Il vicepremier già in difficoltà dentro la sua stessa maggioranza e dentro il suo stesso partito ha appreso tramite le agenzie dell’incontro tra la leader di FdI e Trump. Ora pensa di partecipare all’Inauguration day del tycoon. Mentre in Italia la Lega si gioca tutto sull’autonomia differenziata
È al minuto sei della tradizionale diretta social della sera prima dell’Epifania che Matteo Salvini commenta la notizia del giorno. Il viaggio a sorpresa di Giorgia Meloni a Mar-a-Lago per incontrare Donald Trump. Ma è un commento che arriva in coda.
Dopo aver commentato il derby Inter-Milano, il codice della strada, le molestie di Capodanno da parte di «maiali», gli spacciatori espulsi in provincia di Padova, i minorenni che hanno danneggiato un campo sportivo di Cimadolmo (paesino di tremila abitanti). E ancora dopo «un parere sui maranza», gli eco-vandali che imbrattano («con la merda») e la mototerapia («Un saluto a Vanni Odera»).
Poi il vicepresidente del Consiglio abbassa lo sguardo sul canovaccio preparatogli dal suo staff di comunicazione e lo posa sul punto “Meloni-Trump”. «Bene».
Il muscolo della mandibola scatta come se stesse masticando qualcosa di molto duro e invisibile. E in effetti è questo il problema: Salvini non riesce a ingoiare il fatto di essere stato tenuto all’oscuro di tutto.
Come lui il ministro degli Esteri, Antonio Tajani che Meloni ha chiamato solo dopo l’incontro per spiegargli molto brevemente di cosa e come ha parlato con The Donald. La Lega invece, fanno sapere fonti interne, è stata informata soltanto tramite le agenzie stampa.
Perciò Salvini mastica un boccone indigeribile e dice sillabando poche frasi: «Ne sono contento da italiano e vicepresidente del consiglio perché penso che Trump potrà riportare la pace tra Russia e Ucraina, Israele e Medio Oriente». Fine. Poi riprende a leggere i commenti dei suoi sostenitori: «Mi scrivono ciao Matteo sei un grande. No, un grande no però oggi è domenica sono andato in ufficio lo stesso».
Partenza complicata
Un 2025 per Salvini già difficile. La sindrome del complotto e lo stato d’assedio in cui vive contagia tutto il partito, che del capo assorbe gli umori e sempre meno sopporta la leadership. Da giorni il Carroccio discute del Veneto dove la scelta sul terzo mandato che in regione ha il favore di Lega, Forza Italia e Lista Fedriga si sgretola contro la posizione del partito Meloni.
Una posizione netta nelle parole del ministro meloniano e pordenonese Luca Ciriani che dopo aver messo in fila le Regioni dove già la Lega governa – Friuli Venezia Giulia, Veneto, Lombardia e provincia autonoma di Trento – ha aggiunto: «Mi pare che FdI si trovi nella posizione di avere qualcosa di più». In sintesi: il candidato lo scegliamo noi.
Il nodo autonomia
Negli ultimi mesi Salvini calcia ma non morde. È stato spento direttamente dalla Presidente del Consiglio il desiderio del leader leghista di tornare al Viminale, lui convinto che solo il tema sicurezza-immigrazione gli restituirebbe un po’ del consenso perduto. E dopo aver perso il giocattolo degli ultimi mesi del vittimismo giudiziario, in primavera dovrà affrontare il congresso del partito (in Lombardia il suo candidato Luca Toccalini si è ritirato).
I numeri sono disastrosi: dalle europee del 2019 a oggi il partito ha perso sette milioni di voti, sui sondaggi non va oltre il 9 per cento. I malumori sempre più plateali: il presidente della Lombardia Attilio Fontana ricorda che «il problema del nord c’è, ed è sempre più presente», il sempre mite Luca Zaia, confessa «a me piaceva di più la Lega nord» e anche Massimiliano Romeo lancia un appello sulle pagine de La Verità: «Dobbiamo tornare a essere ciò che eravamo».
Dentro questo scenario l’unica nota positiva è la possibilità sempre più concreta che il Capitano possa andare negli Usa per partecipare all’insediamento con giuramento del presidente americano, il prossimo 20 gennaio.
Il blitz di Meloni dal tycoon fortifica l’idea che sia lui a darle il cambio per assistere alla cerimonia. Proprio nello stesso giorno in cui in Italia la Corte Costituzionale dirà l’ultima parola sull’ammissibilità dei referendum sull’Autonomia differenziata, già fatta a brandelli dalla Consulta che ha definito “illegittimi” sette profili della legge Calderoli. Una legge che per la Lega resta la ragione stessa della legislatura. Rischia Salvini, rischia il governo.
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