Presidente non porta pena. Trump condannato, ma eletto. E quindi dispensato da sanzioni

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Ora che Donald Trump – a dieci giorni esatti dal suo insediamento alla Casa Bianca – è diventato il primo presidente nella storia degli Stati Uniti d’America ad avere una fedina penale macchiata da una condanna per un reato penale, la domanda da porsi è: e quindi? C’è chi, in queste ore, sottolinea la portata storica della sentenza di condanna nel caso Stormy Daniels, e chi ridimensiona la rilevanza di questo evento, sottolineando come “di prime volte con Trump ne abbiamo avute già diverse”. È il caso di Mario Del Pero, professore di Storia degli Stati Uniti all’Istituto di studi politici di Parigi Sciences Po e senior fellow di Ispi, che con HuffPost riflette sul significato di quel che è avvenuto oggi a New York.

Innanzitutto, i fatti. Il presidente eletto è stato condannato lo scorso 30 maggio all’unanimità dai 12 membri della giuria della Corte di New York per il pagamento di 130.000 dollari a una ex pornostar, Stormy Daniels, per farla tacere su una loro relazione. Trump è stato ritenuto colpevole di tutti e 34 i capi di imputazione (relativi a falsificazione di documenti aziendali) mossi contro di lui. I pubblici ministeri hanno affermato che Daniels è stata pagata – tramite l’allora avvocato personale di Trump, Michael Cohen – come parte di uno sforzo più ampio per impedire agli elettori di sentir parlare delle presunte scappatelle extraconiugali del tycoon. Gli avvocati di Trump hanno tentato in tutti i modi di bloccare il processo ed evitare la condanna, ma alla fine il giudice Juan Merchan ha emesso il suo verdetto: Trump è condannato, ma senza alcuna pena, con una sentenza che cita il verdetto di “sospensione incondizionata della pena”.

Il giudice, sostanzialmente, ha evidenziato la straordinarietà della situazione, in cui una giuria ha condannato una persona che è prossima ad assumere la carica di presidente, perciò è inimmaginabile che alla condanna segua una sanzione di qualche tipo, a partire dall’incarceramento. Queste le sue parole: “È stata la cittadinanza di questa nazione a decidere di recente che ancora una volta dovreste avere i benefici di quelle protezioni che includono, tra le altre cose, la clausola di supremazia e l’immunità presidenziale. È attraverso questa lente e questa realtà che questa Corte deve determinare una sentenza legittima. Questa Corte ha stabilito che l’unica sentenza legittima che consente l’ingresso di un giudizio di condanna, senza invadere la carica più alta del Paese, è la ‘sospensione incondizionata della pena’. Pertanto, in questo momento, impongo questa sentenza per coprire tutti i 34 capi d’imputazione”. “Signore, le auguro buona fortuna mentre assume il suo secondo mandato”, ha concluso il giudice.

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Trump ha annunciato, tramite i suoi legali, che farà ricorso contro un processo che ha definito “una vergogna per il sistema”, o anche “una caccia alle streghe”. Ha partecipato all’udienza da remoto, accanto al suo avvocato, Todd Blanche, che ha parlato di “un giorno triste per il Paese”.

Il punto adesso è: il fatto di avere, per la prima volta nella storia, un presidente condannato penalmente avrà un qualche impatto? Secondo Del Pero, la risposta è “no, perché di Trump si tratta, e di prime volte nella storia con Trump ne abbiamo avute già diverse: tanto per dire, due impeachment e una tentata eversione dell’ordine democratico, riguardo a quanto avvenuto dopo il voto del 2020. Anche lasciando da parte l’assalto del 6 gennaio a Capitol Hill – sottolinea lo storico – abbiamo visto un presidente ancora in carica che per circa due mesi ha tentato di impedire la pacifica transizione dei poteri e il riconoscimento dell’esito del voto. In un mondo normale, ciò sarebbe dovuto bastare per squalificarlo dal poter cercare di ritornare alla Casa Bianca, per trovare il modo di escluderlo dalla vita politica con un impeachment che anche in quell’occasione non fu poi approvato per pochi voti. Abbiamo infranto talmente tanti diaframmi con Trump che non credo questa condanna cambierà molto”.

Il dato forse più significativo di tutta la vicenda – aggiunge Del Pero – è emerso ieri nella Corte Suprema, la quale non ha accolto la richiesta di Trump di bloccare il procedimento con una maggioranza di misura (5 a 4). Come sappiamo, la Corte Suprema ha una chiara maggioranza conservatrice, ma due di questi giudici – John Roberts e Amy Coney Barrett (che sta emergendo come una figura più indipendente di quanto non si credesse) – si sono schierati con i tre giudici liberal nel dare la maggioranza e nel permettere al giudice di New York di procedere, quindi andando contro Trump. “Questo significa che ci sono un paio di giudici – Roberts lo sapevamo, Barrett lo abbiamo scoperto in questi due anni – che magari, di tanto in tanto, possono sfilarsi dalla maggioranza conservatrice”.

Molti media, a cominciare dal New York Times, sottolineano il significato simbolico di tutta questa vicenda. “Forse questo valore, questa rilevanza simbolica, la riscopriremo tra qualche decennio sui libri di storia; non credo che a breve avrà alcun impatto. In fondo, ce lo hanno mostrato anche le elezioni e la reazione dell’opinione pubblica ai processi, che alla fine non hanno danneggiato Trump, la sua immagine, la sua popolarità, la sua capacità di catturare consenso e in ultimo voti”.

Un altro punto da sottolineare è che in questo processo – sulla falsificazione dei libri contabili per pagamenti a una pornostar – la condanna c’è stata su temi, questioni, reati decisamente meno gravi rispetto a quelli degli altri tre processi a suo carico (due federali e una statale, in Georgia). Quei processi sono culminati in incriminazioni che poi, per varie ragioni, non hanno potuto procedere. “Quelle sì – conclude Del Pero – che erano incriminazioni gravi: per eversione dell’ordine democratico, per tentativo di contaminare l’esito del voto (nel caso della Georgia), per appropriazione di documenti classificati che dovevano essere consegnati agli Archivi nazionali. Quest’ultima è stata una vicenda straordinaria, un po’ per la gravità del reato, un po’ per il fatto che gli è stata più volte offerta la possibilità di restituire quei documenti, e lui non l’ha fatto: un abuso della sua posizione post-presidenziale le cui ragioni si fanno fatica a individuare, ma che è oggettivamente grave. Forse il fatto che l’opinione pubblica l’abbia in larga misura assolto – o comunque lui non abbia pagato un dazio politico elettorale per questa condanna – deriva anche dal fatto che, di tutte le incriminazioni, questa era la meno significativa e la meno importante”. L’esito non è stato quello che Trump avrebbe voluto, ma in fondo per lui tutta questa storia è stata più una scocciatura che altro. Tra dieci giorni avrà il suo Inauguration Day, e quella macchia sulla sua fedina penale sarà solo una prima volta in più.



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