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Anche se recentemente una sentenza della Cassazione ha mischiato le carte in tavola, per le pensioni anticipate, a volte avere troppi contributi figurativi anziché aiutare, penalizza. Ci sono misure che prevedono un tetto massimo ai contributi figurativi da raggiungere.
Se si supera quel limite e quindi non si ottiene il numero giusto di anni di contributi effettivi, non si può andare in pensione. Un nostro lettore, facendo riferimento alla sentenza della Cassazione prima accennata, ci chiede spiegazioni da questo punto di vista.
“Buonasera, volevo capire se ci sono ancora i vincoli che non mi permettono di andare in pensione nonostante a conti fatti a fine marzo compio 42 anni e 10 mesi di versamenti. Mi riferisco ai 35 anni effettivi di lavoro che io non ho. Infatti ho oltre 9 anni di contributi figurativi per disoccupazione.
Durante la mia carriera lavorativa inizialmente facevo il manovale edile e andavo in disoccupazione ogni inverno. Poi sono passato a un lavoro più stabile, ma ho preso due anni di Naspi dal 2021 al 2023. E, per via di questi due anni di disoccupazione, ho superato i 9 anni di contributi di questo genere. Secondo voi dovrò lavorare ancora per andare in pensione?”
Niente pensione anticipata con troppi contributi figurativi, la regola che molti non conoscono
Per tutti i periodi di malattia indennizzata, oppure per quelli di disoccupazione, cassa integrazione, servizio militare, servizio civile, maternità e così via, l’INPS copre di contributi figurativi l’interessato. In pratica, durante questi periodi di non lavoro, in cui il contribuente percepisce indennità di vario genere, l’INPS riconosce anche la contribuzione figurativa.
Dal punto di vista previdenziale, questi periodi di mancata occupazione risultano comunque coperti. E, in linea di massima, i relativi contributi figurativi sono validi sia per raggiungere il diritto alla pensione, sia per il calcolo della pensione stessa. In altre parole, i contributi figurativi valgono per centrare i requisiti contributivi necessari ad accedere a qualsiasi misura pensionistica, così come per il calcolo dell’importo dovuto dall’INPS.
Eppure, oggi parliamo di contributi figurativi che, a conti fatti, sono troppi per consentire a un contribuente di lasciare il lavoro con la pensione anticipata ordinaria o con la quota 41 per i precoci. Contributi che restano validi per il calcolo della pensione, ma solo dopo che il contribuente raggiunge il numero minimo di contributi effettivi richiesti.
Pensione anticipata o quota 41 precoci, cosa sono i 35 anni effettivi
Per capire meglio, il nostro lettore rappresenta un esempio tipico. Avendo raggiunto 42 anni e 10 mesi di contributi, teoricamente centra il limite di contribuzione previsto per la pensione anticipata ordinaria. Ma per andare in pensione con 42 anni e 10 mesi se uomo, e 41 anni e 10 mesi se donna, non basta completare il requisito contributivo che, sulla carta, permette di andare in pensione senza limite di età. Bisogna infatti rispettare anche il vincolo dei 35 anni effettivi da lavoro.
In sostanza, dei 42,10 (o 41,10) anni di versamenti totali necessari per questa misura, almeno 35 anni devono essere al netto di contributi figurativi da malattia o da disoccupazione. Ed è proprio su questi contributi figurativi che il nostro lettore supera i 9 anni, mancando quindi i 35 anni effettivi. A conti fatti, per usufruire di queste prestazioni senza limiti di età, è sempre necessario arrivare a 35 anni effettivi; solo dopo si possono aggiungere eventuali anni di contributi figurativi, sempre validi al fine del calcolo della pensione.
Corte di Cassazione considera sempre buoni anche tutti i figurativi, ma una sentenza non è legge
Il nostro lettore menziona la sentenza della Cassazione secondo cui i contributi figurativi sarebbero sempre validi, a prescindere dai 35 anni effettivi. Si tratta della sentenza numero 24916 del 17 settembre 2024, nella quale gli ermellini della Suprema Corte affermano che non esiste alcun limite nell’includere tutti i contributi figurativi.
Tuttavia, come spesso accade, parliamo di sentenze che, pur costituendo un precedente importante, non modificano la normativa vigente. E quest’ultima stabilisce ancora i 35 anni minimi di contributi effettivi.
L’interpretazione dell’INPS, dunque, si rivela corretta quando respinge le domande di pensione motivandole con il mancato raggiungimento dei 35 anni di contributi effettivi. L’INPS continuerà a utilizzare questa linea. Toccherà eventualmente al contribuente a cui viene respinta la domanda far valere quella sentenza, presentando ricorso a sua volta.
Fermo restando che, soprattutto in una materia complessa come quella previdenziale, l’orientamento dei giudici può variare da caso a caso e da tribunale a tribunale.
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