GiĆ dieci anni dagli attentati di Charlie Hebdo e del Bataclan, che fra gennaio e novembre del 2015 sconvolsero la Francia e, con essa, lāintera Europa e tutto lāOccidente. Sarebbero seguiti i morti di Nizza, in occasione della festa nazionale francese, il 14 luglio 2016, lāattentato al mercatino natalizio di Berlino, in cui perse la vita la nostra connazionale Fabrizia Di Lorenzo, lāattentato di Manchester durante il concerto di Ariana Grande e la tragedia di Antonio Megalizzi a Strasburgo. Eppure, come spesso accade nelle controverse vicende del Vecchio Continente, ĆØ Parigi lāepicentro dellāorrore e della svolta. I vignettisti di Charlie Hebdo e i ragazzi e le ragazze del Bataclan, a cominciare dallāitaliana Valeria Solesin, costituiscono infatti i simboli di tutto ciĆ² che il fondamentalismo vorrebbe distruggere per sempre: la libertĆ dāespressione, compresa quella di sorridere e ironizzare sulle istituzioni e persino sul sacro, e la gioia di vivere delle nuove generazioni, considerate a ragione un argine alle chiusure e alla grettezza che dominano il nostro tempo.
Parigi, dieci anni dopo, ĆØ una cittĆ colpita al cuore, scossa dalle manifestazione anti-Macron e dal malcontento di un Paese ormai in guerra con se stesso, assediata da coloro che la considerano lāemblema dellāancien rĆ©gime e di un benessere escludente, tutto a scapito dei poveri e degli ultimi, forse la quintessenza di questa Francia senzāanima che sembra attendere una sentenza di morte, mentre prova a guardarsi dentro e vede svanire ogni certezza.
Charlie ĆØ ancora al suo posto, certo, ironizza quanto e piĆ¹ di prima, ma non ĆØ la stessa cosa. Quel sangue ĆØ rimasto sui pavimenti e sui muri della redazione, imprimendosi al contempo nella nostra anima.
Al Bataclan ci si diverte ancora, certo, ma ci si domanda anche: e se la prossima volta toccasse a me? PerchĆ© questa ĆØ lāessenza del terrorismo: la paura che non si dissolve, lāansia che possa succedere di nuovo, la sensazione di essere circondati da un nemico invisibile, che cresce nelle nostre cittĆ , nelle nostre banlieue e fra i vicini di casa, come ĆØ capitato ad esempio in Belgio, con gli attentatori provenienti da Molenbeek, a dimostrazione di quante illusioni abbiano caratterizzato la nostra modernitĆ posticcia e priva di identitĆ .
Dieci anni dopo ricordiamo, analizziamo, ci interroghiamo e ci sforziamo di andare avanti, mentre dellāEuropa, dopo la Brexit e il fenomeno Trump, peraltro di nuovo in auge, ĆØ rimasto assai poco, colpita comāĆØ da una guerra che ne assedia i confini e da unāaltra che ne interroga le coscienze.
Parigi, la cittĆ dei lumi, della libertĆ , dellāuguaglianza e della fratellanza, capitale del pensiero moderno e rivoluzionario, compendio di tutto ciĆ² che eravamo e non siamo piĆ¹, Parigi, dicevamo, ĆØ oggi la piĆ¹ alta rappresentazione della tristezza che ci avvolge, in una sorta di āretrotopiaā collettiva che non dĆ scampo a nessuno e ci lascia senza parole. Ecco, lāassalto contro la sede di Charlie Hebdo ha significato soprattutto questo: la perdita delle parole per dirlo, come se volessimo spezzare le nostre matite, riporre nel taschino della giacca le nostre penne, staccare i polpastrelli dalla tastiera del computer o del tablet e alzare bandiera bianca. Sappiamo che non ce lo possiamo permettere, ma sappiamo anche, dopo la strage del 2015, quale potrebbe essere il prezzo da pagare alla nostra sete di libertĆ . E cosƬ, almeno noi, ne avvertiamo un desiderio sempre piĆ¹ forte. Abbiamo bisogno di illuderci, almeno questo, che tutto possa cambiare, che si possa tornare a seguire un concerto preoccupandoci al massimo di non uscirne assordati o abbagliati dalle luci dei riflettori, che si possa mangiare di nuovo in un ristorante senza la preoccupazione che qualcuno possa farvi irruzione con un mitra in mano; insomma, una retrotopia giustificata, comprensibile, diremmo quasi ineccepibile, anche se sappiamo che non si puĆ² prescindere dalla fase storica in cui viviamo se vogliamo guardare al futuro. Solo che noi con questa maledetta contemporaneitĆ non sappiamo e non vogliamo fare i conti, perchĆ© un poā ci spaventa e un poā ci fa addirittura schifo.
Charlie ĆØ rimasto al suo posto, ĆØ uscito anche dopo essere stato falcidiato dai colpi dei terroristi che non gli perdonavano lāirriverenza nei confronti dellāislam, ha continuato a prendere in giro tutto e tutti, senza guardare in faccia a nessuno, e a indicarci la strada di una satira che colpisce dritta al cuore senza chiedere permesso a chicchessia. Ma ānoi, quelli di allora ā per dirla con Neruda ā non siamo piĆ¹ gli stessiā.
Ricordiamo le vittime, ne contiamo il numero, come se avesse un senso, ci fermiamo a osservare lāespressione gentile di Valeria Solesin e rimaniamo in silenzio, disarmati di fronte a un abisso che ci ha inghiottito dieci anni fa e dal quale non siamo piĆ¹ riemersi. Forse perchĆ© insieme a Parigi ĆØ sprofondata una certa idea dāEuropa, lasciando spazio ai predoni contemporanei che vorrebbero rialzare i muri, erigere steccati e circondare i confini con il filo spinato. Senza rendersi conto, o forse capendolo benissimo, che comportandosi cosƬ non sono diversi dagli attentatori che hanno mirato alla nostra anima e sono riusciti a strapparcela. Ormai, difatti, ragioniamo come loro, con la stessa ferocia, lordando la memoria di quei vignettisti che volevano vivere liberi e di quei giovani che volevano vivere in unāEuropa unita e capace di prendersi per mano. Li abbiamo uccisi una seconda volta. Non cāĆØ sconfitta peggiore nĆ© tradimento piĆ¹ grande di questo.
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