Zero Carbon: i costi frenano la decarbonizzazione di cemento e trasporto pesante

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Nella strada che porta alla decarbonizzazione dell’economia l’Hard-to-abate rappresenta una delle sfide più complesse, per le quali si parla a ragion veduta non solo di transizione energetica ma di trasformazione industriale. La seconda edizione dello Zero Carbon Technology Pathways dell’Energy&Strategy, School of Management Politecnico di Milano focalizza proprio l’attenzione sul ruolo dei settori hard-to-abate nel processo di decarbonizzazione considerando che tra i comparti più “difficili da abbattere” l’industria è da sola responsabile dell’11% delle emissioni mentre il trasporto pesante arriva all’8%.

Zero Carbon Technology Pathways: uno scenario che rimane preoccupante

La trasformazione necessaria per vedere risultati concreti a livello di hard-to-abate non possono non tenere conto dello scenario nel quale si collocano questi settori. In generale le emissioni di CO2 continuano ad aumentare a livello globale. I segnali mostrano solo un lieve rallentamento nella crescita. Il contributo che arriva dalla progressiva diminuzione grazie alle trasformazioni avviare in Europa e in Italia è certamente importante, ma non sufficiente per contribuire a una inversione di tendenza.

Zero Carbon
Fonte: Zero Carbon Technology Pathways, seconda edizione – Energy&Strategy, School of Management Politecnico di Milano

Peraltro i segnali che si colgono non sono nel segno di un progresso verso lo zero carbon. L’area UE ha raggiunto un calo delle emissioni del 36% nel 2023 con un contributo dell’area Italia comunque importante anche se limitato a un meno 23%. I risultati sono arrivati in particolare grazie a due fattori chiave come la diffusione delle energie rinnovabili che hanno beneficiato di una diminuzione del 18% nel rapporto tra emissioni e consumi e come l’efficientamento energetico, dove si è invece ridotto del 30% il rapporto tra consumi e PIL.

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Mobilità pesante e produzione di cemento rallentano il “viaggio” lungo la Zero Carbon Pathway

Trasporto pesante e produzione di cemento sono i settori che, nella prospettiva Zero Carbon, presentano le maggiori complessità in termini di quantità di emissioni e di complessità di trasformazione industriale. Il tutto in un contesto, quello dell’hard-to-abate, che comprende anche industrie ad alte emissioni come siderurgia, chimica, ceramica e produzione di carta e vetro. Per queste imprese non è possibile adottare percorsi o soluzioni di decarbonizzazione “tradizionali” come possono essere forme di elettrificazione associate all’utilizzo di energie rinnovabili, ma occorre predisporre delle soluzioni più specifiche di Zero Carbon Technology unitamente a processi di trasformazione industriale.

Cemento: lo Zero carbon si deve confrontare con un “very-hard-to-abate”

La decarbonizzazione dell’industria del cemento rappresenta da tempo una delle sfide più impegnative e complesse e potrebbe rientrare nella definizione di “very-hard-to-abate“. Il raggiungimento di obiettivi zero carbon in questo specifico settore deve essere affrontato da due diverse prospettive. Ci sono le emissioni di CO2 che attengono alle emissioni dirette del processo processo produttivo del cemento e che sono provocate dalla reazione di calcinazione e dall’uso di combustibili. Nel primo caso si stima una quota pari al 48% del totale, mentre i combustibili pesano per una quota del 25%.

Ci sono poi le emissioni di tipo indiretto che attengono alla catena di fornitura delle materie prime calcolate in un 23% e al consumo di energia elettrica (4%).

Le soluzioni per raggiungere lo zero carbon lavorando sulle emissioni dirette agiscono a livello di efficienza dei processi, sull’ottimizzazione dei consumi di energia termica, sull’uso di combustibili a minore impatto ambientale e sulla sostituzione delle materie prime. In questo senso si colloca la riduzione del contenuto di calcare nel clinker e di clinker nel cemento per ottenere una diminuzione nel rilascio di anidride carbonica.

I limiti economici della CCS o carbon capture nella zero carbon pathway del cemento

Guardando alle Zero Carbon Technologies occorre considerare che le soluzioni per catturare la CO2 o CCS carbon capture storage possono rappresentare un percorso fondamentale per affrontare e ridurre l’hard-to-abate ovvero le emissioni non evitabili del processo produttivo dovute alla reazione di calcinazione. Una prospettiva questa che al momento risulta difficilmente percorribile primariamente per ragioni economiche.

