Come gli enti locali possono promuovere l’economia sociale

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Il tema dell’economia sociale è significativamente rilevante anche per gli enti locali e, dunque, per la relazione fra questi e gli “attori” dell’economia sociale, dal momento che varie sono le opportunità offerte da un nuovo paradigma economico e relazionale, come già descritto nei precedenti contributi di Luigi Corvo, Francesca Battistoni e Paolo Venturi (vedi news incorporate in questo articolo).

Il Piano d’azione europeo e la relativa Raccomandazione impegnano non solo le istituzioni europee e gli Stati membri a promuovere e sostenere l’economia sociale, ma anche le “autorità pubbliche”; centrale è, al riguardo, il possibile ruolo degli enti locali, chiamati a realizzare gli interessi della comunità e promuoverne lo sviluppo (art. 3 Tuel, il Testo unico degli enti locali).

L’economia sociale arricchisce ed evolve le tradizionali modalità di azione delle autorità pubbliche, dal momento che “spezza” l’antica e problematica dicotomia fra interessi privati e pubblici, fra Stato e mercato, un rapporto spesso antitetico e non governato dalle forme di responsabilità sociale d’impresa.

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La Raccomandazione europea non demonizza il profitto, ma impegna gli Stati membri e le autorità pubbliche a “orientare” i comportamenti dei soggetti dell’economia sociale, riconoscendo loro forme di preferenza e di premialità a fronte di modalità di reinvestimento di parte di quel profitto verso obiettivi e finalità della comunità di riferimento.

L’attuazione della Raccomandazione passa, pertanto, in primo luogo da una “intenzionalità” politica; viene chiesto di elaborare “orientamenti strategici” (paragrafo 15).

Gli orientamenti strategici, in altre parole, si sostanziano in indirizzi politici pluriennali e stabili, quale espressione del “mandato” politico, che – con riferimento agli enti locali – sono rintracciabili negli atti generali (Statuto, regolamenti, esistenti o nuovi), negli atti programmatici (linee di mandato, Dup-Documento unico di programmazione e Peg- Piano esecutivo i gestione, bilancio e relativi allegati, Piao-Piano integrato di attività e organizzazione della Pubblica amministrazione), ma anche negli strumenti di pianificazione  (si pensi, solo per fare alcuni esempi, ai piani sociali di zona, di valorizzazione dei beni pubblici, ma anche dei piani di governo del territorio), anche co-programmati, ai sensi del codice del Terzo settore.

L’economia sociale, data la sua trasversalità, richiede che, non importa come, sia riconducibile alla “competenza” di un delegato politico o di una istituenda Commissione consiliare o ancora all’attribuzione di un Ufficio, esistente o ad hoc.

Occorre costruire un metodo nuovo, capace di valorizzare le potenzialità dell’economia sociale all’interno delle azioni e delle attività deliberate dagli enti locali; chi scrive ritiene necessario assumere due punti come essenziali: la logica partenariale (pubblico-pubblico e pubblico-privato) e la prospettiva “ecosistemica” (soggetti dell’economia sociale, attori pubblici, sostenitori e partner dell’economia sociale). Da ultimo, la “cultura” della governance plurale dei dati, acquisiti e prodotti nell’ambito del ciclo di vita delle azioni e delle attività dell’ecosistema.

Gli strumenti sono chiaramente indicati dalla Raccomandazione (in particolare, i contributi pubblici, la finanza, l’innovazione sociale, i contratti pubblici e l’impatto).

In particolare, la Raccomandazione chiede alle autorità pubbliche di costruire “strategie di appalto”; si tratta di uno dei passaggi più innovativi dell’intervento europeo, perché chiede di costruire una visione “strategica” nella costruzione del ciclo di vita di un contratto pubblico (di appalto, di concessione, di co-progettazione, di un contratto di servizio nella gestione di un servizio pubblico).

L’uso strategico dei contratti pubblici diventa essenziale per conseguire le finalità e gli obiettivi dell’economia sociale; un tema di estrema attualità sia nel nostro Paese (alla luce della revisione del codice dei contratti pubblici con il D. lgs. 209 del 31 dicembre 2024, il quale in modo innovativo esplicita per la prima volta in Europa il principio del “risultato”) che nella stessa Europa (chiamata ad avviare il processo di revisione delle Direttive del 2014 sugli appalti e sulle concessioni).

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Una strada proficua potrebbe essere quella di adottare piani locali per l’economia e l’innovazione sociale (Peis), poco importa se quali agende strategiche o parti degli atti di programmazione e di pianificazione previsti dall’ordinamento; quel che conta è che siano deliberati orientamenti strategici per la promozione e il sostegno dell’attività ecosistemica dei soggetti e degli altri soggetti dell’economia sociale. Il tutto finalizzato ad orientare le politiche pubbliche al conseguimento degli obiettivi di impatto prescelti e ritenuti di interesse generale.

Una delle più proficue sperimentazioni ed attuazioni, specie se la Commissione europea rilascerà l’autorizzazione, prevista dalla disciplina italiana sul Terzo settore (disposizioni fiscali del Codice de Terzo settore e finanziamento dell’attività di interesse generale svolte dalle imprese sociali, ai sensi del d. lgs. 112/2017), potrebbe essere quella della nascita di imprese sociali (o la trasformazione di imprese esistenti), costituite – come consente la disciplina – da Enti del Terzo Settore, pubbliche amministrazioni e operatori for profit. Nuove forme di società miste nelle quali – in modo coerente con il Piano d’azione europeo e la Raccomandazione europea – la contrapposizione di interessi (pubblici e privati) troverebbe sintesi nella comune missione dell’attività di interesse generale e, dunque, nella coesistenza della missione d’impresa, da un lato, e del reinvestimento – sociale e comunitario – dei risultati (economici e di impatto) conseguiti dalle imprese sociali, anche in forza delle raccolte fondi e del reperimento di finanziamenti da parte di investitori. Le imprese sociali, anche nella forma delle cooperative di comunità, potrebbero risultare particolarmente adatte ai territori rurali o delle aree interne, dove maggiori sono i rischi del “fallimento” o dell’assenza del mercato, ma – più in generale – per la valorizzazione, anche sociale, dei beni e degli spazi pubblici o per l’attivazione di forme speciali di partenariato nell’ambito del settore culturale.

Si tratta di sfide impegnative, ma che tuttavia non trovano impreparato il nostro Paese; gli attori dell’economia sociale costituiscono un “capitale” storico e la Riforma del Terzo settore rappresenta la base normativa, originale a livello europeo e oramai nota. Sfide, infine, affrontabili con maggiore efficacia “unendo le forze” dell’ecosistema dell’economia e dell’innovazione sociale.

Foto Pexels di Marina Leonova

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