L’ottimismo è cruciale perché costituisce un ingrediente fondamentale non solo per la crescita economica, ma anche per il funzionamento delle democrazie e la coesione sociale. Una base imprescindibile per costruire una coalizione sociale e politica capace di rilanciare lo sviluppo del paese
Nel suo discorso del 31 dicembre, il presidente Sergio Mattarella ha rivolto un significativo invito a coltivare la fiducia e la «speranza nel futuro», sottolineando però che «la speranza non può tradursi soltanto in un’attesa inoperosa». Ha quindi aggiunto: «La speranza siamo noi. Il nostro impegno. La nostra libertà. Le nostre scelte».
Queste parole, pur pronunciate in occasione degli auguri di fine anno, meritano una riflessione più approfondita, specialmente alla luce del quadro attuale. Come ha evidenziato Enzo Risso sulle pagine di questo giornale (31/12/24), l’Italia si colloca tra i paesi meno ottimisti al mondo verso il nuovo anno.
Perché l’ottimismo e la speranza nel futuro sono cruciali? Perché costituiscono ingredienti fondamentali non solo per la crescita economica, ma anche per il funzionamento delle democrazie e la coesione sociale. Rappresentano dunque una base imprescindibile per chiunque voglia costruire una coalizione sociale e politica capace di rilanciare lo sviluppo del paese.
L’ottimismo, infatti, è una disposizione mentale che porta a ritenere più probabile il verificarsi di eventi favorevoli, stimolando l’impegno individuale per raggiungere i propri obiettivi.
In Italia, però, le aspettative positive verso il futuro scarseggiano. Le indagini svolte negli ultimi anni dal Centro Luigi Bobbio dell’Università di Torino, su ampi campioni rappresentativi della popolazione italiana e piemontese, rivelano una visione preoccupata e spesso pessimista.
Nell’ultima rilevazione, condotta tra il 2023 e il 2024, il 26 per cento dei cittadini riteneva che la propria situazione sociale ed economica sarebbe peggiorata nei successivi dieci anni, mentre il 51 per cento non si aspettava alcun miglioramento. Le preoccupazioni legate al reddito e al costo della vita affliggono il 60 per cento degli italiani, ma con significative differenze tra i ceti sociali: solo il 13 per cento di coloro che appartengono ai ceti medio-superiori manifesta pessimismo per il prossimo decennio, mentre tra i ceti popolari la percentuale triplica, raggiungendo il 39 per cento. In Italia, la speranza sembra rimanere un privilegio riservato a pochi.
Poca fiducia nelle istituzioni
A questa visione pessimista si aggiunge una bassa fiducia nelle istituzioni, in particolare quelle nazionali e politiche. Governo, partiti e stato registrano livelli di consenso tra i più bassi d’Europa, accompagnati da una diffusa percezione dell’incapacità dell’apparato burocratico di progettare e attuare politiche efficaci.
In un contesto di radicale incertezza come quello attuale, sia la fiducia istituzionale sia l’ottimismo si configurano come fondamentali “stabilizzatori” delle aspettative verso il futuro.
Questo clima d’opinione costituisce un ulteriore ostacolo allo sviluppo economico. Già Keynes aveva messo in luce come aspettative negative possano paralizzare l’economia, scoraggiando investimenti e consumi.
Le aspettative però non nascono nel vuoto. Gli attori politico-istituzionali giocano un ruolo cruciale nel plasmarle, influenzandole in modo positivo o negativo. Possono infatti proporre narrazioni che alimentano ansia e incertezza oppure fiducia e speranza nel futuro.
Su questo terreno si delinea un netto discrimine tra la destra neo-conservatrice e sovranista e la sinistra progressista ed europeista. In Italia, la destra tende a proporre una visione nostalgica del passato, fondata sulla paura e sui valori tradizionali che si cristallizzano in identità rigide ed escludenti. Inoltre, è priva di una strategia solida e convincente per il rilancio dell’economia.
Questa impostazione, comune a molte destre europee e a parte di quelle americane, appare straordinariamente distante dal tecno-populismo di Elon Musk, orientato alla crescita e al progresso tecnologico, ma caratterizzato da una visione distopica e leaderistica, finalizzata al controllo sociale e al mantenimento dello status quo.
La sinistra italiana, invece, sembra ancora “orfana di futuro”. Tuttavia, l’elaborazione di una visione positiva del cambiamento sociale, orientata alla trasformazione degli equilibri di potere e volta all’emancipazione e all’inclusione, è iscritta nel dna della sinistra progressista fin dai tempi dell’Illuminismo.
Rilanciare la speranza
Una coalizione alternativa al governo attuale deve quindi rilanciare la speranza, trasformandola da privilegio per pochi a prospettiva positiva per molti. Per raggiungere questo obiettivo, accanto al tema cruciale della redistribuzione, non può trascurare la questione dello sviluppo.
Deve proporsi come interlocutore privilegiato per i soggetti che incarnano “interessi verso il futuro”: giovani, donne, disoccupati, lavoratori a basso reddito, ma anche i ceti produttivi consapevoli che la competitività economica passa attraverso il rafforzamento dei beni collettivi per la competitività (infrastrutture, innovazione e ricerca) e la cittadinanza sociale (sanità e istruzione).
Esiste in Italia una base sociale adeguata a sostenere questa prospettiva? Le ricerche svolte dal Centro Luigi Bobbio sembrano suggerire di sì. Accanto al pessimismo, infatti, affiora uno sguardo possibilista sul futuro, che parte dalla necessità di una riqualificazione dell’economia e di una modernizzazione del sistema socio-istituzionale.
Una “via alta” e inclusiva allo sviluppo capace di raccogliere il consenso di due terzi degli italiani. Richiamando le parole del premio Nobel per l’economia Robert Shiller (Narrative Economics, 2019) è possibile perciò immaginare narrazioni generative di un futuro possibile. La speranza è una risorsa che può essere costruita, ma richiede una proposta politica adeguata e radicata nella società.
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