- Il Ministero della Salute e le Regioni stanno lavorando alla riforma dei medici di base che potrebbe trasformare i liberi professionisti in lavoratori dipendenti nelle Case di comunità.
- L’intenzione del Governo è quella di mettere a disposizione personale specializzato nei centri di sanità territoriale, che apriranno da metà dell’anno prossimo grazie ai fondi del PNRR.
- Secondo la bozza della riforma, i medici di famiglia che svolgono attività come liberi professionisti dovranno mettere a disposizione della sanità territoriale un numero minimo di 14-16 ore a settimana.
I medici di famiglia non saranno più dei liberi professionisti che siglano convenzioni con il Servizio Sanitario Nazionale, ma diventeranno dei lavoratori dipendenti. Nelle intenzioni del Governo per il prossimo anno, infatti, c’è l’approvazione della riforma dei medici di base che apporterà grandi modifiche nel rapporto di lavoro e nella formazione di nuovi specialisti di Medicina Generale.
Addio agli studi privati: i medici di base verranno indirizzati nelle Case di comunità e nelle altre strutture dedicate alla sanità territoriale. L’idea è quella di mettere a disposizione personale qualificato per tutelare la salute dei cittadini, con l’obiettivo di ridurre gradualmente il numero di liberi professionisti che ad oggi adottano convenzioni con il SSN.
Coloro che stanno svolgendo attualmente attività autonoma, comunque, avranno la possibilità di scegliere se continuare con la libera professione o passare al lavoro dipendente. Tuttavia, dovranno garantire un certo impegno anche nella sanità territoriale.
Il testo della riforma dei medici di base non è ancora definitivo, ma si possono già delineare alcune novità per la categoria professionale: dal rapporto di lavoro alla formazione, scopriamo cosa cambia nel 2025.
Riforma dei medici di base: le novità 2025
Il Ministero della Salute, insieme ad alcune Regioni (in particolare Friuli Venezia Giulia, Veneto, Emilia Romagna e Lazio), sta lavorando a una vera e propria riforma per i medici di base.
L’idea, inserita in una bozza in attesa di valutazione, è quella di modificare completamente la normativa riguardante il Sistema Sanitario Nazionale (legge 502/1992 e le sue revisioni) per rendere la sanità territoriale più efficiente per i cittadini e soprattutto per contrastare la carenza di medici e pediatri.
Tra le novità più interessanti, come anticipato dal Sole 24 Ore, ci sarebbe la trasformazione della posizione lavorativa dei medici di famiglia. Ad oggi, infatti, la maggior parte di medici e infermieri sceglie la libera professione adottando convenzioni con il SSN: ciascun medico gestisce un numero massimo di 1.500 pazienti nel proprio studio privato (ma nella realtà dei fatti si può arrivare fino a 1.800).
Con l’apertura di oltre 1.400 nuove Case di Comunità, dalla metà del 2026, occorrerà indirizzare dei professionisti e specializzandi nella sanità territoriale. A tal fine, si potranno stipulare contratto di lavoro subordinato anche per i medici di famiglia, che dovranno svolgere un numero minimo di ore nelle unità nei distretti territoriali.
Medici di base assunti nelle Case di comunità: cosa cambia
Al momento, secondo il monitoraggio di Agenas1 (l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali) relativo al semestre gennaio-giugno 2023, le Case di comunità operative nelle Regioni sono 187, a fronte delle 1.430 che dovrebbero aprire entro il prossimo anno. Nell’ultimo monitoraggio aggiornato a giugno 2024, invece, ne risulterebbero attive 413 dislocate in 11 Regioni.
A mancare, invece, sono proprio i medici di base. Solo in 175 case di comunità è garantita la presenza di medici tra 50 e 60 ore a settimana, con numeri ancora più bassi per i pediatri.
Secondo quanto previsto dalla bozza della riforma, che potrebbe assumere la forma di un decreto, i medici di base che ad oggi operano come liberi professionisti all’interno di studi privati verrebbero assunti con contratto subordinato dal Servizio Sanitario Nazionale. Un cambio nel rapporto di lavoro che potrebbe aiutare a gestire meglio il personale a disposizione nei distretti di sanità territoriale.
I nuovi ambienti di lavoro dei medici di famiglia, quindi, sarebbero le case e gli ospedali di comunità oppure le Centrali operative territoriali (Cot) e i distretti. In questo modo, anziché svolgere la libera professione, verrebbero inquadrati come lavoratori dipendenti, con tutti gli obblighi e benefici connessi.
Formazione dei medici di famiglia
Per quanto riguarda le specializzazioni, la formazione dei medici di base diventerebbe universitaria e non sarebbe più gestita dalle Regioni. Ma questa non è l’unica novità per quanto riguarda i giovani che ambiscono alla professione medica.
Il cambiamento nel rapporto di lavoro non riguarderebbe tutti i medici di famiglia. Infatti, i neo laureati in Medicina Generale, dopo l’entrata in vigore della riforma, verrebbero automaticamente inseriti nel SSN come lavoratori dipendenti e dislocati nelle case di comunità. Coloro che ad oggi svolgono la libera professione, invece, potrebbero scegliere di non modificare la propria posizione lavorativa.
Nonostante questa libertà di scelta, i professionisti che decideranno di rimanere autonomi dovranno comunque rispettare il meccanismo della “doppia opzione”. In altre parole, essi dovranno garantire un numero minimo di ore a settimana a servizio dei distretti territoriali per lo svolgimento, ad esempio, di vaccinazioni, visite a domicilio o altre attività.
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