In Sicilia è caos a tutti i livelli, dai medici di base ai laboratori. Faraone alla Camera sbugiarda il ministro
Chi prima risultava ‘esente’ a causa di una patologia, oggi deve versare anche 140 euro per ottenere un esame di laboratorio. Per i laboratori, infatti, non è più conveniente adeguarsi al tariffario nazionale ed alcuni hanno già deciso – nel caos che dal 30 dicembre ha travolto le strutture convenzionate – di adottare il listino delle prestazioni eseguite in regime privato. E’ l’esempio riportato in aula, alla Camera dei Deputati, dal capogruppo di Italia, Viva Davide Faraone. Al Question time dell’esponente renziano, ieri pomeriggio, non ha risposto il ministro Orazio Schillaci, cioè l’artefice del nomenclatore che spacca in due l’Italia sotto il profilo dell’offerta sanitaria. Bensì il ministro per i rapporti con il Parlamento, Luca Ciriani, che ha preso le difese del collega, ricostruendo per filo e per segno la gestazione di un decreto pubblicato il 27 dicembre ed entrato in vigore il 30, senza dare il minimo spazio ai medici curanti né alle Asp né tanto meno alle strutture convenzionate di organizzarsi. E che ha, involontariamente, offerto l’immagine di un governo in grande imbarazzo di fronte ai danni che il decreto Schillaci sta provocando a tutti i livelli. Se migliaia di strutture hanno fatto ricorso al Tar un motivo deve pur esserci. “Queste tariffe sono una nuova tassa per i pazienti in cerca di assistenza”, ha dichiarato Faraone.
I sistemi informatici per le prenotazioni e l’erogazione delle prestazioni, infatti, sono in tilt e l’aggiornamento delle tariffe e dei codici di codifica dei software di gestione – che avrebbe richiesto un tempo minimo di rodaggio – sta bloccando le operazioni in numerosi studi medici e ambulatoriali, compromettendo l’accesso ai servizi da parte dell’utenza. Si tratta della prima conseguenza dell’operato del governo Meloni. E di fronte a questo impaccio, servono a poco i numeri snocciolati da Ciriani, che parla di “550 milioni in più” rispetto a un tariffario bloccato da 26 anni. Perché è evidente come in talune regioni, per derogare alle tariffe introdotte da Roma, ci sia un margine d’iniziativa, prevedendole al rialzo (vedi il caso del Veneto); e come in altre, per colpa del maledetto “Piano di rientro”, ciò non sia possibile. E’ l’Italia a due velocità che prende forma. E si sostanzia ancor prima dell’osannata autonomia differenziata di Calderoli.
Si parte da una premessa, evidentemente sbagliata, e si arriva a conclusioni che potrebbero essere disastrose. Come ha evidenziato il Cimest, le strutture private convenzionate non sono in grado di garantire prestazioni sottocosto: potrebbero chiudere o dover licenziare fino a 10 mila dipendenti se dalla camera di consiglio del Tar del Lazio, che dovrà pronunciarsi nel merito del ricorso presentato da un migliaio di strutture, non dovessero emergere nuovi elementi. Ma, dicevamo, anche le premesse sono precarie, non hanno le fondamenta solide di un provvedimento di legge che punta alla coesione sociale. Tutt’altro. Lo ha detto la vicepresidente nazionale dell’AIOP (Associazione Italiana Ospedalità Privata), Barbara Cittadini, a Live Sicilia: “Di cosa bisognava tenere conto? Di tutti i costi diretti e indiretti: il materiale sanitario, le risorse umane, i costi energetici, l’inflazione, di tutto quello che serve a un’azienda per produrre una prestazione, che sia radiologica o di un laboratorio d’analisi, o una fecondazione assistita. C’è stato un incremento sensibile di tutte le materie prime e il nuovo tariffario non ne ha tenuto conto”.
Eccolo il problema. Ciriani ha provato a spiegare, nella sua blanda risposta all’intervento di Faraone, che la revisione tariffaria è costantemente monitorata da Schillaci e che “sarà possibile, in tempi ragionevolmente brevi, apportare tutte le eventuali modifiche che si riterranno opportune al tariffario vigente, al fine di renderlo sempre più coerente con l’evoluzione dei costi di produzione”. Ma se questo non è accaduto per 26 anni, come potrà avvenire nell’arco di poche settimane? Questo passaggio presunto-riparatore non basta a sancire la buonafede del governo. Il ministro ha gettato la maschera, invece, rispetto a un altro quesito, dichiarando che “tutte le regioni possono fissare tariffe superiori a patto che abbiano congrue risorse per garantire la conseguente spesa”.
