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L’aumento dell’attività sismica nei Campi Flegrei, a nord di Napoli, registrato negli ultimi anni desta preoccupazione e solleva interrogativi. Con il professor Sergio Vinciguerra, professore ordinario di sismologia al Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Torino e componente del CdA dell’Ingv, cerchiamo di approfondire i diversi aspetti del fenomeno.
Professore, cosa sta succedendo nei Campi Flegrei?
I Campi Flegrei sono conosciuti sin dall’antichità per l’intensa attività vulcanica. Il termine Flegrei deriva infatti dal greco flègo, letteralmente “ardo”, e significa “campi ardenti, in fiamme”. I Campi Flegrei si trovano in Campania, nel golfo di Pozzuoli a nord di Napoli e, a differenza dell’apparato vulcanico del Vesuvio ben localizzato nel raggio di 4 km, includono un vasto campo vulcanico (circa 130 kmq considerate anche le porzioni in mare) composto da diversi centri vulcanici distribuiti su un’area depressa chiamata caldera, attivi da oltre 80mila anni e formatisi a seguito di (almeno) due grandi eruzioni del passato, l’Ignimbrite Campana (40.000 anni fa) e il Tufo Giallo Napoletano (15.000 anni fa) che hanno “svuotato” il serbatoio magmatico e creato la depressione calderica. Negli ultimi 10.000 anni, la parte centrale di questa caldera è stata interessata da un significativo sollevamento, per effetto di un fenomeno di risorgenza che ha condizionato l’attività vulcanica successiva, consistita di più di 60 eruzioni, prevalentemente esplosive, separate da lunghi periodi di quiescenza. L’ultima – iniziata nella notte del 29 settembre 1538, dopo un periodo di stasi di 3.000 anni – ha generato in pochi giorni il cono di tufo del Monte Nuovo, un monte alto circa 130m sulla sponda orientale del lago di Averno. L’eruzione è stata preceduta da importanti fenomeni precursori (sismicità , sollevamenti del suolo nell’area del cratere in formazione, degassamento), è durata una settimana ed è stata dominata da esplosioni freatomagmatiche, con generazione di correnti piroclastiche e depositi da caduta. Oggi l’area flegrea è sede di intensa attività fumarolica (es. La Solfatara, Pisciarelli), di attività sismica e di sollevamenti e abbassamenti del suolo periodici.Â
Il territorio in questione è interessato dal fenomeno del bradisismo. Ce lo può spiegare meglio?
Il termine bradisismo indica proprio il fenomeno caratteristico del periodico lento sollevamento e abbassamento del suolo, che è parte del più generale fenomeno della risorgenza. Del bradisismo si ha conoscenza sin da epoca Romana. Gli episodi più recenti di sollevamento sono stati quelli del 1969-72 e del 1982-84 con un sollevamento totale di oltre 3.5m, per cui molti abitanti dell’area, soprattutto quelli del centro storico di Pozzuoli, furono costretti ad abbandonare le proprie case. Questo picco di sollevamento è stato seguito da un periodo di subsidenza, interrotto nel 2005 e che continua tutt’oggi con un nuovo lento sollevamento del suolo che a ottobre 2024 ha superato i 134 centimetri cumulativamente.
Dal 2010 in particolare si è osservato un incremento del numero di sciami e di eventi all’interno di ciascuno di essi. A partire dalla fine del 2022 e fino al primo semestre 2024 si è osservato un ampliamento delle zone di frattura nella parte occidentale della caldera, in concomitanza di aumenti di sollevamento del suolo fino a 2cm al mese e anomalie geochimiche, anche in termini di tassi di degassamento con un ulteriore aumento del tasso di sismicità e l’accadimento di diversi terremoti con Magnitudo oltre 3.5 (il più energetico è stato il terremoto di Magnitudo 4.4 accaduto il 20 Maggio del 2024), segnale di un’intensa attività di deformazione delle rocce in risposta alla pressurizzazione. Dopo Giugno 2024 si è osservato un decremento sia della velocità di sollevamento del suolo (diminuita a 1cm o meno per mese di sollevamento) che della frequenza e della magnitudo dei terremoti, mentre le anomalie geochimiche permangono.Â
Esiste un pericolo di eruzione?
