Stop al terzo mandato e stallo sull’Autonomia. I malumori dei leghisti

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ROMA Prima preannuncia lo stop al terzo mandato per De Luca. Poi, rimanda al Consiglio dei ministri, in programma in serata, il da farsi riguardo al referendum sull’autonomia. È questa la strategia di Giorgia Meloni nel giorno dell’incontro con la stampa parlamentare. Una conferenza caduta in coincidenza del Cdm di inizio anno. Dove, a finire sulla graticola, sono state le due riforme più care al Carroccio. Intanto, la premier rilancia: in vista delle prossime elezioni regionali in Veneto, quella di Fratelli d’Italia «è un’opzione che deve essere tenuta in considerazione»

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Se l’epilogo della legge campana – che fa svanire anche il sogno di Luca Zaia di ricandidarsi – era dato per assodato, meno scontata è apparsa l’apertura sul ddl Calderoli: «Il Cdm deciderà se, attraverso l’Avvocatura dello Stato, il Governo sosterrà l’ammissibilità o la non ammissibilità del referendum sull’autonomia o se deciderà di non intervenire davanti alla Corte costituzionale». Il riferimento della presidente è alla convocazione della Consulta – al momento in programma per lunedì – per decidere in merito all’ammissibilità del referendum abrogativo sull’autonomia. Nei giorni scorsi pareva quasi certo che, oltre ai comitati promotori, contrari alla legge, e la Regione Veneto dalla parte della difesa, non si sarebbe costituita l’Avvocatura di Stato.

Una linea che, alla fine, la riunione dei ministri, in serata, ha deciso di mantenere, nonostante la disponibilità al confronto da parte della premier. Morale: nessuna memoria verrà depositata. La scelta lascia adito, però, a più di un’interpretazione. C’è chi la legge come una presa di distanza istituzionale, e chi, invece, riduce tutto a una questione tecnica e di metodo: la presenza dell’Avvocatura sarebbe parsa irrituale su un referendum. L’unico precedente riscontrabile risale al referendum abrogativo sui voucher del 2017. Nessuna sorpresa, invece, sul terzo mandato. In conferenza stampa Meloni ha spento l’ultimo barlume di speranza di chi nell’Esecutivo sperava ancora in un dietrofront dell’ultimo minuto. «Nel Consiglio dei ministri di oggi impugneremo la legge regionale della Campania», ha scandito la premier. Che pure non ha nascosto la diversità di vedute con gli alleati e l’assenza di un vero e proprio accordo. Come saranno fonti leghiste a ribadire in serata: «È noto che in Cdm non è previsto il voto, come è altrettanto nota la differenza di opinioni sul tema tra le forze di maggioranza». Non a caso, aggiungono, «il ministro Calderoli ha sottolineato di essere favorevole, come ha sempre ribadito, a una modifica della legge nazionale su cui però, al momento, non c’è intesa». A prevalere è stata la linea della «coerenza» di Meloni: sia rispetto alle regole che valgono per i sindaci, che sulla riforma del premierato, all’interno della quale è inserito il limite ai due mandati. L’impugnativa non fa però scomparire le difficoltà di interpretare una normativa in materia frammentaria e ondivaga. A contrapporsi, la legge nazionale del 2004 – che sancisce la «non immediata rieleggibilità allo scadere del secondo mandato consecutivo» – e le varie leggi regionali che hanno recepito in tempi diversi tale divieto. Una complicazione ben nota all’inquilina di Palazzo Chigi, disponibile al dialogo nel caso in cui dovesse servire un’iniziativa per armonizzare tutti gli ambiti.

Nel frattempo, si prepara quella che in molti, a Palazzo Santa Lucia, sede della Regione Campania, definiscono una «guerra tra azzeccagarbugli». La prima contromossa è contenuta nel documento messo a punto dal Gabinetto di De Luca, in risposta ai rilievi di incostituzionalità fatti giungere dall’Esecutivo nelle scorse settimane. Un atto in cui – secondo quanto viene riferito, non verrebbe contestato solo il principio di auto-applicabilità della legge nazionale – tesi rivendicata dal Governo – ma si appunterebbe tra i precedenti scampati ad impugnativa anche la legge regionale varata nel 2023, dal già governatore piemontese – in quota FI- Alberto Cirio. Una norma che ha sancito che il divieto di ricandidatura per il terzo mandato si applicasse a partire dalla legislatura successiva (che ha preso il via nel 2024, con la riconferma di Cirio). Circostanza che, almeno sulla carta, permetterebbe lo svolgimento di un ulteriore mandato. A contestare il precedente piemontese è anche la ‘base’ di Luca Zaia, che non nasconde l’insofferenza per la decisione di Meloni che – dicono – pare fatta apposta per metterlo fuori gioco. E così, dal quartier generale del governatore si pensa già a rimettere in campo lo schema della scorsa elezione: una lista ‘Zaia’ – ma con un nome sostenuto dal Doge – da affiancare a una seconda degli amministratori locali.

Valentina Pigliautile

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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