Il mondo attende la “rivoluzione Trump”. Il punto della situazione sul fronte economico

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Il 20 gennaio Donald Trump tornerà per la seconda volta alla Casa Bianca e, forte della precedente esperienza, ha già fatto sapere che intende confermare gran parte della sua agenda elettorale, in primis i dazi e le tariffe doganali. Il mondo attende con il fiato sospeso i primi provvedimenti e gli analisti cercano di comprendere la direzione che potrebbe prendere l’economia mondiale e, non ultimi, i rapporti diplomatici con quella che, nonostante la diretta concorrenza della Cina, è ancora la prima potenza economica al mondo. Qual è il quadro che va delineandosi sul fronte internazionale e su quello produttivo? A rispondere è Saverio Berlinzani, analista di ActivTrades.

Secondo quanto dichiarato dalla presidente della Commissione Ue Ursula Von der Leyen “La relazione con gli Usa è una priorità. Questo soprattutto perché siamo importanti partner commerciali e condividiamo mercati e catene di fornitura profondamente integrate”. Alla luce di queste parole e soprattutto delle intenzioni del prossimo presidente USA Donald Trump, come potrebbero cambiare i rapporti commerciali tra le due sponde dell’Atlantico?

«La dichiarazione della presidente della Commissione Europea Ursula Von der Leyen evidenzia l’importanza della relazione commerciale tra UE e USA, ma il ritorno di Donald Trump alla presidenza introduce potenziali cambiamenti significativi nei rapporti tra Usa e Ue. La prima conseguenza potrebbe essere la reintroduzione del protezionismo che andrebbe a deteriorare i rapporti tra le due aree, specie se i dazi riguarderanno settori come l’automotive, l’agricoltura e l’industria. Trump vuole ridurre la dipendenza dall’estero e l’Europa è sicuramente una di quelle aree coinvolte in tale riduzione. Detto questo va ricordato che vi sono anche obiettivi comuni, come ridurre la dipendenza dalla Cina, nei settori tecnologico ed energetico. Ciò potrebbe portare a una maggiore cooperazione in ambiti come lo sviluppo di tecnologie avanzate e l’espansione delle filiere produttive occidentali».

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Trump ha dichiarato, durante la sua campagna elettorale, di voler imporre dazi fino al 60% sui prodotti cinesi e fino al 200% sulle auto prodotte in Messico. Ma anche l’Ue rischia. Infatti l’Unione è ancora fortemente dipendente, in alcuni settori, dalle esportazioni verso gli Stati Uniti. Quali sono le fragilità che il Vecchio Continente potrebbe presto dover pagare? E in quali settori?

«Le dichiarazioni di Trump riguardo all’imposizione di dazi elevati rappresentano una minaccia per i partner commerciali degli Stati Uniti, compresa l’Unione Europea. Il Vecchio Continente, nonostante la sua posizione economica, è vulnerabile in diversi settori chiave delle esportazioni verso gli USA. In primis il settore dell’automotive, che, già in sofferenza per via della transizione verso l’elettrico, potrebbe ulteriormente pagare l’introduzione di dazi. Ma anche il settore dell’agricoltura, e tecnologici sarebbero pesantemente colpiti» 

Secondo i critici l’onere economico dei dazi rischia di ricadere sui consumatori statunitensi. Quali sarebbero, in questo caso, eventuali conseguenze? E quali quelle che ricadrebbero sul settore produttivo e commerciale?  

«I dazi imposti dall’amministrazione Trump, pur essendo concepiti per proteggere i produttori nazionali e riequilibrare il commercio, possono generare un’ondata di conseguenze economiche indesiderate. I dazi fanno salire i prezzi dei prodotti importati. Ad esempio, se vengono applicati dazi su beni di consumo come elettronica, abbigliamento o automobili, i consumatori statunitensi si troveranno a pagare di più. I produttori locali potrebbero aumentare i prezzi in assenza di pressione concorrenziale da parte dei beni importati. Un aumento generalizzato dei prezzi potrebbe spingere l’inflazione, costringendo la Federal Reserve a rivedere le sue politiche monetarie (ad esempio, alzando i tassi d’interesse). Molte aziende dipendono da materiali e componenti importati. I dazi su queste importazioni aumenterebbero i costi di produzione per le imprese manifatturiere. Le aziende potrebbero dover scegliere tra trasferire i costi ai consumatori (rischiando di perdere quote di mercato) o assorbire i costi, riducendo i margini di profitto. Alcune imprese potrebbero rilocalizzare la produzione negli Stati Uniti per evitare i dazi. Tuttavia, i costi del lavoro e di produzione più elevati negli USA potrebbero limitare i vantaggi economici di tale strategia».

Tra le accuse mosse dal tycoon anche quella secondo cui l’Europa non pagherebbe abbastanza per la difesa. Quali sono le proposte del futuro presidente USA? Partendo da questo presupposto l’Europa potrebbe essere spinta a rafforzare la propria autonomia in settori strategici e a cercare nuovi equilibri globali?

«Le dichiarazioni di Donald Trump sull’Europa che non pagherebbe abbastanza per la difesa non sono nuove e ricalcano le sue posizioni assunte durante il primo mandato. Secondo il tycoon, gli alleati europei della NATO dipenderebbero troppo dagli Stati Uniti per la loro sicurezza senza contribuire in modo equo alle spese comuni. Trump ha già chiesto in passato che gli Stati membri della NATO rispettino l’impegno di destinare almeno il 2% del PIL alla difesa. Trump potrebbe preferire trattative bilaterali con singoli paesi europei invece di lavorare attraverso la NATO stessa , favorendo un approccio più frammentato e indebolendo la coesione europea. La pressione degli Stati Uniti potrebbe spingere l’Unione Europea a rafforzare la propria autonomia strategica e a rivalutare il proprio ruolo geopolitico». 

Le tensioni con gli Stati Uniti potrebbero accelerare un cambiamento negli equilibri globali.  Tuttavia, conclude Berlinzani, il successo di questa trasformazione dipenderà dalla capacità dell’UE di superare le divisioni interne e di agire con unità e visione.


FOTO: EPA





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