Il braccio di ferro sul terzo mandato: Gasparri frena sul lodo Fvg mentre in Veneto è guerra sotterranea

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Forza Italia si sfila dall’asse a favore del terzo mandato in Friuli Venezia Giulia. O almeno così parrebbe a sentire chi parla non da Trieste ma da Roma, frenando ogni eventuale corsa in avanti nel nome dell’autonomia e ribadendo l’ordine di scuderia centrale con un lapidario: «Non ci sarà il terzo mandato».

A Roma

A parlare è Maurizio Gasparri, il responsabile nazionale Enti locali del partito, che in alcune dichiarazioni alle agenzie fa riferimento al dibattito in corso «in varie parti d’Italia», aggiunge un cenno a «un confronto con le realtà territoriali dove la questione è stata riproposta», in particolare «con i nostri esponenti dal Friuli Venezia Giulia alla Campania» e ricorda la posizione ufficiale di Forza Italia: «No al terzo mandato per i Presidenti di Regione e per i sindaci delle città superiori a 15 mila abitanti».

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Si tratta di «una posizione che abbiamo tenuto in Parlamento e che immagino anche il governo sosterrà quando sarà chiamato a valutare iniziative di singole Regioni» e che è stata «ribadita in questi giorni» ai territori, conclude.

Questa è l’unica voce che si leva da parte degli azzurri: i telefoni squillano a vuoto a Trieste e a Udine. Certo il giorno è di festa, ma l’impressione è che in regione dalle parti di Forza Italia nessuno voglia commentare la vicenda. Tanto più che il 6 gennaio era la data prevista per un vertice di maggioranza per blindare le candidature per le Comunali a Pordenone e Monfalcone, saltato proprio per malumori e veti incrociati sul tema del terzo mandato.

Il niet del ministro pordenonese di Fratelli d’Italia Luca Ciriani si è scontrato con il «l’Autonomia va difesa» di Massimiliano Fedriga, che ha rivendicato: «Sul terzo mandato decide il Consiglio regionale».

I precedenti

Difficile non leggere un imbarazzo dietro a questo silenzio, dato che a margine del vertice di maggioranza del 23 dicembre scorso era trapelato un asse Lega-Fi-Udc regionale proprio sul terzo mandato. O meglio, sul pacchetto di legge elettorale messo sul tavolo dalla Lega. Certo, la dichiarazione fatta dalla coordinatrice regionale di Forza Italia, Sandra Savino, al TgR il giorno successivo era stata più sfumata: «Quando un governo regionale dimostra di funzionare e ottenere risultati concreti, è naturale che si apra una riflessione sul numero dei mandati. Vediamo a cosa ci porterà questa riflessione comune».

È evidente però che la proposta di modifica della legge elettorale non poteva non fare gola agli azzurri: all’interno era contenuto il via libera al terzo mandato pure per gli assessori regionali e l’abolizione del tetto di tre mandati ai consiglieri che siedono sugli scranni di piazza Oberdan. Quest’ultima circostanza potrebbe riguardare uno dei tre eletti azzurri, Roberto Novelli, che a fine consiliatura avrà passato 15 anni in Consiglio. Ma molto più interessante per il partito è la ricaduta sugli assessori. Fi infatti con Riccardo Riccardi occupa una posizione di peso nell’esecutivo regionale: è stato confermato alla Salute, una delega bollente ma ricca (da sola cuba infatti più della metà delle risorse del bilancio regionale).

Molto più ricca dei consensi raccolti alle urne da Forza Italia, che esprime tre consiglieri, pochissimi rispetto ai 10 della Lega, agli 8 di Fedriga presidente e agli 8 di Fratelli d’Italia. E proprio Riccardi in passato si era detto possibilista. Forse non è un caso che a fine dicembre il coordinatore regionale di FdI Walter Rizzetto oltre alla frenata sul terzo mandato del presidente, un tema che «deve cadere su un tavolo nazionale», abbia posto anche il tema del «numero di mandati degli assessori regionali».

Il leader azzurro Antonio Tajani si è sempre schierato per il no al terzo mandato. In un’intervista di novembre al nostro gruppo aveva chiuso in modo netto, facendo però riferimento soprattutto al Veneto: «Il terzo mandato? Neanche negli Usa. La democrazia prevede un ricambio».

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Gli altri temi

Il tema del terzo mandato si intreccia con altre partite. Tra cui quella delle prossime Comunali. Malumori tra Fi e Lega a livello regionale forse si potevano già vaticinare allora: Savino aveva espresso perplessità sul candidato sindaco per il centrodestra a Monfalcone in pectore, il leghista Luca Fasan, mentre aveva dato luce verde sul nome di Pordenone, Alessandro Basso (FdI). «Per Monfalcone, territorio molto complicato, c’è ancora qualcosa da mettere a punto», aveva detto.

