TERZO MANDATO/ Governo vs. Campania, ecco perché la Consulta darà ragione a Meloni (e Schlein)

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Nell’ultima conferenza stampa la presidente del Consiglio Meloni ha annunciato l’impugnazione davanti alla Corte Costituzionale della legge della Campania sul cosiddetto “terzo mandato”.

La legge elettorale regionale non era stata adeguata alla legge n. 165 del 2004 (Disposizioni di attuazione dell’articolo 122, primo comma, della Costituzione), che all’art. 2, comma 1, lettera f), prevede tra i principi fondamentali che limitano la potestà legislativa regionale in materia elettorale la “previsione della non immediata rieleggibilità allo scadere del secondo mandato consecutivo del presidente della giunta regionale eletto a suffragio universale e diretto, sulla base della normativa regionale adottata in materia”.


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L’idea del presidente De Luca era quella di introdurre il limite dei due mandati nella legislazione elettorale campana (con la legge 11 novembre 2024, n. 17), ma facendo decorrere “il computo dei mandati … da quello in corso di espletamento alla data di entrata in vigore della presente legge”.

La questione del “terzo mandato” dei presidenti di Regioni è presente nell’agone politico da un po’ di tempo per via della circostanza che ben tre presidenti di un certo peso, ed esattamente Zaia (Veneto), De Luca (Campania) ed Emiliano (Puglia), come politici non avrebbero un possibile reimpiego immediato alla scadenza del secondo mandato, per cui ambirebbero, quanto meno, a mantenere la carica in atto ricoperta, appunto, con un terzo mandato.



È bene specificare subito che, per ragioni differenti, tanto la presidente del Consiglio, quanto la leader del Pd, Elly Schlein, sono apertamente contrarie al “terzo mandato”: la prima, in quanto ambisce ad avere la guida di una Regione del Nord di peso considerevole, essendo le Regioni di quell’area geografica governate dal centrodestra tutte in mano alla Lega o a FI o ancora a figure indipendenti (come nel caso della Liguria). Per di più FdI in Veneto è ormai da tempo il primo partito per consensi elettorali.

La leader del Pd, invece, è imbarazzata dalla figura di De Luca, anche per i modi di questo di trattare la dirigenza del partito cui anche lui appartiene, e vorrebbe perciò sbarazzarsene; al contempo, opponendosi al “terzo mandato”, libererebbe la casella della presidenza della Regione Puglia.



Il problema è che questi tre presidenti di Regione non sono politici qualunque: Zaia e De Luca, in modo diverso, sono carismatici, Emiliano un po’ meno, ma anche lui come magistrato e come amministratore di lungo corso ha un certo carisma che non è facile ritrovare. Nessuno di questi tre ha profittato delle recenti elezioni europee come invece ha fatto lo scaltro Bonaccini, così la loro sostituzione non è cosa facile politicamente, perché candidati diversi non è detto che avrebbero la stessa capacità di prevalere. Basti ricordare, in proposito, il pasticcio delle candidature per la Regione Sardegna che è costato al centrodestra la presidenza della Regione, anche se – in tema di pasticci – il Pd e il M5s non sembrano essere stati da meno proprio in quella Regione.

Con l’impugnazione della legge della Regione Campania, la questione da politica – come accade spesso con i conflitti politici – diventa giuridica, anzi costituzionale, e la Corte Costituzionale viene chiamata a sbrogliare la matassa del “terzo mandato”.

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Ora, molto dipenderà da come ragionerà il giudice costituzionale in relazione al sistema delle fonti del diritto, che nella materia in questione è particolarmente complicato, oppure se supererà le disquisizioni giuridiche per raggiungere un determinato effetto politico.

Infatti, la fattispecie sottoposta all’esame della Corte è quella di una legge regionale in materia di competenza concorrente (la materia elettorale dell’art. 122 Cost.) che modifica la legge elettorale regionale previgente (legge n. 4 del 2009) per adeguarla alla legislazione di principio statale adottata già nel 2004.

La legge del 2009 della Regione Campania non prevedeva il limite dei due mandati, nonostante la previsione della legge statale n. 165 del 2004, ed era stata impugnata a suo tempo davanti alla Corte Costituzionale, ma non si faceva valere la violazione dei principi fondamentali.

La legge campana, perciò, per la mancata previsione del divieto del terzo mandato, veniva perfezionata per acquiescenza da parte dello Stato.

Si tenga conto che i principi fondamentali – secondo l’orientamento dominante – hanno come destinatario il legislatore regionale e non sono autoapplicativi; e ciò in ragione del fatto che la fonte competente a regolare la materia è la legge regionale. Conseguentemente, la legge regionale n. 17 del 2024 a ragione, adeguando l’ordinamento regionale alla legge statale n. 165 del 2004, dispone che la regola dei due mandati per il presidente della Regione valga a partire da adesso, anche perché altrimenti avrebbe una valenza retroattiva e come è noto in via generale le leggi regionali non possono retroagire (sul punto la giurisprudenza della Corte Costituzionale è costante).

È concretamente pensabile che la Corte Costituzionale si attenga ad una interpretazione raffinata del sistema delle fonti?

Mi sembra che sia lecito dubitarne. La Corte è sempre preoccupata di adempiere ad una funzione servente del sistema politico nazionale, secondo il principio law making majority, o tutt’al più in determinate circostanze di spingerlo ad adottare determinate soluzioni politiche.

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In questo caso, la Corte sa benissimo quali siano le tensioni politiche presenti sulla questione del “terzo mandato” e, nel caso non si attenga al suo ruolo naturale di custode costituzionale dell’ordinamento, potrebbe adottare una decisione che imponga il divieto del terzo mandato in modo spiccio e con qualche motivazione di comodo, tanto le sue pronunce non sono impugnabili. Non sarebbe la prima volta che accade una cosa del genere, ma non sarebbe di certo un bel segnale; non lo è mai. Ricordiamoci di quello che scrisse il famoso giudice della Corte suprema statunitense Robert Jackson (il quale tra il 1945 e il 1946 sostenne, come procuratore, l’accusa nel processo di Norimberga contro i gerarchi nazisti) a proposito delle sentenze della Corte: “Noi non siamo gli ultimi perché abbiamo ragione. Abbiamo ragione, perché siamo gli ultimi”.

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