Il ministro degli Esteri israeliano Sa’ar: «I punti più difficili dell’accordo con Hamas? I terroristi da rilasciare e il ruolo delle truppe nella transizione»

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di
Maurizio Caprara

Ricevuto ieri alla Farnesina dal suo collega Antonio Tajani, il ministro degli Esteri di Israele sostiene che Hamas faccia «male ai palestinesi»

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Una volta raggiunto l’accordo tra Israele e Hamas, superata anche la prima fase del rilascio tra ostaggi israeliani e detenuti palestinesi, chi dovrebbe governare Gaza?
«Non Hamas», è la risposta priva di sfumature di Gideon Sa’ar, ministro degli Esteri di Israele dopo essere stato giovane militare con compiti di intelligence, giornalista, vicepremier, parlamentare, più volte ministro e adesso presidente del Partito della Destra Unita. Ricevuto ieri alla Farnesina dal suo collega Antonio Tajani, in questa intervista l’alleato, in passato concorrente, che Benjamin Netanyahu ha fatto entrare nel suo governo in novembre, affronta risvolti del negoziato tenuto a interrompere la guerra cominciata il 7 ottobre 2023 con l’aggressione allo Stato ebraico e avanza una richiesta all’Italia apprezzandone molto la linea seguita finora.

Quali possono essere altre possibili soluzioni per amministrare la Striscia? Fra i detenuti che rilascerete — tra i quali sono in tanti ad avere sulle spalle delitti atroci — non rientra Marwan Barghouti, condannato a più di un ergastolo per omicidi. È perché Hamas non lo vuole, essendo Barghouti di Al Fatah, o perché il governo israeliano non vuole che diventi il leader di una nuova stagione per i palestinesi?
«Ciò che sul negoziato posso dire è che, senza fare nomi, ci sono alcuni simboli del terrore. E rilasciare simboli del terrore potrebbe incoraggiare il terrorismo. In ogni caso il nome che cita non è di uno in carcere per le sue personali aspirazioni politiche, bensì per aver assassinato israeliani e mandato a ucciderne. Alcuni in un ristorante di Tel Aviv vicino a dove abito».




















































A governare Gaza potrebbe essere l’Autorità nazionale palestinese?
«Non dobbiamo dettarlo noi. Abbiamo solo due condizioni: che quanti gestiranno la Striscia di Gaza non siano coinvolti in terrorismo e suoi incoraggiamenti né incitino contro Israele e gli ebrei».

C’è chi dirà: dopo le migliaia di morti palestinesi che ci sono stati a Gaza non sarà facile trovare qualcuno estraneo a un approccio del genere.
«Forse lei ha ragione. Ma era facile prima? Abbiamo cominciato noi l’attacco del 7 ottobre? Si puntava a eliminare Israele e per fortuna gli attacchi sui vari fronti non sono stati simultanei. La guerra di Gaza poteva finire tanto tempo fa. Abbiamo ancora lì 98 cittadini che sono stati rapiti mentre per lo più si trovavano a letto, in casa. Hanno rifiutato di rilasciarli. Se Hamas restasse al potere i tentativi di assassinare israeliani ed eliminare lo Stato d’Israele continuerebbero. È anche interesse palestinese che Hamas non regga Gaza in futuro. Si guardi al modo codardo nel quale conducono la guerra».

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Da sotto terra?
«Dai tunnel che hanno scavato per se stessi, mentre i civili sono senza protezione. Avrebbero potuto fare il contrario: giù la gente da proteggere e loro su a combattere i nostri soldati».

Quali sono stati gli ostacoli principali sulla via dell’accordo con Hamas?
«Parlando in generale, perché non mi esprimo su contenuti del negoziato per non danneggiarlo, discussioni su quanti terroristi rilasciare per ogni ostaggio. Poi la presenza delle nostre forze armate nella Striscia durante l’applicazione dell’accordo che sarà graduale. Adesso si riassumono le cose che succederanno nella prima fase, la quale si suppone di 42 giorni. Le cose da realizzare nella seconda fase verranno discusse dopo».
  
Alla stabilizzazione di Gaza quale contributo potrebbe dare l’Italia?
«Sotto la guida del presidente del Consiglio Giorgia Meloni l’Italia è uno dei Paesi più stabili e influenti dell’Unione europea. Non è sempre stato così, come in Israele… (Sa’ar sorride riferendosi alla frequenza delle crisi di governo in entrambi i Paesi, ndr). Adesso notiamo tanti Stati dell’Ue non stabili e l’Italia, che invece lo è, ha un leader popolare, influente e apprezzato dentro e fuori il continente, in buone relazioni con il nuovo presidente degli Stati Uniti. Credo possa giocare un ruolo nello spostare l’Europa verso politiche più equilibrate e realistiche sul Medio Oriente».

A quali misure pensa?
«Per esempio alla posizione sull’Autorità nazionale palestinese che paga i terroristi e le loro famiglie per le uccisioni di ebrei, a seconda di quanti ne uccidono. Malgrado l’evitarlo fosse una richiesta dell’Ue, i finanziamenti europei all’Anp proseguono. Poiché conosco la posizione del governo italiano, potrebbe porre la questione sul tavolo europeo. Lo chiederà Donald Trump».

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Secondo l’agenzia di stampa iraniana Irna papa Francesco ha detto al presidente dell’Università delle Religioni e delle Denominazioni iraniana: «Anche noi non abbiamo problemi con gli ebrei, e il nostro solo problema è con Netanyahu, il quale indipendentemente da diritto internazionale e diritti umani ha creato crisi nella regione». Ne parlerà durante la sua visita a Roma?
«Non avrò incontri in Vaticano. Non so se questo sia stato detto, se lo è ne sono rattristato. L’Iran non è un esempio di libertà religiosa o di tolleranza verso i cristiani e sono sicuro che il Papa ne è abbastanza consapevole. Perché si sa, e sono certo che lo sappia il Pontefice, che Israele è stata attaccata da ogni fronte: da Gaza, Libano, Yemen, Iran Iraq… Abbiamo soltanto risposto. Forse qualcuno ci può incolpare di averlo fatto meglio dei nostri nemici, ma nessuno può dire che Israele o Netanyahu abbiano cominciato questi conflitti».

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15 gennaio 2025 ( modifica il 15 gennaio 2025 | 07:38)

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