Dimissioni Belloni, il rapporto «poco fluido» con Tajani e il caso della morte di Berlusconi: cosa sappiamo

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di
Marco Galluzzo

Il rapporto difficile con Tajani e con Mantovano. Verso un incarico con von der Leyen

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Il caso di Cecilia Sala è stata forse la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Dal primo istante dell’arresto della nostra connazionale, Elisabetta Belloni — da due anni e mezzo a capo del Dis, la struttura di coordinamento dei nostri servizi segreti — è stata tenuta fuori dal dossier, accentrato su Palazzo Chigi e gestito in prima battuta dall’Aise di Gianni Caravelli.

La conferma della lettera di dimissioni da parte di Belloni, ieri mattina, lettera che porta la data del 15 gennaio come ultimo giorno di servizio, e che è stata consegnata sia a Giorgia Meloni che ad Alfredo Mantovano, prima di Natale, quattro giorni dopo l’arresto della giornalista italiana da parte dei pasdaran del regime di Teheran, rivela che non tutto è andato per il verso giusto. Che qualcosa si era rotto nelle relazioni normali di un sistema e di dinamiche istituzionali che per funzionare a dovere si nutrono di fiducia reciproca e di leale collaborazione.




















































La conferma è arrivata dalla stessa interessata: «Ho maturato questa decisione da tempo, ma non ho altri incarichi. Lascerò il posto di direttore del Dis il 15 gennaio». Belloni ha anche escluso che la sua decisione, in anticipo di cinque mesi sulla scadenza naturale del mandato, sia dovuta ad un nuovo impegno europeo. Anche se è molto probabile che fra pochi giorni assuma un nuovo incarico sensibile e di alto livello, come rappresentante personale di Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, su uno dei dossier strategici che si aprono nella nuovo legislatura Ue: dalla sicurezza all’immigrazione.

Di sicuro per una donna che si è costruita una carriera (prima alla Farnesina all’unità di crisi e al segretariato generale, poi al vertice dei servizi, nominata da Mario Draghi) come esempio di civil servant, alcune dinamiche recenti hanno suggerito quello che ad alcuni appare come uno strappo poco diplomatico, ad altri come un gesto obbligato visto il deterioramento dei rapporti con molte delle sue controparti.

Non per caso, tante volte Belloni negli ultimi anni è rientrata nel toto nomine per altri incarichi prestigiosi, compresa la presidenza della Repubblica, poco prima che fosse rieletto Mattarella, e nei mesi scorsi si è discusso di lei come possibile successore di Raffaele Fitto come ministro degli Affari europei.

Secondo alcune ricostruzioni ufficiose infatti a Belloni fu proposto il posto dai vertici del governo, ma un’opposizione radicale del nostro ministro degli Esteri, Antonio Tajani, fece premio su ogni altra argomentazione. Una postilla non è indifferente: nei rumors di Palazzo il rapporto poco fluido, per usare un eufemismo, fra la Belloni e Tajani, sarebbe stato segnato anche, ma non solo, dalla partita per il Quirinale che si svolgerà nel 2029.

Ma i possibili retroscena sono tanti. Per restare nel registro degli eufemismi anche il rapporto con Gianni Caravelli, capo dell’Aise, il nostro servizio segreto per gli affari esteri, si è nel tempo sfilacciato. Con recriminazioni reciproche: l’eccessiva autonomia, critica di lei a lui; l’eccessiva tendenza all’operatività, con la compressione del suo ruolo, critica di lui a lei.
Un aneddoto leggero ma significativo svela parte di queste dinamiche. Il giorno della morte di Berlusconi partono dal San Raffaele di Milano due telefonate, pochi minuti dopo la notizia: una diretta al capo dell’Aisi, l’altra al capo dell’Aise. Il primo informa la Belloni. Il secondo informa Alfredo Mantovano, a Palazzo Chigi. Una sorta di doppio registro.

C’è da aggiungere che Belloni – che ha per legge il coordinamento delle due Agenzie di intelligence – non si è sentita sufficientemente protetta, di fronte a diversi episodi di presunta escalation, per usare il linguaggio di un’azienda privata, proprio dall’Autorità delegata, in prima e ultima istanza, sui nostri servizi, ovvero il sottosegretario Alfredo Mantovano, che di Giorgia Meloni è braccio destro irrinunciabile. E probabilmente anche insostituibile.

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Spaccature e incomprensioni che hanno deteriorato relazioni personali e la necessaria fiducia. Che in questi casi è innanzitutto con il premier, rispetto alla quale forse Belloni, rispetto alla vicenda Fitto, ma non solo, si sarebbe attesa maggiore protezione.

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6 gennaio 2025 ( modifica il 7 gennaio 2025 | 08:13)

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