Questa è la domanda più difficile a cui rispondere. I Campi Flegrei rimangono in una condizione di disequilibrio, con un accumulo di pressione sulla crosta e accadimento di sismicità come risposta meccanica delle rocce che si fratturano. Tuttavia la velocità del sollevamento del suolo si è più che dimezzata rispetto alla prima metà di quest’anno e le temute accelerazioni di velocità di sollevamento e magnitudo dei sismi seguono una chiara riduzione, che fa sperare in segni di transizione verso la chiusura di questa crisi. Permangono però anomalie geochimiche e di tassi di degassamento che per alcuni studiosi possono essere compatibili col trasferimento a grandi profondità (maggiori di 8km) di accumuli di magma che potrebbe essere la causa del disequilibrio del sistema idrotermale più superficiale (<4km) che osserviamo.Â
Queste condizioni non mostrano evidenze dell’imminenza di una eruzione vulcanica e sicuramente non di grande scala, che può essere causata solo dall’accumulo di una grande quantità di magma al di sotto del vulcano con segnali molto evidenti, che attualmente non sono riscontati. Prima dell’ultima eruzione del 1538 ad esempio si osservarono sollevamenti di decine di metri in diverse zone dei Campi Flegrei, cosa che allo stato attuale è esclusa dai dati osservati. Resta quindi fondamentale l’azione di monitoraggio condotta dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia e dai centri di competenza e individuare anche le più piccole variazioni nei parametri acquisiti per definire al meglio l’evoluzione del fenomeno in corso. Â
Sul sito del Dipartimento della Protezione Civile sono riportate le istruzioni per i cittadini in caso di eruzione. C’è un piano di allerta e protezione e come funziona?
Sulla base del monitoraggio dei parametri geofisici e geochimici sopra descritti (es. deformazioni del suolo, sismicità , tassi di degassamento e composizione chimica) e gestiti dall’Osservatorio Vesuviano dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia e sul parere della Commissione Nazionale per la Previsione e Prevenzione dei Grandi Rischi, il Dipartimento di Protezione Civile, che è una struttura della Presidenza del Consiglio di Ministri, in raccordo con la protezione civile regionale dichiara uno stato di allerta. Ci sono 4 livelli di allerta, il più basso, il livello di allerta verde corrisponde all’attività ordinaria del vulcano, mentre i livelli di allerta giallo (attenzione), arancione (pre-allarme) e rosso (allarme) rappresentano stadi crescenti di disequilibrio del vulcano. A sua volta il territorio è suddiviso in zone rosse (es. comune di Pozzuoli e alcuni quartieri di Napoli) in cui è possibile l’invasione dei pericolosissimi flussi piroclastici che possono risultare letali per le elevate temperature e velocità e zone gialle in cui il pericolo riguarda principalmente la stabilità degli edifici per la ricaduta di lapilli e ceneri vulcaniche (es. 24 quartieri di Napoli). Sulla base della corrispondenza tra stato di allerta e classificazione del territorio sono previste azioni specifiche che variano dall’evitare zone depresse, potenziali siti di accumulo di gas vulcanici per allerta giallo in zona gialla ad esempio a ordine di allontanamento immediato ed evacuazioni di massa per allerta rosso in zona rossa. Dal 2012 lo stato di allerta è giallo, pertanto di attenzione e presa conoscenza dei piani di evacuazione per le zone rosse. Â
I fenomeni sismici hanno interessato in questi ultimi anni anche molte zone del centro Italia. Quali sono le altre zone critiche?
Parliamo di sismicità di origine tettonica, non vulcanica, che può quindi raggiungere magnitudo ben più elevate. Il nostro paese è interamente soggetto a rischio sismico medio-alto trovandosi tra due grandi placche, quella africana e quella euroasiatica, il cui movimento relativo causa l’accumulo di sforzi che vengono rilasciati attraverso terremoti. Questo quadro geodinamico, in combinazione con una elevata vulnerabilità del nostro patrimonio edilizio ed esposizione della popolazione, rendono il rischio sismico, tra i rischi naturali che interessano l’Italia, di gran lunga il più pericoloso. Basti pensare alle 80mila vittime del terremoto del 1908 di Messina-Reggio Calabria, agli oltre 3000 di quello dell’Irpinia del 1980, alle diverse centinaia di vittime per i terremoti in Italia Centrale (L’Aquila 2009 e Amatrice 2016). Le zone a più alto rischio sismico includono gli Appennini e in particolare l’Appennino Centrale e Meridionale, l’Italia Nord-Orientale e la Sicilia Orientale. Il Piemonte ricade in una zona a medio rischio sismico, generato da sorgenti presenti in Liguria Occidentale, nel così detto arco sismico Piemontese nelle Alpi Cozie Settentrionali con particolare riferimento al Pinerolese in cui spicca l’impatto del terremoto del 2 Aprile 1808 sulla Val Pellice (M=5.8), in Val d’Ossola e dalle strutture sismogenetiche profonde presenti nell’Alessandrino e nell’Astigiano. L’Ingv fornisce in tempo reale la lista dei terremoti e un database che conserva informazioni dal 1985, consultabile online.Â
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