Rapidamente rimbalzata sulle testate internazionali, preoccupa la recente presa di posizione del responsabile della salute pubblica americana (Surgeon general), Vivek Murthy, sul rapporto causa-effetto tra consumo di alcolici e l’aumento del rischio di cancro (Alcohol and cancer risk 2025), resa nota pochi giorni fa dal dipartimento della Salute (Hhs) sotto l’amministrazione di Joe Biden. L’ipotesi che anche gli Stati Uniti, prima destinazione per i vini italiani, possano scegliere di inserire alert salutistici sulle etichette dei vini e delle bevande alcoliche apre interrogativi di non poco conto, per le prospettive del beverage nazionale ed europeo. É anche vero che per concretizzare tale ipotesi occorrerebbe un voto del Congresso nell’imminente secondo mandato del presidente incaricato, Donald Trump, tuttavia è bastata la presa di posizione di un’autorità sanitaria (in scadenza di mandato e senza poteri esecutivi) a mandare in subbuglio metà del pianeta, con effetti immediati anche sui titoli azionari. Gli Stati Uniti, del resto, non sono l’Irlanda quanto a consumo di vino.
Per capire, allora, quanto reale sia tale rischio abbiamo raccolto il parere di Sandro Sartor, italiano alla guida di Wine in moderation, associazione internazionale che promuove il bere moderato e responsabile, in prima fila da anni nel lungo e acceso dibattito vino-salute, che tra l’altro sta allargando la propria squadra grazie a nuove adesioni. Sartor, che è anche vicepresidente di Unione italiana vini e manager di Ruffino (nell’orbita del colosso americano Constellation brands), evidenzia una importante novità che, a suo dire, aprirebbe scenari futuri meno catastrofici. Al settimanale Tre Bicchieri, il presidente critica l’impostazione scientifica del documento firmato Hhs e fa notare come un ente autorevole e indipendente come il National academies of sciences, engineering, and medicine (Nasem) abbia appena pubblicato i risultati di un nuovo e aggiornato rapporto su alcol e salute (Review of evidence on alcohol and health, commissionato dal ministero dell’Agricoltura degli Usa) che, nelle conclusioni, afferma che la mortalità nella popolazione – considerate tutte le cause di morte (cancro incluso) – è inferiore per chi consuma moderatamente alcol rispetto a chi non lo consuma per niente. Il lavoro, sostenuto dal Congresso americano, sarà una delle basi per stilare l’imminente edizione delle Dietary guidelines for americans per il periodo 2025-2030, a cui il governo federale dovrà fare riferimento.
Come giudica la pubblicazione dell’alert Hhs negli Stati Uniti? I casi di Irlanda e Belgio sono sotto gli occhi di tutti.
Non ci ha sorpreso eccessivamente. Questo 2025, infatti, è l’anno in cui alcuni documenti strategici di lungo termine, tra cui le linee guida per la salute negli Stati Uniti, sia quelli dell’Organizzazione mondiale della salute (Oms), devono essere pubblicati e aggiornati. Hanno valore quinquennale e, pertanto, vengono discussi con largo anticipo. In qualche modo era una presa di posizione attesa.
Quindi c’è da preoccuparsi o no?
Parzialmente. Il dipartimento che ha pubblicato questo alert sui rischi di cancro correlati all’alcol ha scelto di prendere una posizione in materia, per far sapere come andrebbe impostata la discussione futura sul tema. Si tratta di un position paper piuttosto che di una direttiva per i futuri governi. E arriva alla fine della presidenza Biden.
Ritenete la loro posizione fondata?
No. Riteniamo che una singola ricerca non sia sufficiente a dimostrare una tesi e che, pertanto, non si possa assumerla per buona in questo modo, facendone una teoria applicabile all’intera comunità di cittadini americani.
Quali sono gli elementi più critici?
