La regista e studiosa italo-israeliana Miriam Camerini – ..
Il gradino, sul sagrato della chiesa di San Cristoforo, รจ lo stesso; il Naviglio di fianco, anche; persino il sole, caldo in questo inverno di Milano, ricorda quello dellโultima intervista, la primavera di tre anni fa. Allora avevamo faticato a trovare unโora tra i mille impegni teatrali di Miriam Camerini, incrociando possibilitร su una mappa complicata tra Gerusalemme, lโItalia, la Germania, la Francia. Le serie Tv Shtisel e Unhortodox stavano moltiplicando lโinteresse per lโebraismo e per Israele: cโerano domande, curiositร , richieste di spiegazioni a cui questa giovane attrice-regista-studiosa di ebraismo gerosolimitana per nascita, milanese e girovaga per scelta, sapeva corrispondere con il dono della sua arte. E poi.
E poi nei giorni scorsi, sui social, Camerini ha scritto un post (che ha generato centinaia di commenti e riflessioni) denunciando il fatto che oggi molti degli enti, organizzazioni e associazioni con cui ha lavorato in passato non vogliono sentire parlare di ciรฒ che propone: musica, teatro, storia e cultura ebraiche. Non ti fanno nemmeno finire la parola โebraicโฆ.โ, ha spiegato, che ti dicono: non รจ il momento.
In realtร sarebbe proprio questo il momento.
Come artista che si occupa di cultura ebraica, come ebrea, come italiana, come israeliana, mi sento sballottata da un estremo allโaltro: con Israele o con Gaza? Come se si potesse risolvere cosรฌ. La cosa interessante รจ che molte delle persone con cui entro in relazione mi dicono di sentirsi sole, senza possibilitร di confronto con gli altri, collocati su posizioni estreme e opposte. Se solo mettessimo insieme tutte le solitudini dei tanti che non hanno solo certezze monolitiche, ma che al contrario cercano prima di tutto di comprendere una situazione piena di sfumature, saremmo una moltitudine; se avvicinassimo tutti questi โesili interioriโ avremmo una massa critica che potrebbe raccontare la complessitร molto oltre il โderbyโ palestinesi-israeliani.
Perchรฉ non cโรจ la volontร di capire?
Qualche settimana fa sono andata in Piazza Fontana per una giornata in ricordo dellโomicidio di Giuseppe Pinelli. Cโerano solo bandiere anarchiche: mi รจ sembrato bello che finalmente una manifestazione fosse riuscita a mantenere il centro sul tema. Poi รจ salito sul palco un artista. Si รจ messo a cantare un rap con frasi come โSionisti peggio dei nazistiโ, โViva lโIntifadaโ, โResisti Palestinaโ. Lโho avvicinato alla fine del concerto, per capire. Mi sono presentata: Miriam Camerini, ebrea, nata a Gerusalemme. Gli ho chiesto cosa volesse esprimere. Mi ha detto di essere stato in Palestina, di aver visto una scritta: โGas the arabsโ e di aver sentito di donne prese a calci dai soldati. Ho fatto presente che era sicuramente una cosa orribile, ma che non poteva essere peggio di chi gli ebrei e molti altri li aveva messi nelle camere a gas per davvero. Ho provato a spiegare che i soldati che commettono crimini in Israele vengono perseguiti. Gli ho chiesto se secondo lui, a prescindere dalla domanda sui confini, di cui si puรฒ e si deve discutere, Israele possa esistere oppure no. Eโ sprofondato in uno sguardo inebetito. Mi ha detto: โHo appena cantato, sono stanco, non ho voglia di parlareโ. Ora: il problema non รจ lui, che puรฒ (non) pensare quel che vuole: il problema รจ che uno come lui รจ stato invitato a salire su quel palco, con quei toni.
Messaggi come questo si stanno moltiplicando.
Sรฌ, e si stanno giร traducendo in una forte, pericolosissima, indifferenza. Due amiche che erano con me a quellโevento, persone normali, colte, della sinistra milanese, non hanno reagito a quelle frasi oscene. Non ci fossi stata lรฌ io, raggelata, a causare loro almeno un poโ di imbarazzo, non ci avrebbero trovato nulla di strano.
Come si รจ arrivati fino a qui?
Israele ha risposto alle atrocitร del 7 ottobre con unโazione militare che io non ho condiviso nemmeno il primo giorno, che ho da subito rifiutato pubblicamente come inutile e sbagliata, prima di tutto perchรฉ ha reso quasi impossibile il recupero e la restituzione degli ostaggi israeliani e non solo rapiti da Hamas, molti dei quali sono in seguito stati assassinati e buona parte dei quali sono ancora nelle mani dei torturatori; e in secondo luogo perchรฉ ha causato e sta causando la morte di decine di migliaia di palestinesi a Gaza. Parlare di questo รจ difficile, perchรฉ in molti dei contesti ebraici tutta la responsabilitร dei morti a Gaza รจ attribuita a Hamas, che usa i suoi cittadini come scudi umani e il danaro che arriva da tutto il mondo per armarsi invece che per proteggere, curare o sfamare la sua popolazione; fuori dal mondo ebraico, invece, del 7 ottobre non parla piรน nessuno, semmai viene letto come lโinevitabile, quasi legittimo sfogo di una popolazione oppressa, cui sarebbe seguito un massacro del tutto sproporzionato e dettato da una volontร colonizzatrice da parte di Israele, sostenuta dalle potenze mondiali. In realtร , anche dentro Israele le voci di dissenso ci sono eccome: sono molti gli israeliani che protestano contro un governo che di fatto non li rappresenta piรน, contro una guerra che deve finire.
