La terra tiene, la Basilicata perde e i trolley partono

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L’Epifania tutte le feste porta via. Ma non solo. Epifania fa rima con trolley carichi di sogni, di malinconia e una buona dose di rassegnazione, tra autobus affollati e pacchi da giù: inizia così il solito esodo che segue le festività natalizie. Un viaggio che segna – per studenti e lavoratori – il ritorno alla routine quotidiana lontano dalla Basilicata. I piccoli centri (e non solo) si svuotano, genitori e nonni salutano figli e nipoti. Li rivedranno, forse, a Pasqua. C’è quel sottile senso di vuoto che accompagna chi lascia casa, con il cuore diviso tra il sogno di trovare il proprio spazio nel mondo, la voglia di ritornare e affermarsi nella terra natia e l’attesa di qualche dignitosa opportunità che non sia il solito stage non retribuito. E dunque, passata la festa, con la puntualità di un orologio svizzero è stato annunciato il nuovo format comunicativo a cura dell’Ufficio Stampa della Giunta regionale della Basilicata “per indagare tra le reali opportunità di lavoro che offrono i comuni lucani. Un’occasione per conoscere luoghi, persone e reali opportunità di contrasto allo spopolamento”. Si chiama “La terra mi tiene” e vuole “provare a capire quali opportunità di lavoro possono offrire i paesi lucani, quali sono le possibilità di impiego per chi sceglie di rimanere o, perché no, anche per chi sceglie di tornare. Ospiteremo – è scritto nella nota di accompagnamento – le donne e gli uomini che sono sindaci dei loro Comuni e che verranno qui da noi a parlarci dei loro territori analizzando reali possibilità occupazionali che possono derivare da un corretto impiego di risorse pubbliche, fondi comunitari e risorse del Pnrr”. La realtà è ben più cruda e difficile da affrontare finanche da raccontare e romanzare. Il lavoro manca, il petrolio non ha affatto trasformato la Lucania nell’ottavo Stato degli Emirati. Viggiano e Corleto Perticara, la Val d’Agri e la Valle del Sauro non sono propriamente un modello virtuoso di sviluppo, nonostante la straordinaria ricchezza del sottosuolo. L’Unibas – impreziosita dalla facoltà di medicina e chirurgia – da Potenza a Matera non riesce a catalizzare un adeguato numero di studenti lucani ed extralucani. Una questione di attrattività? Forse. La crisi dell’automotive in uno degli stabilimenti più grandi d’Europa spaventa intere generazioni di operai da Melfi, ad Atella, passando per Filiano, Pietragalla, Rionero, Avigliano, Ruoti e così via, con il mutuo da pagare e tante speranze per il futuro. Le prospettive per chi ha un titolo di studio sono poche, raramente attrattive, scarsamente valorizzanti e spesso circoscritte a piccoli ambiti e i collegamenti tra i vari territori della regione sono insufficienti per garantire un vero sviluppo per le piccole imprese che faticano a decollare e ad aprirsi al mercato. In aggiunta il gravissimo problema della crisi idrica minaccia non solo la qualità della vita, ma anche le stesse attività produttive. I paesi lucani, tanto belli e ricchi di storia, soffrono un lento e inesorabile spopolamento che sembra impossibile da fermare. Le nuove generazioni, purtroppo, non trovano risposte adeguate alle loro aspettative e alle necessità reali di chi cerca stabilità e prospettive per il proprio futuro. Una regione che, nonostante le ingenti risorse naturali, pare prigioniera di se stessa e continua a soffrire i drammi del nostro tempo, che sostanzialmente sono quelli storici già denunciati da illustri meridionalisti e statisti a partire dal periodo post-unitario. Per Francesco Saverio Nitti, uno che di certo non ha bisogno di presentazioni, la Basilicata, come gran parte delle regioni del Mezzogiorno, era segnata da un grave ritardo nello sviluppo economico rispetto al resto d’Italia, aggravato dalla carenza di infrastrutture moderne, da un’agricoltura povera e arretrata spesso caratterizzata da una gestione feudale della terra e dalla mancanza di una vera industria. La “questione meridionale”, per Nitti, era un problema radicato nelle strutture sociali ed economiche che impedivano ogni forma di crescita e modernizzazione, da una scarsità di capitale e da un’economia dipendente dalla tradizione e non dall’innovazione. Nitti teorizzava un forte impegno da parte dello Stato centrale, ma anche una forte reazione delle classi dirigenti locali, che dovevano uscire dalla logica assistenzialista, che oggi potrebbe essere tradotto nella politica dei bonus, per promuovere un vero processo di emancipazione economica. Il concetto di “cultura industriale” che Nitti proponeva non era solo legato alla presenza di impianti industriali, ma includeva una serie di fattori: la mentalità imprenditoriale, l’organizzazione del lavoro, l’innovazione tecnologica, la capacità di progettare e gestire attività produttive complesse, sottolineando come il Sud Italia fosse stato vittima di una “colonizzazione” economica, con investimenti esterni che non contribuivano a sviluppare una cultura imprenditoriale locale. Invece di promuovere la nascita di piccole e medie imprese autoctone, il modello economico che si era imposto aveva creato un’economia dipendente dall’intervento dello Stato e da investimenti di capitali esterni. Parole, a distanza di oltre un secolo, ancora attualissime. Bonus, assistenzialismo, multinazionali che fanno il bello e il cattivo tempo, mancanza di un vero tessuto industriale, scarse infrastrutture, innovazione ferma al palo. L’economia lucana è in coma e lo ha certificato nero su bianco il Rapporto Svimez 2024. Il Pil reale è miseramente crollato a -5,7%, ultimi in Italia. Mentre nel resto del Mezzogiorno la vicina Puglia risulta essere la regione italiana più dinamica con un + 6,1% , bene anche la Calabria (+0,1%) e la Campania ( + 4,9%). Ma non solo, la fotografia scattata dall’Istat in occasione del Censimento 2021 riflette le dinamiche familiari attuali. La forte presenza di maggiorenni che vivono con entrambi i genitori o solo con uno di essi indica un’evoluzione dei ruoli intergenerazionali con la permanenza di under o over 30 nella famiglia di origine tra difficoltà economiche ed occupazionali, lavoro che manca, lavoro sottopagato e precariato. La coabitazione resta l’unico modo per sopravvivere con una situazione allarmante in Molise (66,6%) e in Basilicata (66,0%), seconda peggior regione d’Italia. Il crollo demografico e le culle vuote, in questo scenario desolante possono solo accompagnare e non saranno i migranti ad invertire il trend. Se davvero la terra ci tiene, senza retorica, slogan e paroloni pieni di vuoto, è ora che chi la governa mostri di tenere allo stesso modo. Altrimenti, anche i trolley, carichi di sogni e malinconia, continueranno a tornare ogni anno per qualche settimana, senza più motivi per fermarsi, come quel Cristo di Carlo Levi, fermo ad Eboli.





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