Se andiamo a ben guardare, i grafici che illustrano le malattie e i rischi derivanti dall’uso dell’alcol, provengono da una ricerca realizzata in Australia nel 2021. E ciò ci fa anche capire quanto a volte ci si innamori delle notizie, ancorché parziali, prescindendo dal contesto e dal metodo pur di arrivare a una determinata tesi. Significa che questa ricerca è stata cercata, trovata e utilizzata al proprio scopo. Ci si focalizza sull’elemento dell’incremento del rischio, ma per un consumatore moderato di alcolici, in base proprio alla ricerca australiana, è un incremento molto modesto rispetto a quello di un astemio. Perlomeno non tale da giustificare un simile allarme.
C’è, almeno, qualche buona notizia?
Sì. Il recente lavoro del Nasem, che apre prospettive incoraggianti in questo dibattito. Perché è ampio, si basa su ben otto filoni specifici di ricerca, in un periodo tra 2019 e 2023, e conclude che a un basso e moderato consumo di alcol sia associato un rischio di mortalità inferiore rispetto a quello di chi non beve affatto.
Un punto a vostro favore, quindi.
La fonte è molto autorevole. Dicendo che il rischio decesso associato a un consumo moderato di alcol è simile se non più basso rispetto a quello di una persona astemia, dimostra la tesi che la scienza non è ancora allineata su questo punto. Il dipartimento Hhs, nella persona del surgeon general Vivek Murthy, conosceva gli esiti del rapporto Nasem ma, diciamo così, ha operato una fuga in avanti. In particolare, le conclusioni del Nasem dicono che per cancro alla mammella o al colon retto il rischio derivante dal consumo moderato di alcolici è invariato rispetto agli astemi; mentre in tutte le altre forme tumorali e nelle malattie cardiovascolari, che sono la prima causa di morte negli Stati Uniti, un moderato consumo di bevande alcoliche (due unità alcoliche al giorno per l’uomo e un’unità alcolica per la donna) porta rischi addirittura inferiori rispetto agli astemi.
Cosa possono fare le imprese del vino in questo contesto?
Il mondo del vino sta dalla parte della scienza. Quindi, se ci dovessero chiedere di scrivere in etichetta che l’abuso di alcol fa male alla salute saremmo pronti a farlo. Faccio notare che il logo della donna incinta lo mettiamo anche dove non è obbligatorio. Il mondo del vino scrive ciò che la scienza dice. Ma sul fatto che una piccola quantità di vino faccia comunque male non vediamo un allineamento. Nel momento in cui il bere con moderazione dovesse essere considerato scientificamente e unanimemente dannoso per la salute allora l’associazione dovrebbe chiudere i battenti.
Lo avete detto da tempo: il sistema è sotto attacco sia sul fronte culturale che scientifico. Il clima è peggiorato?
Il clima generale sta peggiorando. Siamo in un contesto in cui non si riescono ad affrontare i problemi legati all’abuso di alcol, soprattutto nei Paesi in cui la cultura del vino non è dominante. Italia, Francia, Spagna, Portogallo sono più virtuosi. Gli Stati in cui l’alcolismo è grave chiedono aiuto all’Oms e quando questa organizzazione dice che non c’è un ‘safe level’ sull’alcol riteniamo stia dando informazioni e strumenti errati a quei Paesi, per poter introdurre misure di contenimento di un fenomeno che però è incontrollato. Misure che, si badi bene, influiscono sui consumi e non certo sugli abusi. E se è necessario che la scienza dica qualcosa di utile alla politica, a volte subisce pressioni per dire cose non giuste. L’attacco al vino, di fatto, esiste perché non si sa attualmente come affrontare l’abuso. Ecco perché si interviene sull’uso dell’alcol, con aumenti di tasse, restrizioni sulle vendite di alcolici a certe ore, e così via.
Forse manca ancora la distinzione netta tra uso e abuso?