Il report Zero Carbon Technology Pathways ha scelto infatti di analizzare diverse tecnologie di carbon capture in termini di impatto economico sul costo di produzione del cemento. Il risultato di questa analisi rivela che la CCS non si presenta come economicamente sostenibile a meno che non possa contare su un supporto adeguato. Unendo i costi relativi agli impianti di carbon capture, con quelli relativi al trasporto e allo stoccaggio della CO2 si dovrebbe affrontare un aumento del costo di produzione del cemento del 150-230% rispetto alle condizioni attuali. Un valore decisamente importante che imporrebbe una serie di considerazioni altrettanto importanti e strategiche a livello di impatto sulla filiera del building.

Zero Carbon
Fonte: Zero Carbon Technology Pathways, seconda edizione – Energy&Strategy, School of Management Politecnico di Milano

Il report Zero Carbon Technology Pathways mostra diverse prospettive in relazione al costo di diversi scenari. Nella valutazione del costo della CO2 sulla produzione del cemento, rappresentato nel grafico sopra, si nota che in assenza di impianti CCS i produttori di cemento dovrebbero considerare i costi aggiuntivi relativi alle quote di emissioni EU ETS che sono calcolate in circa 82 €/t cemento che si devono paragonare alla media attuale di circa 61 €/t.

Nel caso di adozione di una strategia CCS il costo aggiuntivo della cattura e dello stoccaggio della CO2 andrebbe calcolato in un ordine di grandezza pari al 150-230%. Il report Zero Carbon Technology Pathways sottolinea inoltre che anche nell’ipotesi di una esclusione delle fasi di trasporto e stoccaggio e con il supporto di incentivi a copertura delle fasi di gestione della CO2 a valle, la scelta della CCS dovrebbe essere considerata con estrema attenzione in ragione degli alti costi e delle conseguenze in termini di impatto sul prezzo finale del prodotto.

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Cemento e zero carbon: la realtà del mercato

A che punto siamo oggi in relazione alla distanza tra le prospettive tecnologiche disponibili e la realtà del mercato?

Il report Zero Carbon Technology Pathways ha voluto affrontare questo tema e nel caso dell’industria del cemento mostra uno scenario dove non sono presenti soluzioni CCS su scala industriale. Una mancanza da addebitare, tra le diverse cause, al costo di queste soluzioni e alla mancanza di meccanismi a supporto degli operatori. Inoltre, l’assenza di un quadro strategico rappresenta un ulteriore ostacolo nella direzione di un contributo della CCS allo zero carbon pathway del cemento.

In generale poi, in termini di prospettive, per gli impianti in grado di gestire la cattura della CO2 nell’industria del cemento si dovrebbe prevedere un costo stimato, al netto delle infrastrutture di trasporto e stoccaggio, tra i 3,6 e i 6,8 miliardi di euro nell’orizzonte 2050.

Guardando poi agli eventuali effetti della Carbon Border Adjustment Mechanims o CBAM, il report sottolinea che questa forma di protezione dell’industria europea non è considerata come realmente efficace per gli operatori europei.

Trasporto pesante su gomma: quale direzione prendere per una zero carbon pathway

La decarbonizzazione dei veicoli commerciali pesanti viene analizzata a sua volta nel report Zero Carbon Technology Pathways con una duplice chiave di lettura: da una parte i risultati che si possono ottenere mantenendo una motorizzazione “tradizionale” che evolve verso l’utilizzo di carburanti sostenibili e dall’altra le prospettive di una trasformazione della motorizzazione in favore dell’elettrico. Anche in questo caso l’analisi mette a disposizione una visione di quelli che sono gli aspetti economici dei due percorsi verso lo zero carbon.

In questo senso l’analisi parte prendendo come punto di riferimento gli economics di TCO (Total Cost of Ownership) del modello oggi più diffuso rappresentato dalla mobilità pesante alimentata a diesel fossile.

Zero Carbon
Fonte: Zero Carbon Technology Pathways, seconda edizione – Energy&Strategy, School of Management Politecnico di Milano

Il TCO di riferimento per un truck alimentato con diesel fossile nel caso di un percorso giornaliero medio di circa 400 km, è pari a 0,65 €/km. Questo costo sale a 1,02 €/km nel caso di veicoli a trazione elettrica (Battery Electric Truck BET) e arriva a costare 2,47 €/km nel caso di veicoli alimentati a idrogeno (Full Cell Electric Vehicle FCEV).

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Un segnale importante dal punto di vista del TCO arriva dalle previsioni di costo legate all’utilizzo di carburanti sintetici, ovvero a soluzioni Hydrotreated Vegetable Oil HVO e a biocarburanti BIO-NLG Bio-Liquefied Natural Gas: in questi casi non ci si allontana dal TCO base del “diesel”. Le variabili legate alla distanza, ovvero i calcoli legati a diversi range giornalieri non cambiano la sostanza di queste prospettive, se non con una chiave di lettura che deve considerare un ampliamento delle differenze che risulta essere inversamente proporzionale all’aumento della percorrenza.

