Meta cambia policy nell’era Trump: perché ci interessa

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Ieri Mark Zuckerberg ha annunciato un cambiamento radicale nelle sue politiche di moderazione dei contenuti: “È ora di tornare alle nostre radici sulla libertà di espressione. Stiamo sostituendo i fact checker con le note della community, semplificando le nostre normative e concentrandoci sulla riduzione degli errori. Non vedo l’ora che arrivi il prossimo capitolo” ha scritto nella caption che accompagna il reel.

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In pratica Meta, la società madre di Facebook, Instagram e Threads, eliminerà progressivamente i moderatori professionisti e i fact-checker indipendenti che verranno sostituiti da un sistema di “note della comunità” gestito direttamente dagli utenti. Nel video spiega molto chiaramente che questo approccio è simile a quello adottato da Elon Musk su X (ex Twitter), una scelta che sta già suscitando accesi dibattiti, non solo per il suo impatto sulla libertà di espressione e sul lavoro, ma anche per il chiaro spostamento ideologico che sembra accompagnarlo.

La scelta di Meta appare strettamente legata alle pressioni esercitate da ambienti politici conservatori, che in passato hanno accusato le piattaforme social di censurare voci di destra. Ora però sembra che qualcosa stia cambiando e molti ci vedono una strizzata d’occhio a Donald Trump. La nomina di Dana White – Ceo e presidente della Ultimate Fight Championship (Ufc) – noto sostenitore del tycoon, nel consiglio di amministrazione di Meta, rappresenta un segnale evidente di un possibile spostamento verso posizioni più permissive nei confronti dei contenuti controversi e di destra.

“Dana ha trasformato la Ufc in una delle imprese sportive più preziose, in rapida crescita e più popolari al mondo. Lo ammiro come imprenditore e per essere stato capace di costruire un marchio così amato”, ha scritto Zuckerberg su Facebook. Insieme a White, anche il presidente di Stellantis e Ferrari John Elkann voluto da Zuckerberg per la sua “profonda esperienza nella gestione di grandi aziende globali”.

Una nuova aria, insomma. Perché a quanto pare per il Ceo di Meta i fact-checker precedenti erano “troppo di parte politica” e il sistema di moderazione aveva “distrutto più fiducia di quanta ne avesse creata”. Dichiarazioni che risuonano come una concessione alle critiche provenienti dal fronte conservatore, che avevano accusato le piattaforme digitali di essere “baluardi della censura progressista”.

Perché sono importanti i moderatori professionisti

Senza un controllo adeguato, le piattaforme rischiano di diventare megafoni per la disinformazione, accentuando la polarizzazione del dibattito pubblico. La decisione di eliminare i moderatori professionisti e limitarsi a introdurre etichette informative meno intrusive potrebbe avere conseguenze gravi sulla qualità dell’informazione e sulla libertà di espressione.

Il ritorno a un modello di “autogestione” della moderazione, affidato agli utenti, appare come un ulteriore passo verso la deregolamentazione. Un approccio che, in un contesto politico sempre più polarizzato, favorisce inevitabilmente chi detiene maggiori risorse e organizzazione per manipolare le narrazioni online, penalizzando le voci meno strutturate, spesso appartenenti ai movimenti progressisti o di minoranza.

Che fine faranno moderatrici e moderatori?

La transizione avrà un impatto devastante sui lavoratori del settore della moderazione digitale, già sottoposti a condizioni lavorative difficili. Centinaia di moderatori rischiano il licenziamento, mentre il lavoro di controllo e verifica dei contenuti sarà affidato gratuitamente agli utenti.

Una convergenza tra tech e politica conservatrice

Il caso Meta si inserisce in una tendenza più ampia che vede i colossi del digitale sempre più allineati a posizioni conservatrici. Elon Musk, con la gestione di X, ha già mostrato come un approccio libertario alla moderazione dei contenuti possa in realtà tradursi in una piattaforma che privilegia le narrazioni di destra.

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Ora, con Meta che adotta un modello simile, il rischio è che i grandi attori del digitale diventino strumenti per rafforzare le posizioni dominanti e marginalizzare le voci critiche. Questo spostamento ha implicazioni non solo per la libertà di espressione, ma per la democrazia stessa, che trova nei media digitali uno dei suoi principali terreni di confronto.





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