Lite con FdI, ricerca di altri appoggi: la Lega per il Veneto è pronta a tutto

«Perdere con gli assi in mano non ha senso», dicono i leghisti veneti. Ed ecco a che punto è arrivata la minaccia della Lega di correre da sola alle regionali del post-Zaia se Giorgia Meloni e Antonio Tajani non sosterranno un candidato del Carroccio: gli emissari di Matteo Salvini hanno addirittura già preso contatti informali perfino con Italia Viva di Matteo Renzi e Azione di Carlo Calenda, che si sono dichiarati pronti ad appoggiare un candidato governatore del Carroccio (il sindaco di Treviso Mario Conte oppure il vicesegretario Alberto Stefani) se Salvini mollerà FdI al suo destino.

Ma non solo: sarebbero della partita la Dc e liste indipendentiste e autonomiste – Noi Veneto, Indipendenza Veneto – che insieme fanno svariati punti percentuali. Per non dire di una lista civica pompata da centinaia di sindaci e di una lista tutta sponsorizzata da Luca Zaia, da affiancare alla lista della Liga veneta: non ce ne sarebbe per nessuno.

Perfino Forza Italia farebbe fatica a votare per il candidato meloniano. Del resto, sull’Arena di Verona, Zaia ha lanciato l’avviso ai naviganti «in Veneto andiamo da soli sull’Autonomia», da intendere come «andiamo da soli alle regionali».

C’è un episodio che la dice lunga sulla posta in gioco. Il 20 dicembre, alla cerimonia di auguri di Natale con la stampa parlamentare, Massimiliano Romeo, fresco di vittoria per acclamazione al congresso della Lega lombarda, ascolta il presidente del Senato Ignazio La Russa rivendicare la candidatura a governatore del Veneto per il partito della premier, Fratelli d’Italia.

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«Questi si vogliono prendere tutto», si lascia scappare amareggiato. Non sorprende perché, mangiata la foglia, la Lega ora sarebbe pure disposta a rinunciare a esprimere il prossimo candidato governatore in Lombardia pur di tenersi stretta la regione del Doge. Dove uno dei motti della Liga Veneta era ed è «mai schiavi di Roma».

Due settimane dopo, le parole consegnate a La Stampa dal ministro pordenonese meloniano Luca Ciriani, che rivendica la candidatura in Veneto per FdI e dice no al terzo mandato dei governatori, fanno scoppiare il bubbone. Il gioco ora si fa duro: se la Lega minaccia di correre da sola alle regionali in Veneto, dalle parti della premier rispondono con un’altra minaccia ancora più forte: «Se Salvini e Tajani tirano la corda, Giorgia manda tutti al voto, così lei prende molto di più di loro, si mette all’opposizione e al prossimo giro vince con il 50 per cento. E quelli scompaiono». Questa è la posta in gioco.

Per Fratelli d’Italia, alla candidatura in Veneto ambisce il coordinatore del partito locale, Luca De Carlo (per le malelingue, però, sconta il gap di essere cadorino, cioè bellunese) e anche un ministro come Adolfo Urso, padovano doc.

Ma se la Lega – anche se Salvini lo negherebbe seduta stante – sarebbe in realtà pronta a cedere, in una trattativa di coalizione, la candidatura in Lombardia a Fratelli d’Italia, per chiuderla così c’è un ostacolo non da poco: nella regione governata da Attilio Fontana si tornerà alle urne appena nel 2028… come a dire tra mille anni, addirittura dopo le politiche del 2027. «E invece noi vogliamo monetizzare ora che abbiamo i voti, mentre nel 2028 chi lo sa?…», fanno notare giustamente i sodali di Giorgia.

Senza contare il contesto più ampio in cui si discuterà in un anno denso di elezioni regionali: in Campania sarà braccio di ferro tra Martuscello di Forza Italia e Cirielli di Fdi, in Puglia va deciso lo sfidante del dem Antonio Decaro. E allo stato attuale Forza Italia con gli stessi voti della Lega governa Calabria, Basilicata, Piemonte e Sicilia.

Salvini dunque non mollerà facilmente la roccaforte al Nord Est. «Noi ci riconosciamo nella casa del centrodestra – chiarisce il vicesegretario Stefani – ma la nostra riserva aurea sono 159 sindaci, 1200 amministratori, 350 sezioni. Alle comunali abbiamo vinto quasi ovunque, anche senza gli alleati di centrodestra (Bassano, Monselice, Portogruaro, e così via) e quindici anni di Luca Zaia non possono essere archiviati con un colpo di spugna: siamo convinti che i veneti la penseranno come noi». Più chiaro di così…

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«E si prenderebbero la responsabilità di spaccare la coalizione? – chiedono i Fratelli e le sorelle d’Italia -. Sarebbe un precedente gravissimo!».

Perciò, l’unico tema di trattativa, nell’ottica di via della Scrofa, sede di FdI, può essere il rinvio del voto in Veneto al 2026, con le comunali, per tenere buono Zaia altri sei mesi. Certo è che, se non si arriverà a un’intesa blindata tra i leader di centrodestra entro un mese, la battaglia sopra le rive del Po rischia di far deflagrare la maggioranza che governa il Paese. 



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