Transizione ecologica in cerca di sostenibilità fiscale

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Il cambiamento climatico è una delle più importanti sfide globali. Ma le politiche adottate per raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi incidono sui bilanci pubblici. Uno studio fa i primi calcoli delle conseguenze per la Svizzera da qui al 2060.

Neutralità climatica entro il 2050

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Il cambiamento climatico rappresenta una delle principali sfide globali di lungo periodo, con conseguenze che vanno ben oltre l’ambiente e coinvolgono l’economia globale e le finanze pubbliche. Nel 2015, la comunità internazionale ha adottato l’Accordo di Parigi, impegnandosi a limitare il riscaldamento globale a un massimo di 2°C rispetto ai livelli preindustriali.

La transizione verso un’economia e una società a emissioni nette pari a zero entro il 2050 comporta cambiamenti strutturali importanti. Già sotto pressione a causa di livelli di indebitamento elevati e a un contesto geopolitico incerto, i bilanci pubblici di molti paesi saranno chiamati a sostenere l’onere della transizione ecologica, evidenziando l’urgenza di misure volte a sostenere anche la sostenibilità fiscale.

In Svizzera un recente studio del Dipartimento federale delle finanze (Dff) ha esaminato l’impatto della transizione ecologica sulle finanze pubbliche fino al 2060. L’analisi considera gli effetti su entrate, uscite, bilanci pubblici e debito per tutti i livelli amministrativi. Non include però i benefici economici derivanti dalla riduzione dei danni provocati dal cambiamento climatico.

Strumenti di politica climatica

La Svizzera si è prefissata di dimezzare le emissioni entro il 2030, rispetto al 1990, e di raggiungere la neutralità climatica entro il 2050. Gli strumenti di politica climatica includono tasse sul CO2, regolamentazioni e sussidi. Ad esempio, le emissioni di CO2 generate dai combustibili, come l’olio da riscaldamento, sono soggette a una tassa, il settore industriale partecipa al sistema di scambio di quote di emissione (CH-Ets), mentre il settore dei trasporti è soggetto a norme di regolamentazione delle emissioni dei veicoli. Inoltre, vengono erogati sussidi per incentivare l’adozione di sistemi di riscaldamento sostenibili, la produzione industriale a basso impatto ambientale e il finanziamento di progetti di ricerca e di sviluppo.

Pressione fiscale in aumento

Gli strumenti di politica climatica possono generare sia effetti diretti che indiretti sulle finanze pubbliche. Secondo le stime del Dff, la politica climatica svizzera incide sul 70 per cento delle attuali entrate e sul 75 per cento della spesa pubblica (di cui meno del 5 per cento in forma diretta). Tra gli impatti diretti si annoverano, ad esempio, le entrate che arrivano dalle tasse sulle emissioni e la spesa pubblica destinata ai sussidi. Gli effetti indiretti, invece, derivano da dinamiche più ampie, come il rallentamento della crescita economica durante la transizione ecologica, un fenomeno evidenziato dal Dipartimento federale dell’ambiente, dei trasporti, dell’energia e delle comunicazioni (Datec). Il rallentamento è attribuibile all’aumento delle tasse sulle emissioni e alla maggiore regolamentazione, che spesso determinano costi di produzione più elevati per le imprese. Ciò può comportare una riduzione della produzione, un calo dei salari o un aumento dei prezzi, con effetti differenziati tra i settori e ripercussioni sulla produttività, sui consumi, gli investimenti e il saldo commerciale.

Sulla base di scenari politici volti a raggiungere la neutralità climatica entro il 2050, considerando anche gli obiettivi intermedi e settoriali, lo studio del Dff estende il modello di equilibrio economico generale computabile (Cge) del Datec per analizzare l’impatto fiscale della politica climatica fino al 2060.

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I risultati evidenziano un aumento della pressione fiscale durante la transizione ecologica, caratterizzata principalmente da minori entrate derivanti da cambiamenti strutturali del sistema economico. Si prevede, ad esempio, una diminuzione delle entrate dalle imposte sui carburanti, a causa della progressiva elettrificazione del settore, oltre a una contrazione delle entrate generate da imposte su redditi, utili d’impresa e Iva. Questi effetti sono in gran parte attribuibili alla più bassa crescita economica durante la transizione ecologica (nel 2060, il Pil risulta inferiore del 2,5 per cento rispetto a uno scenario di riferimento). Sebbene l’introduzione di tasse sostitutive, ad esempio su veicoli elettrici, possa compensare una parte delle perdite fiscali, tali misure non saranno sufficienti a colmare completamente il deficit generato. Inoltre, se lo stato dovesse aumentare i sussidi, si troverebbe a dover affrontare un ulteriore incremento della pressione sui bilanci pubblici.

Secondo le stime attuali, la transizione ecologica potrebbe portare a un aumento della quota di debito pubblico rispetto al Pil compreso tra 8 e 15 punti percentuali entro il 2060, a seconda dello scenario considerato. Gli effetti indiretti rappresentano la causa principale dell’aumento, contribuendo tra il 75 e il 90 per cento a seconda dello scenario. Il maggior onere fiscale si manifesta a livello federale. Questi risultati evidenziano l’importanza di una pianificazione accurata degli strumenti di politica climatica per garantire il raggiungimento degli obiettivi in modo sostenibile anche dal punto di vista fiscale.

Benefici della neutralità climatica

Sebbene lo studio evidenzi un notevole aumento della pressione fiscale, è altrettanto importante considerare i benefici che la mitigazione climatica apporta all’economia e alla società. La riduzione dei danni legati al cambiamento climatico, ad esempio per salute, biodiversità e infrastrutture, costituisce un vantaggio significativo nel lungo periodo, con effetti positivi anche sulle finanze pubbliche, che tuttavia non sono attualmente inclusi nell’analisi del Dff. In definitiva, la transizione ecologica rimane una scelta imprescindibile per assicurare la sostenibilità economica e ambientale a lungo termine.

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Benjamin Lerch

paliotta

Benjamin Lerch è economista presso l’Amministrazione federale delle finanze del Dipartimento federale delle finanze svizzero, con un dottorato in economia conseguito presso l’Università della Svizzera italiana e un periodo di ricerca presso l’Università di Stanford, in California. Ha conseguito un master in analisi economica applicata presso l’Università di Berna e ha completato il programma di dottorato in economia organizzato dalla Banca Nazionale Svizzera. I suoi interessi di ricerca si concentrano sull’impatto dell’automazione sul mercato del lavoro e sulle sfide di lungo periodo per le finanze pubbliche, come il cambiamento climatico e il cambiamento demografico.

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