Lei ha sempre fatto corsi e rappresentazioni per spiegare le tradizioni ebraiche.
Ultimamente non mi sento di fare โsoloโ gli spettacoli sullo Shabbat, il cibo, o la musica klezmer. Ma come si puรฒ? Mi sembrerebbe di mettere la testa sotto la sabbia. Ho pensato corsi che analizzano il rapporto tra testi biblici e rabbinici e la politica, la guerra, la pace. Ne ho proposto uno al Festival Yiddish piรน importante dโEuropa, che si tiene ogni estate significativamente a Weimar, in Germania: ha funzionato. Ma ha anche dovuto superare perplessitร e cautele del Direttore che temeva fosse un prodotto troppo anti-israeliano. La Germania ha deciso di sostenere questโanno incondizionatamente il governo israeliano, forse anche โ dicono i maligni โ per pulirsi la coscienza una volta per tutte, e il risultato รจ che lรฌ neanche gli intellettuali ebrei hanno piรน il diritto di esprimere un pensiero critico su Israele, a rischio di perdere fondi pubblici e finanziamenti federali. E’ un paradosso che limita la libertร dโespressione delle varie voci ebraiche tedesche a favore di un pensiero unico: come se fosse il governo tedesco a stabilire che cosa di Israele e della Palestina devono pensare e dire tutti i suoi cittadini, ebrei compresi.
Piรน spesso a destare perplessitร e cautele sono i lavori considerati filo-israeliani.
โAntiโ, โfiloโ… Non รจ quello il problema. Il problema รจ riuscire a dirsi le cose per quello che sono. Con coraggio. Al mio corso di Weimar ha partecipato una musicista tedesca che ha insegnato per anni come volontaria a Ramallah. Parlava continuamente del suo โcuore palestineseโ. Al termine delle lezioni, mi ha chiesto come avrebbe potuto mettere in pratica quanto avevamo appena imparato sullโascolto delle opinioni altrui, la complessitร dei punti di vista. Le ho suggerito di porre attenzione a un concetto molto importante del chassidismo (un movimento di rinnovamento ebraico ispirato alla mistica e al Pietismo, nato in est Europa a metร del โ700, ndr) quello del birur (vaglio, chiarimento): lโauto-verificarsi costantemente. E quindi di applicarlo a sรฉ stessa, per capire come mai, delle tante ingiustizie che ci sono nel mondo, รจ proprio quella a suo avviso perpetrata da Israele in Palestina a muoverla tanto. ร rimasta scioccata, mi ha chiesto se la ritenessi unโantisemita, parola che detta a una tedesca nata poco dopo la Seconda Guerra mondiale sarebbe gravissima, e che io credo di non aver nemmeno pensata, ma la domanda sul perchรฉ proprio a Ramallah, fra tutti i luoghi di dolore del mondo, deve โbattere il cuore palestineseโ di questa insegnante di musica del nord della Germania io me la pongo. E resta senza risposta.
Israele sta combattendo su sette fronti. Come si pone, con la sua arte?
Ci sono momenti in cui bisogna assumersi la responsabilitร di essere la voce che manca, una voce critica e interrogativa, che non appiattisca le posizioni, ma ne faccia emergere sfaccettature e complessitร . Anche durante la guerra. A inizio estate ho diretto al Teatro comunale di Gerusalemme unโopera lirica del Settecento, del compositore italiano Giuseppe Sarti, su libretto tratto dallโepisodio di Armida e Rinaldo ne La Gerusalemme liberata di Torquato Tasso. La domanda che ho posto con la mia regia รจ stata: perchรฉ si sceglie la guerra? Perchรฉ con tanto entusiasmo il crociato Rinaldo, seppur innamorato della musulmana Armida, la abbandona per tornare a combattere contro i suoi? I crociati si trasformavano gradualmente in soldati dellโesercito israeliano, cartelli con parole come โdeterrenzaโ, โdifesaโ e persino โvendettaโ comparivano in scena a illustrare le scelte belliche dei personaggi. Alla fine del primo atto, Rinaldo, ormai completamente vestito e armato da soldato dellโesercito israeliano, volgeva il suo scudo-specchio verso il pubblico acciecandolo con le luci riflesse e costringendolo poi a specchiarsi e domandarsi se amava ciรฒ che era diventato. Eโ stato un lavoro faticosissimo: per realizzarlo come lo avevo immaginato e sentito necessario ho dovuto combattere con la produzione, inizialmente contraria allโuso delle divise (โLโesercito di Israele รจ sacroโ mi hanno detto, โNon si toccaโ) ma che mi ha ricordato perchรฉ facciamo spettacolo: per spingere le persone a farsi delle domande, a pensare. Io per prima lโho dovuto fare.
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