Meloni, Trump e Musk: il «blitz spettacolare» della premier e l’insofferenza di Salvini e Tajani

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di
Monica Guerzoni

La risposta alla sinistra e l’insofferenza dei suoi vice: Salvini si è visto scavalcato in corsa, Tajani teme ricadute sulla politica estera. Ma la premier, «alla scuola di Berlusconi», ha imparato che la politica estera è fatta di rapporti umani

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Le foto della premier sorridente al Balloon Museum dell’Eur, dove ha festeggiato l’Epifania con la figlia Ginevra, raccontano solo le luci del dopo-Trump. Perché il viaggio a sorpresa in Florida per cenare con il presidente eletto degli Stati Uniti, che i meloniani rivendicano come «un blitz spettacolare», ha scatenato le opposizioni in Italia e agitato (parecchio) anche i due vicepremier. E se Salvini ha nascosto i cattivi umori per essere stato preceduto alla corte di The Donald e si è persino complimentato sui social, per ricucire con Tajani c’è stato bisogno di una telefonata chiarificatrice.

Due giorni fa, mentre l’aereo di Stato volava verso Palm Beach, dalla Farnesina uscivano spifferi glaciali. Chi raccontava di un leader di Forza Italia «furioso perché non è stato nemmeno informato» e chi assicurava che il ministro era deluso perché avrebbe voluto salire a bordo. Finché ieri Meloni e il responsabile degli Esteri hanno discusso e hanno aggiustato la narrazione e adesso fonti di governo assicurano che «Tajani ovviamente sapeva del viaggio» e che l’avrebbe persino incoraggiata a partire. Ma solo dopo aver consigliato alla premier di «costruire un negoziato che porti alla liberazione di Sala senza danneggiare il ruolo politico dell’Italia nel Mediterraneo e in Medio Oriente».




















































Tornata a Roma, Meloni deve fare i conti con la fibrillazione dei suoi vice, costretti ad assistere allo spettacolo di una premier che balla sempre più da sola, prova ne sia anche l’addio di Elisabetta Belloni. Salvini, che ha da tempo in tasca il biglietto per presenziare il 20 gennaio alla cerimonia di insediamento di Trump, si è visto scavalcato in corsa. E Tajani soffre il dinamismo della donna che guida il governo e che si sta occupando in prima persona del destino di Cecilia Sala, senza troppo curarsi di concertare le scelte con la Farnesina. «Giorgia, dobbiamo andare avanti insieme altri tre anni», ha chiesto più condivisione il segretario di FI.

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A Palazzo Chigi, oltre alle critiche della minoranza, arriva anche la preoccupazione di chi, tra gli alleati, teme che Meloni abbia politicamente «firmato una cambiale in bianco a Trump» pur di liberare la giornalista. Ma la premier è determinata a condurre in prima persona le trattative con gli Usa e con l’Iran. «Tenere il profilo basso, lavorare seriamente e parlare il meno possibile», è la linea di Palazzo Chigi, dove si ricorda che «questo approccio ha funzionato con Alessia Piperno, Chico Forti e Patrick Zaki».

E poiché la situazione è delicatissima anche dal punto di vista diplomatico, con Trump che non è ancora entrato alla Casa Bianca e Biden che non ne è ancora uscito ed è atteso giovedì mattina a Palazzo Chigi, Meloni ha chiesto ai suoi di chiarire che «gli apparati dello Stato italiano stanno parlando con l’attuale amministrazione Usa, non con quella futura». Come a dire che non c’è nessuno sgarbo nei confronti di Biden e che il caso Sala non era il «motore principale» della missione a Mar-a-Lago. 

Ecco dunque la versione meloniana: se è partita spiazzando tutti, è perché alla scuola di Silvio Berlusconi ha imparato che la politica estera è fatta di rapporti umani e voleva dare all’esterno il massaggio plastico della sua «amicizia» con Trump.

Quanto a Starlink, per Meloni la polemica delle opposizioni è «semplicemente surreale». Ed è «ridicolo» pensare che lei ne abbia parlato col presidente eletto. 

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Renzi sospetta che il governo abbia firmato con Elon Musk un appalto senza gara da 1,5 miliardi, Conte accusa Meloni di mettere la sicurezza dell’Italia nelle mani di Trump, Schlein chiede alla premier di riferire in Parlamento. E lei si infuria. «Su cosa dovrei riferire, se l’accordo ancora non c’è? — si è sfogata con un ministro —. La sinistra ha tirato fuori Starlink per offuscare il successo della mia missione negli Usa».

Il che però non vuol dire che il dossier non sia sul tavolo della premier. Sono mesi che a Palazzo Chigi si esaminano costi e benefici del sistema di comunicazione criptata di Musk, ritenuto «oggettivamente interessante» per la sicurezza di ministeri, ambasciate e apparati militari. Ma Starlink è un’azienda privata e Meloni e i suoi hanno capito che, per non cacciarsi nei guai, bisogna procedere con cautela. «È un percorso complesso, non esiste che Palazzo Chigi firmi un accordo con Musk — sospira un meloniano di alto rango —. Bisogna passare per gli organi competenti. Diciamo che siamo all’anno uno».

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7 gennaio 2025 ( modifica il 7 gennaio 2025 | 09:40)

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