe le drupe in modo diverso con il nocciolo che non finisce nella pasta.
Sabaudia e Terracina, tavole d’autore
Tra i protagonisti di questo territorio c’è Antonio Santarelli di Casale del Giglio, una delle più note cantine del Lazio e premiata poco tempo fa dalla prestigiosa rivista Decanter per il Bellone di Anzio (Anthium), un autoctono bianco. La tenuta si trova sull’area dell’antica città scomparsa di Satricum, fondata dai Latini, abitata da Etruschi e Volsci e motivo ispiratore di grandi etichette così come di una delle migliori tavole Pontine, il Satricvm, appunto: ristorante di cucina contemporanea dello chef Max Cotilli; ai vini la sua compagna, Sonia Tomaselli. Sono due i menu degustazione dedicati al viaggio di Ulisse: Itaca, con 11 portate e piatti come “Circe” (gyros di tonno, terrine de cochon e ciceone al lentisco, una bevanda rituale dell’antica grecia). E Nessuno: 8 portate, tra cui “Polifemo” (ricciola, salamoia di pecora, arak e zafferano). Giochi verbali e tentazioni di gola sotto lo sguardo indomito del Circeo, il promontorio dove la Maga Circe offriva agli ospiti un lauto banchetto per trasformarli poi in maiali, leoni e cani; incantesimo a cui Ulisse si sottrasse grazie a un’erba magica. Suggestioni omeriche anche sul fronte del turismo di massa: è stata infatti ribattezzata Riviera di Ulisse quella tratta di costa che dal Circeo avanza verso sud fino a Gaeta e Formia, ultime tappe del nostro viaggio, quasi in odor di Campania.
Vini e cucina all’ombra del tempio di Giove
Prima, però, deviamo su Borgo Vodice per un calice di Moscato alla Cantina Sant’Andrea, poco distante da Sabaudia dove nel Ventennio furono “arruolati” squadroni di contadini veneti, friulani e romagnoli per bonificare e aggiudicarsi queste terre un tempo paludose e malariche. Una ricca toponomastica di borghi “settentrionali” – Borgo Piave, Borgo Grappa, Borgo Isonzo, Borgo Hermada… – si distende sulla griglia geometrica tracciata dai canali di deflusso e dai lunghi rettilinei a definire la pianura dell’Agro Pontino. Un paesaggio piatto, monotono, interrotto da campi coltivati sotto al polmone del Parco Nazionale del Circeo. Per trovare un altro vitigno autoctono bisogna spostarsi verso i monti Lepini (per un calice di Nero Buono di Cori alla cooperativa Cincinnato e da Marco Carpineti) oppure virare a sud verso i monti Ausoni, fra le vigne di Abbuoto (rosso) e Moscato di Terracina, un vitigno che prende nome dalla cittadina sorta sotto il monte Sant’Angelo all’ombra del tempio di Giove Anxur (Giove fanciullo), un sito archeologico mozzafiato che ci regala il fantastico colpo d’occhio sulla Riviera fino a Sperlonga e alle Isole Pontine. Scendendo verso terracina da questo ricordo dell’Olimpo, è naturale fare sosta da Essenza, il “tempietto” di chef Simone Nardoni. Tra le ricette, una curiosa Panzanella dal mare (molluschi, sorbetto di peperoni e burrata liquida) e la più sontuosa Terrina d’anguilla affumicata e foie gras, con gelatina al Porto.
La piana di Fondi e le migliori mozzarelle
Passata Terracina entriamo nella piana di Fondi, zona di pomodori, sedani e melanzane, frutto di un’agricoltura che impiega centinaia di braccianti indiani (che ci fanno ricordare sempre anche la piaga del caporalato e lo scellerato caso di Satnam Singh). Le migliori specialità autoctone sono però le mozzarelle di Bufala Campana Dop e la ricotta. I nostri consigli? I caseifici Paolella, Casabianca e Porta Roma oppure Macchiusi (sulla via del ritorno, dopo Terracina). Un’altra bontà che Fondi contende a Monte San Biagio è la salsiccia al coriandolo, fatta coi tagli nobili di suini bianchi (large white, Gran Suino Padano Dop) o neri casertani e dei monti Lepini, di maggior pregio, poi speziata con il coriandolo, arbusto che qui cresce spontaneo. Una salsiccia profumata che può essere fresca, “barzotta” o stagionata, dolce o piccante, al naturale o affumicata. La busta della spesa? In due norcinerie si va a colpo sicuro: Franco Petrillo e il butcher shop Scherzerino (nel paesino di Itri).
Riso amaro, tra cucina e cinema
Ripetiamo invece l’esperienza gourmet all’ombra del Castello di Fondi al ristorante Riso Amaro, che riprende il titolo di un celebre film del neorealismo, una storia di mondine ambientata in Piemonte, dal finale drammatico. Il regista era Giuseppe De Santis, artista e intellettuale fondano, autore anche di “Non c’è pace tra gli Ulivi”, pellicola del 1950 con Raf Vallone e Lucia Bosè, girata tra Fondi e gli uliveti di Sperlonga e Itri. Un messaggio di “terra, campagna e radici” che lo chef del Riso Amaro, Maurizio De Filippis, classe ‘83, traduce in piatti di territorio rivisitati come la Pastilla d’agnello, cacio e ovo, gelato di cipolla in carpione, un roll di coscio d’agnello marinato e un fagottino fritto di spalla con spuma di cacio e ovo, cipolla agrodolce e gelato di cipolla in carpione.
Gaeta, Formia e Ponza, profumo di mare
Giunti nella “Fedelissima” Gaeta, ultima roccaforte borbonica presa dalle flotte genovesi e sabaude alla vigilia dell’Unità d’Italia, il giro turistico abbraccia la spiaggia del Serapo, la Montagna Spaccata (con la Mano del Turco “impressa” nella roccia) e il monte Orlando con i resti di batterie e polveriere borboniche; una passeggiata stile trekking sopra Gaeta vecchia. Il tour dei sapori prosegue invece all’Antico Forno Giordano per una fetta di Tiella (vedi box) e alla tavola marinara del ristorante Michele Chinappi, in quel di Formia. Accoglienza di casa, pesce freschissimo e vini laziali consigliati da Michele, sommelier e bravo gestore di sala, con l’aiuto della moglie Angela. A due passi dal locale ci attenderebbe pure l’imbarco per Ponza, la principale dell’arcipelago Pontino. La tentazione è forte: il mare d’inverno e i sapori di un’isola che ritrova sé stessa dopo la bolgia estiva. Ma in un senso di marcia o nell’altro, a 500 metri dall’imbarco – o dallo sbarco – l’ultima tentazione è il Gran Crudo Chinappi, il piatto più iconico del ristorante, un mix di gamberi gobbetti e gambero rosso di Ponza, tartare di tonno, scampi, carpaccio di pezzogna, ricci di mare, ostrica e tagliatella di calamaro su fetta di lime. Prezzo, freschezza e qualità in un colpo da maestri.
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