le case popolari – AlessioPorcu.it

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difficile da pignorare

 


L’universo incompleto dell’edilizia pubblica residenziale in un Paese che ha sacrificato tutto al mito della casa di proprietà

Passare per le banche, e per le banche l’Erp ci passa poco e male. Il che rende quell’acronimo – che sta per Edilizia Residenziale Pubblica – esattamente e mestamente quel che sembra: un nulla. Cioè un obbligo a cui dedicarsi con stanchezza, mai un traguardo di civiltà aggiogato ad una serena politica contabile sul tema. Perché i poveri in banca non ci vanno o ci vanno poco, e per spedire un cittadino a fare un mutuo o a negoziare un bonus serve che quel cittadino sia mediamente abbiente. Cioè patentato per entrare nel format del credito.

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C’è un motivo recondito per cui in Italia si parla poco e si fa ancor meno in termini di “case popolari”. E non è solo legato al meccanismo di una economia fondata sul credito, ma anche ad un certo modo di sentire i temi. Prendiamo la guerra, ad esempio: solletica gli appetiti analitici di tutti, polarizza e, fin quando non ti entra in casa come fatto invece che come argomento, è perfino “interessante”.

Due milioni a cui serve l’Erp

Clienti in banca © Bettolini / Imagoeconomica

Perciò è mainstream. E siccome in Italia l’attività sui temi è direttamente proporzionale all’attivismo sulla loro narrazione mainstream sempre in Italia ci sono guai di cui nessuno sa e di cui a pochi frega. In Italia, ad esempio, ci sono due milioni di persone che hanno bisogno di case popolari e 700mila disponibilità. E’ roba che fa spegnere il lume goloso dell’interesse ma che tiene accesa la fiamma della necessità di vagonate di famiglie.

Gente che per entrare in una banca la dovrebbe solo rapinare. Ecco perché il tema dell’edilizia pubblica residenziale è settoriale e settato soprattutto sui criteri di governo dei suoi ambiti, ma quasi mai su un’azione corale per incrementarla. Al più di quei sistemi se ne parla quando emergono situazioni debitorie degli enti stessi. Ma pochi riflettono sul fatto che c’è un comune denominatore tra un Ater debole di cassa e la morosità di chi in alloggi Ater vive: la povertà.

L’accordo quadro tra Rocca e Salvini

Foto © Stefano Strani

E la Regione Lazio con i suoi Ater? Vige ed è vigilato con attenzione dall’assessore al ramo Pasquale Ciacciarelli l’Accordo di Programma siglato ad inizio estate. E’ quello “per avviare programmi innovativi di rigenerazione urbana, recupero e riqualificazione del patrimonio abitativo pubblico e sociale”. A sottoscriverlo erano stati il presidente della Pisana Francesco Rocca ed il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Matteo Salvini.

Giusto un anno fa il Commissario Ater di Frosinone, Antonello Iannarilli, decise di passare dalle parole ai fatti. Ed aveva redatto istanza al governo per trasformare i debiti in cartelle esigibili da Agenzia delle Entrate-Riscossione. Il dato era e resta allarmante: l’Ater ciociaro-cassinate ha 44 milioni di euro in esigibilità di fitto e debiti per 7 milioni. Allarmante quanto lo studio del debito: c’è gente che non paga nemmeno i 7 euro al mese d’affitto che gli vengono chiesti, perché ritiene che per quella cifra nessun Ater andrà mai a fargli causa. E così si innesca un effetto a catena, per il quale neanche gli altri pagano: evitando di sentirsi anche dei fessi.

Una montagna di soldi che, a voler allargare la lente di focus, evidenzia un’altra realtà. Le iniziative politiche e legislative di rango nazionale o territoriale sono tutte settate sui processi di sviluppo e sulle categorie che devono incrementarlo. Quasi mai invece sui bisogni basici di quella parte di popolazione che fa Pil andando al discount massimo due volte al mese.

Superbonus e 2% per l’edilizia pubblica

E che non ha una casa di proprietà. Anche il Superbonus puntava a dare scacco ai casi meno abbienti, solo che si era mascherato da misura che proprio ai loro bisogni puntava. Vulgata di perorazione di quell’iniziativa vuole infatti vorrebbe che a beneficiarne siano stati soprattutto gli incapienti. Solo che se poi si va a spulciare – come ha fatto Il Foglio in una sua mini inchiesta – in mezzo alle somme impegnate, arriva la scoperta amara. E prevedibile.

In termini di risorse complessive “caricate” per il Superbonus ex 110% solo il 2% ha avuto come destinazione le famiglie con reddito basso. Cioè il plafond di fruizione delle abitazioni Erp magari riscattate. Federcasa spiega che in forza della sua rappresentanza su 84 enti e circa 770 mila alloggi di edilizia residenziale pubblica, le cose stanno proprio così.

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I dati di Federcasa

“Secondo il censimento di Federcasa, a metà 2023 risultavano avviati col Superbonus 685 cantieri per circa 1,1 miliardi di euro (1.142.348.020), mentre altri 710 interventi per un controvalore di 2,3 miliardi (2.284.479.337) erano in procinto di essere varati”.

C’era poi “un terzo gruppo di 1.536 cantieri, per un ammontare di 2 miliardi (1.993.405.853,27)”. Gruppo che aveva i cantieri agli esordi. Marco Buttieri, che di Federcasa è il presidente, ha spiegato al quotidiano diretto da Claudio Cerasa che quasi nessuno è poi partito perché erano già emersi problemi sul mercato dei crediti, i tempi per i lavori erano troppo stretti e i rischi finanziari troppo elevati”. Poca, anzi, pochissima roba dunque.

Questo perché il credito finanziario è creatura che si pasce di redditi medi e stabili, di possibilità di ristrutturazioni di ampio respiro. E di impegni di spesa per materiale edilizio (il cui prezzo era salito in alcuni casi del 40%) che possano “uppare” le possibilità di manovra di un settore che certo non punta per le medesime alla vernice da intonaco, ma magari a quella per lo stucco “veneziano”.

Quasi un milione di alloggi

In Italia, a raschiare il barile, si può arrivare a 900 mila alloggi di Edilizia residenziale pubblica. E facendo i conti della serva a anche a voler ristrutturare un terzo degli alloggi ci sarebbero voluti 88 miliardi, cioè quasi la metà di quanto è costato il Superbonus nel suo complesso. Eppure, a tener conto delle condizioni, del fatto che molti sono inutilizzabili, sfitti e di range di spesa abbassati, per questi ultimi sarebbero bastati 2 miliardi per mettere a regime abitativo 60mila alloggi e “dare un tetto a circa 180 mila persone (ipotizzando un nucleo medio di tre persone)”.

Ma non lo si è fatto, e non è solo un problema di inadempienza di questa o quella parte politica.

Il mito della casa di proprietà

E’ roba più grande e generale. Quella per cui fin dagli anni ‘50 e come lascito dello stivale giolittiano il sogno di ogni italiano è stato quello della casa “di proprietà”. Questo mentre nei Paesi scandinavi già negli anni ‘60 un dirigente di livello medio alto viveva in affitto e cambiava casa in base a come cambiava la sua vita.

E sull’altare di questo mood l’edilizia pubblica è stata sacrificata poco a poco, pezzetto dopo pezzetto. Indigenza dopo indigenza. Perché per “farti una casa” e prima di farlo hai un passaggio obbligato da fare, quello allo sportello. E in Italia spesso saltare quel passaggio significa perdere il treno del decoro di vivere.

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