L’Antitrust ripropone di consentire autoproduzione e scambio di manodopera in porto

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Con 4 pagine dedicate loro sulle 25 complessive, i porti si confermano al centro dell’attenzione dell’Antitrust, che ha appena diffuso le “proposte di riforma concorrenziale ai fini della legge annuale per il mercato e la concorrenza – anno 2024” presentate al Parlamento.

Delle quattro proposte ‘portuali’ quella che ha immediatamente acceso la discussione è quella intestata a “manodopera e autoproduzione”.

“Uno dei fattori che limitano la competitività dei porti italiani è il maggior tempo in media richiesto per le operazioni portuali, che si traduce in un maggior numero di giorni spesi in porto dalle navi e quindi in maggiori costi per le compagnie di navigazione” introduce il garante, senza indicare la provenienza dell’interessante statistica (presumibilmente l’ultimo bollettino Unctad, dove si riporta la seguente tabella con l’Italia sopra media, elaborata sulla base della controversa classificazione predisposta da Standard&Poor, peraltro con riguardo alla sola movimentazione di container).

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La soluzione per l’Autorità garante del mercato e della concorrenza è “una maggiore flessibilità nell’uso della manodopera”, flessibilità oggi “limitata, tra le altre cose, dal divieto dello scambio di manodopera tra le diverse aree demaniali date in concessione alla stessa impresa o a soggetti comunque alla stessa riconducibili (…) e dalle pesanti restrizioni cui è stato assoggettato il ricorso all’autoproduzione”, sebbene quest’ultima non abbia nulla a che fare con la movimentazione di container e con le relative presunte inefficienze italiche.

Ad ogni modo la proposta è quella di modificare la legge portuale, rimuovendo il divieto di scambio di manodopera e modificando l’articolo 16 della legge portuale in modo che il ricorso all’autoproduzione sia a totale discrezione dell’armatore (e non più condizionato dall’eventuale indisponibilità di manodopera portuale).

La seconda proposta è quella di “avviare, ai sensi dei commi 14 e 15 dell’art. 6 della legge 84/1994, un processo di valutazione del numero e dei limiti territoriali delle Autorità di Sistema Portuale”. In sintesi, cioè, l’Agcm è convinta dell’esigenza di aumentare le dimensioni giurisdizionali delle singole Adsp e di ridurne il numero complessivo, per consentire “a sistemi di porti più ampi di quelli gestiti da una sola delle Adsp attuali una scala operativa che permetta di competere a livello intramediterraneo (…), valorizzando nel contempo le diverse vocazioni dei porti gestiti dalle differenti Adsp”.

Il terzo capitolo è dedicato alle concessioni, con lo stigma per la pratica degli accordi sostitutivi e l’auspicio che le Adsp si muovano per tempo onde evitarli. Tema esteso alle istanze di parte in caso di proroga e rinnovo, laddove quelle dell’incumbent “pongono quest’ultimo in una situazione di vantaggio competitivo”. Anche in questo caso il suggerimento è quello di modificare l’articolo 18 della legge portuale, eliminando accordi sostitutivi e istanze di parte e prevedendo che le Adsp attivino procedure ad evidenza pubblica, per l’assegnazione delle aree portuali, “almeno 12 mesi prima della scadenza delle concessioni esistenti o non appena una nuova area portuale entri nella disponibilità dell’Adsp”.

La quarta proposta, infine, è quella di esplicitare il “recepimento dei principi di libero accesso alle infrastrutture portuali da parte degli utilizzatori individuato nel Regolamento (UE) 2017/352”, mediante l’inserimento nella legge portuale di un nuovo articolo che, oltre ad obblighi di trasparenza tariffaria, sancisca che “Per tutti i porti di cui all’art. 4, comma 3 (cioè tutti i porti di rilevanza economica almeno regionale, ndr), le condizioni di accesso agli impianti, alle installazioni e alle attrezzature del porto, ivi inclusa l’infrastruttura di cold ironing, praticate da gestori autorizzati e concessionari sono eque, ragionevoli e non discriminano tra utilizzatori”.

Immediata e veemente la reazione sindacale.

“Risulta davvero incomprensibile come l’Autorità non abbia minimamente analizzato i reali pericoli per l’integrità del principio della concorrenza e quali siano le vere distorsioni che possono mettere in pericolo l’aspetto pubblicistico e l’interesse generale del nostro sistema portuale. La norma attuale sull’autoproduzione tutela la sicurezza dei lavoratori portuali e marittimi, evitando che si diffondano forme di concorrenza sleale tra le imprese o vere pratiche di dumping sociale e salariale. È falso affermare che uno dei fattori che limitano la competitività dei porti italiani è il maggior tempo in media richiesto per le operazioni portuali” ha detto il segretario nazionale della Filt Cgil Amedeo D’Alessio.

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“Il mercato regolato dei porti risulta l’elemento imprescindibile per un corretto funzionamento del sistema logistico portuale poiché non permette che singole società condizionino le tariffe e i prezzi al consumo ad esclusivo appannaggio dei propri interessi e a discapito di tutti, a partire dai lavoratori. Ci chiediamo, pertanto, se sia davvero utile al Paese un’Autorità che anziché regolare il mercato ne facilita la deregolamentazione senza minimamente occuparsi delle posizioni dominanti che si stanno già configurando non solo nel settore marittimo e portuale” ha concluso il sindacalista auspicando l’accantonamento della proposta dell’Antitrust e ventilando, in caso contrario, il ricorso a iniziative di protesta.

A.M.

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