Trattative aperte per il patteggiamento: a processo anche altri tre imprenditori. Prima udienza fissata il 27 marzo
Prima udienza il 27 marzo, a poco più di otto mesi dal giorno in cui il terremoto dell’inchiesta «Palude» ha travolto il Comune di Venezia. Martedì, gli atti sono stati notificati all’ex assessore Renato Boraso e agli imprenditori Fabrizio Ormenese, Francesco Gislon e Daniele Brichese, i presunti «corruttori» sottoposti a misure cautelari dall’estate. La richiesta di giudizio immediato di fronte al tribunale collegiale (procedimento speciale che «salta» l’udienza preliminare) dei pubblici ministeri Federica Baccaglini e Roberto Terzo è del 27 dicembre e la stessa data porta anche il decreto del gip Alberto Scaramuzza, lo stesso che a luglio aveva firmato gli arresti, che dà il via libera a procedere e fissa la data perché «sussistono condizioni legittimanti». In questo modo, i due corni di inchiesta — la presunta corruzione con Boraso dominus degli illeciti e la vendita di Palazzo Papadopoli e le trattative sui Pili che coinvolgono anche il sindaco Luigi Brugnaro e i suoi «fedelissimi» Morris Ceron (direttore generale e capo di gabinetto) e Derek Donadini (vice capo di gabinetto) — sono ufficialmente divisi.
I reati contestati
I reati contestati ai quattro sono invariati: corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio (con aggravante della stipulazione di contratti), per l’esercizio della funzione pubblica, emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, turbativa d’asta. E in alcuni episodi, la recidiva. Le difese — avvocato Umberto Pauro per Boraso, Massimo Pavan e Leonardo De Luca per Ormenese, Paola Bosio per Francesco Gislon e Giuseppe Sacco e Luca Mandro per Daniele Brichese — avrebbero già iniziato il confronto con i pm, sull’ipotesi di patteggiamento che permetterebbe così uno «sconto» di un terzo di pena. Se non si arrivasse a un’intesa, la strada sarebbe quella del processo in aula. Tutto ruota attorno alla figura di Boraso, che nel suo ruolo di assessore, in cambio di denaro, avrebbe fatto pressioni per facilitare imprenditori «amici» nell’assegnazione di appalti pubblici, nella vendita di terreni e nello spingere procedimenti urbanisti. Come l’assegnazione di appalti alla Tecnofon di Brichese, specializzata in impiantistica, che avrebbe ottenuto «informazioni privilegiate» in gare quali ex emeroteca e istituto Pacinotti di Mestre.
I favoreggiamenti
Sempre la Tecnofon sarebbe stata spinta per un subappalto per la realizzazione di una Rsa di Favaro. Ormenese, unico con Boraso a finire in carcere a luglio, è ritenuto «concorrente morale» dell’ex assessore in quanto «istigatore e promotore della corruzione e intermediario iniziale nei rapporti con quest’ultimo». Avrebbe «lavorato» nel tentativo (fallito) di spingere la società Open software nell’appalto sulla gestione delle multe della polizia locale di Venezia, nella vendita dei terreni di Ive (società immobiliare di Ca’ Farsetti ora in liquidazione), ad esempio. Gislon invece (con la figlia Carlotta) sarebbe stato favorito in appalti con la sua Ma.fra.
Attivissimo, ben oltre le proprie deleghe istituzionali, l’ex assessore avrebbe fatto pressioni su funzionari e dirigenti, sul sindaco e sul suo staff, promosso incontri con società e direzioni e avrebbe anche, in qualche occasione, fatto capire che ci sarebbero state ritorsioni in caso non si fossero seguite le sue «indicazioni». Interventi che i pm definiscono «indebiti».Â
Le attività di consulenza
Nel caso della variante urbanistica della zona Aev Dese, avrebbe intimidito la responsabile del servizio opere idriche: senza mezze misure le avrebbe sottolineato le «conseguenze dannose» che avrebbe dovuto affrontare. Il tutto in cambio di soldi, 20 mila euro più lo 0,5 per cento della successiva rivendita dei terreni quantificato (da Boraso) in 100 mila euro. Da Ma.Fra., azienda di impiantistica sarebbe arrivato a fatturare più di 163 mila euro. Perché le tangenti sarebbero state coperte da attività di consulenza attraverso le sue società .
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