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La “concretezza” del Piano Mattei, il ruolo decisivo dell’Italia nel Mediterraneo come hub energetico per i nuovi approvvigionamenti destinati all’Europa. E ancora, le scelte per favorire gli investimenti delle imprese, a partire dal rilancio dell’economia del mare, dal taglio del cuneo fiscale e dall’Res premiale, il calo ai minimi storici della disoccupazione, la volontà di affrontare il nodo dei neet (i giovani under 30 che non studiano e non cerano un lavoro) mettendo in campo le migliori professionalità possibili, la priorità della difesa dell’occupazione anche ai tavoli di crisi o più delicati come nel caso dell’accordo con Stellantis per i siti italiani del Gruppo.
Giorgia Meloni ieri in conferenza stampa non cita direttamente il Sud, come aveva fatto in altre, recenti occasioni, ma è impossibile non leggere dietro ognuno di questi spunti un preciso riferimento al ruolo e alle potenzialità del Mezzogiorno, diventato ormai decisivo per il futuro economico del Paese e strategico per le sorti dell’Ue. La collocazione geografica gioca sicuramente a favore di questa centralità ma il cambio di paradigma è fatto anche di contenuti, di nuovi progetti, di attenzione alle opportunità che in questa parte del Paese si possono e devono cogliere (eloquente il bilancio già positivo dopo appena un anno della Zes unica).
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Il Piano Mattei, appunto, che nelle sue cinque priorità di intervento (istruzione e formazione, salute, agricoltura, acqua ed energia) coinvolge direttamente il Mezzogiorno, l’area più vicina alla sponda Sud del Mediterraneo e già attiva, specie nel campo della formazione dei giovani africani. Meloni si dice orgogliosa dell’interesse e del consenso sempre maggiori «che la nostra strategia Africa-Mediterraneo sta raccogliendo», un approccio «diverso» della cooperazione paritaria con il continente che è anche nell’interesse dell’Europa coltivare e sostenere. Non a caso la premier conferma che il Piano è ormai integrato a tutti gli effetti con il Global Gateway lanciato dall’Ue e con il piano infrastrutturale per l‘Africa approvato dal G7 e riaffermato in occasione del vertice di Borgo Egnazia, l’estate scorsa.
L’Italia fa scuola
L’Italia fa scuola e allarga il numero dei Paesi in cui il Piano Mattei è già partnership con le amministrazioni locali («Tutti i progetti sono in corso», ribadisce Meloni): ai 9 iniziali (Marocco, Tunisia, Algeria, Egitto, Costa d’Avorio, Etiopia, Kenya, Repubblica democratica del Congo e Mozambico) si aggiungeranno quest’anno Angola, Ghana, Mauritania, Tanzania e Senegal. «Vogliamo internazionalizzare ed europeizzare il Piano» dice Meloni e non c’è dubbio che tutti i nuovi Paesi coinvolti possono dare e ricevere molto in una chiave di collaborazione paritaria. È il caso ad esempio dell’Angola, dove la presenza di Eni è già da anni strategica, e che ha visto nel 2023 un sensibile aumento delle nostre esportazioni, passate da 45 milioni a 72,2. O del Ghana, di cui l’Italia è il dodicesimo fornitore commerciale ed è uno dei punti di riferimento dell’Unione Africana e della Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale. «La concretezza dei progetti e la stabilità politica del nostro Paese sono valori aggiunti» osserva la premier.
Nuovi spazi per gli investimenti delle nostre imprese, dunque, per le quali la sfida dell’internazionalizzazione appare sempre più necessaria oltre che determinante. Meloni ricorda le misure per «garantire alle aziende che producono le condizioni per crescere sia pure in un contesto difficile». E sottolinea, come detto, i segnali lanciati nel settore energetico, con l’Italia hub di riferimento per l’Europa dopo la crisi Russia-Ucraina. «È una precisa strategia industriale», risponde a chi teme che il nostro Paese si trasformi invece in un “parco giochi”. E cita la Transizione 5.0, l’Ires premiale, i 12 miliardi liberati attraverso la rimodulazione del Pnrr, «la super riduzione del costo del lavoro», come nel caso della proroga della Decontribuzione Sud (ancorché decurtata rispetto al 2024). «Siamo diventati il quarto Paese per export al mondo», aggiunge, e anche in questo caso è difficile non considerare che dietro questo exploit c’è molto di Mezzogiorno, l’area del Paese dove settori come il farmaceutico e l‘agroalimentare hanno dato un contribuito importante alla bilancia commerciale.
I Neet
La vera sfida però del 2025 (e per gli anni a seguire) riguarda i giovani, altro tema decisivo per il Mezzogiorno, penalizzato da indici di denatalità preoccupanti e da un altissimo rischio di desertificazione legato all’abbandono dei territori, ancorché in parte mitigato dal rilancio dell’attrattività meridionale. Meloni ne è pienamente consapevole e pur sottolineando la positività dei dati («In due anni 883mila nuove assunzioni, ma considerando solo quelle a tempo indeterminato arriveremmo al milione: Berlusconi sarebbe orgogliosa di me», dice la premier) sa che ci sono nodi da sciogliere senza più perdere tempo. I Neet, soprattutto, che al Sud, tra Campania e Sicilia, rappresentano quasi la metà del totale, con circa 500mila unità: «Ne ho già parlato con il sottosegretario Mantovano, vorrei mettere su un gruppo di lavoro di professionalità e competenze riconosciute che affronti il problema delle giovani generazioni in modo completo, profondo, concreto. Io stessa faccio parte della generazione di genitori che hanno figli interamente digitali ai quali non siamo preparati», ammette il capo del Governo. I Neet sono uno spaccato preoccupante di questo scenario, aggravato da emergenze come la pandemia e il lockdown che hanno profondamente modificato le relazioni dei giovani e messo in crisi i loro punti di riferimento. Capire cos’è accaduto “dentro” di loro è l’obiettivo, recuperarli allo studio e al lavoro è lo sbocco finale, «sapendo – dice Meloni – che la strada della formazione, sulla quale abbiamo puntato molto come dimostra la riforma degli Istituti tecnici superiori, rimane decisiva. Non è possibile che da un lato ci sono giovani che non cercano un impiego e dall’altra aziende che non trovano le competenze di cui hanno bisogno».
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