In pensione a 67 anni e 3 mesi, poi sempre peggio: l’Inps nega ma sarà inevitabile pure per docenti e Ata. Cgil: un teatrino

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Sui requisiti per andare in pensione serve chiarezza. E rispetto per i lavoratori. A sostenerlo è la Cgil, dopo che l‘Inps ha fatto marcia indietro ritarando le simulazioni con le attuali regole, quindi con l’età di accesso alla pensione di vecchiaia (67 anni di età) e sui contributi necessari per quella di anzianità (42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini, 12 mesi in meno per le donne). I tre mesi in più, già inseriti nel simulatore dall’Istituto nazionale di previdenza, quindi di imminente applicazione, sono stati improvvisamente eliminati, con la precisazione che per effettuare l’innalzamento bisogna prima attendere almeno l’emanazione di un decreto ministeriale.

Una decisione, se e quando dovesse arrivare, che riguarda da vicino quasi un milione di lavoratori della scuola: tranne qualche eccezione – come i maestri della scuola dell’infanzia, i precoci, coloro che fruiscono della Legge 104/92 e le donne che rientrano negli anticipi volantari (anche se molto onerosi) come Opzione donna – tutti i docenti e Ata della scuola dovranno fare i calcoli di uscita sulla base dei nuovi parametri.

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La Cgil ha quindi pubblicato la simulazione fatta un paio di giorni fa per un cittadino nato nel 1961 nella quale era stata prevista l’uscita nel 2028 con un’età anagrafica di 67 anni e tre mesi. Per lo stesso utente, spiega sempre la Cgil, la simulazione fatta oggi, dopo la revisione degli applicativi a disposizione dei patronati per il conteggio delle pensioni, prevede invece l’uscita a 67 anni.

In un’altra simulazione per un utente che chiedeva notizie sull’uscita per la pensione anticipata si prevedeva l’uscita il 1° dicembre 2029 con 2.249 settimane di contributi; nella simulazione fatta dopo la retromarcia l’uscita era il primo agosto del 2029 con 2.231 settimane, quindi quattro mesi in meno.

Sempre la Cgil, comunque, non si sente rassicurata dalle dichiarazioni dell’Inps e “ribadisce la correttezza della propria denuncia pubblicata ieri in merito ai nuovi requisiti pensionistici a decorrere dal 2027, come risultava su tutti gli applicativi Inps”.

“In seguito alla nostra denuncia – continua la Cgil – l’Inps ha cercato di smentire, affermando che ‘le certificazioni saranno redatte in base alle tabelle attualmente in vigore’. Tuttavia, questa dichiarazione costituisce una chiara retromarcia rispetto a quanto l’Istituto stava applicando nei suoi sistemi fino a ieri”.

“Che sia una retromarcia – spiega Ezio Cigna, responsabile previdenza della Cgil nazionale – è confermato dal fatto che questa mattina tutti gli applicativi dell’Istituto risultavano fermi per un aggiornamento. Solo qualche ora fa, gli strumenti sono tornati a funzionare e, come evidenziato dalle nostre simulazioni effettuate anche oggi e riportare di seguito, l’Inps ha effettivamente modificato nuovamente le tabelle, eliminando gli aumenti ingiustificati sull’aspettativa di vita”. Per il sindacato di Corso Italia è un episodio quanto meno increscioso.

“Nei confronti delle lavoratrici e dei lavoratori – attacca Lara Ghiglione, segretaria confederale della Cgil – ci vuole sempre trasparenza, soprattutto su un tema estremamente delicato come quello delle pensioni. Sorprendente che si possa immaginare di gestirlo in questo modo. Il governo Meloni prima promette mari e monti in campagna elettorale, poi scarica su lavoratori e pensionati la propria inadeguatezza e la necessità di fare cassa”. “Non è un caso – conclude Ghiglione – se da un anno e mezzo non incontriamo il governo per discutere di una vera riforma della previdenza che dia risposte all’emergenza pensioni per i giovani, alle donne afflitte dal drammatico tema di salari e pensioni povere, a chi svolge lavori gravosi e usuranti. Adesso davvero basta. Si metta fine a questi teatrini irrispettosi e si convochi subito un tavolo per dare risposte all’emergenza pensioni”.

A guardare le previsioni sul futuro prossimo e anteriore, c’è comunque poco da stare allegri. Considerando l’aspettativa di vita media dei cittadini italiani tra le più alte al mondo, il tasso demografico sempre più giù (con la maggioranza delle famiglie che si fermano ad un figlio), il numero di lavoratori attivi sempre più ristretto e la crisi nera delle casse dell’Inps, sul breve periodo (un paio d’anni) la soglia minima di accesso alla pensione si sarebbe dovuta innalzare di 36 mesi. Poi, dal 2029, la pensione ‘vecchiaia’ si prevede che arriverà a 67 anni e 5 mesi.

Ma è sul lungo periodo che l’innalzamento diventerà progressivamente maggiore: “per i trentenni di oggi la pensione si prenderà oltre i 70 anni”, perchè “ogni 10 anni l’età pensionabile rischia di salire di 10/12 mesi, se non di più. Già nel 2034 potrebbero servire 68 anni per lasciare il lavoro, e prima del 2040 si arriverebbe a 69. Per poi andare dritti verso la fatidica quota dei 70 anni”.

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