La Sicilia, però, non ha le carte in regola. Come altre sei regioni (compreso il Piemonte) sottoposte a piano di rientro dal disavanzo sanitario. Nell’Isola dura da 18 anni e sembra un labirinto senza via d’uscita. La questione sarà affrontata direttamente da Schifani, che proverà a capire quali sono i margini per allentare la morsa e poter garantire alla Regione investimenti e denaro, oltre a un appiglio per garantire servizi all’avanguardia che passano da una costante sinergia tra pubblico e privato. Non sono pochi, in questi giorni, i guai da dover affrontare. Oggi i manager delle 18 Aziende e ospedali sono convocati a Palermo per far il punto sulle liste d’attesa e sulla riorganizzazione della rete ospedaliera (su cui premono le solite ingerenze della politica). Ma i due “ospiti illustri” saranno il Direttore sanitario e amministrativo dell’ospedale Villa Sofia, tenuti a rapporto sul decesso di un uomo che ha atteso invano, per 17 giorni, un intervento alla spalla. L’uomo è morto. Per il primario era colpa della polmonite, ma la famiglia non ci ha visto giusto e ha inviato un esposto in Procura.
Alla Regione, in questo caso e in altri casi simili (come la morte di una signora dopo 8 giorni in barella al Pronto soccorso dell’ospedale Ingrassia), invia un’ispezione per cercare di ricostruire la filiera delle responsabilità. Lo stesso Schifani, a Capodanno, è andato a verificare di personale le carenze di Villa Sofia (“Abbiamo registrato una grave carenza organizzativa – disse dopo il blitz – derivante dall’assenza di personale infermieristico nel reparto di ortopedia che aveva paralizzato tanti interventi, tanto da individuare ben 14 pazienti in attesa di intervento, femore rotto e altro”). Faraone però non si fa intenerire: “Il blitz che lui ha fatto a Villa Sofia, noi lo abbiamo fatto già quattro volte negli ultimi due anni e mezzo. E tutte le volte gli abbiamo lanciato un allarme: abbiamo detto a Schifani che così ci sarebbe scappato il morto, serviva un intervento immediato: lui è rimasto immobile. E lo stesso abbiamo fatto in decine di pronto soccorso in tutta la Sicilia. In alcuni si lavora in condizioni anche peggiori rispetto a Villa Sofia e lui è rimasto sempre, coerentemente, immobile. Adesso si sveglia e cerca il capro espiatorio. Gli consiglio di alzarsi dalla sua poltrona e cercare il primo specchio che trova. Guardandoci dentro avrà individuato il responsabile di una crisi sanitaria, che è figlia della lottizzazione politica praticata da lui e dai suoi sodali e dai mancati investimenti”.
Per evitare che il malato peggiori, serve una mossa. Ad aver suonato la campanella dell’ultimo round sono stati gli accreditati, che hanno proclamato lo stato di agitazione e chiesto un incontro urgente con il Presidente della Regione, “oltre alla contestuale apertura di un tavolo di crisi per cercare e trovare soluzioni concordate al fine di poter uscire dal “famigerato” Piano di Rientro che blocca ogni azione del Governo volta alla soluzione dell’adeguamento tariffario al pari delle altre regioni italiane”. “Da oggi non potremo erogare prestazioni sottocosto ad eccezione di quelle prescritte entro il 29 dicembre 2024”. I risultati si stanno già vedendo e gravano sulle spalle di tutti: medici di base, dipendenti delle strutture convenzionate, cittadini. Il caos è in atto. Anche il Partito democratico sembra essersi svegliato dall’oblio e annuncia una serie d’iniziative: “Avviamo un viaggio nella sanità regionale partendo proprio dalla trincea dei pronto soccorso dell’isola dove giorno 9 e 10 le nostre e i nostri parlamentari nazionali e regionali si recheranno per raccogliere le richieste e le denunce dei pazienti e del personale sanitario. Le ultime drammatiche vicende della sanità siciliana, testimoniano in maniera impietosa lo stato della sanità pubblica nella nostra regione. Operatori sanitari e pazienti sono abbandonati a loro stessi mentre Schifani rilascia comunicato stampa e organizza show inutili”.
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