Sì, non si fa abbastanza. Wine in moderation è contro l’abuso. Vogliamo scrivere in etichetta che l’abuso fa male alla salute e siamo fortemente orientati a far sì che le norme combattano tale fenomeno.
Cosa pensa, allora, del nuovo Codice della strada italiano?
Sono state inasprite le sanzioni per la guida in stato di ebbrezza, senza modificare i limiti di alcol nel sangue, ma tutti hanno capito il contrario, cioè che d’ora in avanti si deve bere di meno.
Un errore di comunicazione?
Nella comunicazione sono state messe assieme, erroneamente, due fattispecie: i limiti delle sostanze stupefacenti ammesse, che sono cambiati, e i limiti del vino, che sono rimasti invariati. Ma il solo fatto di averli accostati è stato un grave errore che ha creato confusione. Ciò ha determinato un equivoco sul vino. Ricordo che il Codice inasprisce le sanzioni penali: prima sopra 1,5 mg/l e ora sopra 0,8 mg/l. Non stiamo dicendo che chi beve deve mettersi alla guida ma notiamo come, secondo le tabelle ministeriali, per andare fuori dal limite a stomaco pieno ci vogliano tre bicchieri di vino. Quindi, al ristorante si può continuare a bere moderatamente, uno o due bicchieri, come prima.
Che consiglio diamo ai ristoratori che notano un calo di vendite di vino e clienti impauriti?
Il ristoratore dovrebbe incoraggiare a portare via la bottiglia e dovrebbe usare meglio i mezzi formati (0,375 litri), pensando che il consumo di vino deve stare nei limiti dei due bicchieri. Sicuramente, il problema di business c’è. Noi produttori potremmo, ad esempio, fornire dei sacchetti per portare a casa il vino non finito (la proposta è stata lanciata da Assoenologi nei giorni scorsi; ndr).
Come giudica la posizione del ministro Matteo Salvini?
Non mi convince. Diversi anni fa difendeva l’alcol e il vino mentre ora ci va contro, seguendo logiche elettorali.
Ci salveranno, allora, i dealcolati o i low alcol?
No. Il problema del rapporto vino-salute non si risolve così. Anche perché, con i low alcol, se bevo il doppio sono al punto di partenza. L’Italia li potrà fare, ci sono consumatori che li gradiscono e non produrli sarebbe folle. Ma tengo a sottolineare che un segmento non andrà a cannibalizzare l’altro.
Che prospettive intravede in Italia? Per Iwsr, il no-low è destinato a crescere entro il 2028…
In Italia, è probabile che saremo gli ultimi a sviluppare un consumo di questa categoria. La tecnologia di dealcolazione, lo ricordo, è appena partita. Il parzialmente dealcolato sui bianchi mantiene una discreta qualità, ma è inferiore sui rossi. In questo momento, l’Italia la vedo come fanalino di coda: siamo un Paese a cui piace bere bene e lo possiamo fare anche bevendo poco. Mentre in altri mercati, tra cui Germania e Uk, il fenomeno sta esplodendo, così come in quelli nordici.
Che iniziative avete in programma come Wine in moderation per il 2025?
Dal punto di vista scientifico, a fine marzo, il nostro Wine information council organizza a Roma un importante convegno internazionale su stili di vita, dieta e salute. Faremo il punto sullo stato delle ricerche. Sulla cultura della moderazione, inoltre, confermiamo per l’8 novembre l’appuntamento della giornata del consumo responsabile. Infine, stiamo implementando in ciascun Paese, e in tutte le lingue, la creazione di corsi di formazione per il settore Horeca con l’obiettivo di offrire il vino in modo responsabile, rendendo maggiormente consapevoli gli operatori nel rapporto coi clienti. Siamo noi a dover fare cultura del vino e non possiamo attendere che lo faccia, ad esempio, la scuola. Dobbiamo metterci la faccia, perché i professionisti del settore devono essere i primi portatori di una cultura della sostenibilità dei consumi.
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