Come mostra il grafico sopra le variazioni del Total Cost of Ownership in funzione della percorrenza giornaliera, nel caso dell’elettrico il costo chilometrico impatta notevolmente sul capex. Prendendo come riferimento la percorrenza di 400 km/giorno, il costo di acquisto del veicolo elettrico pesa per un 43% sul totale mentre quella del veicolo FCEV arriva al 46%. Le tecnologie tradizionali, a parità di utilizzo, presentano un costo di acquisto decisamente inferiore nell’ordine del 20-25%. Aumentando la variabile della percorrenza a 600 km/giorno, il peso del costo di acquisto per veicoli elettrici e FCEV scende a 28% e 37% ma resta sensibilmente superiore al 17-19% dei veicoli a carburanti sostenibili.

La scelta dell’elettrico deve poi considerare che nel momento in cui si supera la soglia dei 400 km/giorno si deve calcolare anche la necessità di ricorrere a infrastrutture di ricarica pubblica più costose rispetto a quella privata. La scelta FCEV deve a sua volta misurare l’impatto del costo del carburante legato al prezzo dell’idrogeno verde.

Le variabili che possono influenzare o modificare uno scenario zero carbon pathway

Il report Zero Carbon Technology Pathways considera poi la possibilità di uno sviluppo di policy ad-hoc espressamente indirizzate al sostegno di veicoli a zero emissioni. Il report calcola che il meccanismo ETS 2 potrebbe impattare sul Total Cost of Ownership in termini di un aumento del 10-15% del prezzo del carburante tradizionale, unitamente alla rimozione dei pedaggi autostradali per i mezzi a basso impatto. Sulla base di una serie di assunzioni che attengono anche all’evoluzione nel costo dei biocarburanti i costi per un veicolo elettrico potrebbe raggiungere già oggi la parità di costo con il veicolo alimentato ad HVO. Resta in ogni caso il limite legato al costo di acquisto di un mezzo pesante con una motorizzazione elettrica che resta significativamente superiore ai mezzi tradizionali.

Zero Carbon Technical Pathway: alcune considerazioni finali

Zero Carbon Technology Pathway
Vittorio Chiesa, direttore di E&S del Politecnico di Milano

Vittorio Chiesa, direttore di E&S ha focalizzato l’attenzione sullo scenario nel quale si collocano alcuni dei settori che presentano con maggiori difficoltà di decarbonizzazione: “Le emissioni dei settori hard-to-abate non sono poca cosa: secondo il monitoraggio effettuato nell’ambito dell’EU ETS i settori industriali hard-to-abate sono stati responsabili nel 2023 dell’11% delle emissioni italiane e del 13% di quelle europee. Al trasporto pesante su strada, aereo e marittimo si deve invece l’8% di CO2“.

Davide Chiaroni, vicedirettore di E&S ha a sua volta sottolineato che “il quadro normativo si è mosso per renderne più stringenti gli obblighi: il sistema EU ETS ha aumentato il target di riduzione rispetto al 2005 dal -43% all’attuale -62% ed è stato affiancato dal sistema ETS 2 per quanto riguarda le emissioni prodotte dalla combustione di carburanti nei settori del trasporto e residenziale“.

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Relativamente al sistema dei trasporti “In Italia la quota di mercato delle alimentazioni alternative sulle immatricolazioni totali è del tutto marginale, il 2% nel 2023, e la quasi totalità del parco circolante di HDV è costituito da veicoli a diesel”. Chiaroni ricorda poi che “Sono tante le barriere che rallentano la diffusione di truck alternativi: l’incertezza normativa, il costo di acquisto, la mancanza di meccanismi di incentivazione adeguati, le carenze a livello infrastrutturale e, non ultimo, l’assenza di domanda di mercato per un trasporto ‘green’”. Inoltre: “Per rendere l’idea dell’impatto economico che avrebbe questa transizione, nel caso venissero acquistati HDV elettrici pari al 50% delle immatricolazioni totali al 2030, in linea con i target europei, sarebbero necessari 1,7 miliardi di euro di investimenti aggiuntivi rispetto all’acquisto di veicoli diesel”.

Zero Carbon Technology Pathway
Davide Chiaroni, vicedirettore di E&S del Politecnico di Milano

In conclusione Chiaroni sottolinea la necessità di un’accelerazione in quanto “… gli strumenti in campo, benché coerenti, sono infatti largamente insufficienti quanto a risorse disponibili. Basti pensare che per i soli impianti di cattura di CO2 nel settore del cemento, tecnologia imprescindibile per abbattere le emissioni, occorrerebbero al 2050 in Italia tra i 3,6 e i 6,8 miliardi di euro, mentre la totalità dei finanziamenti europei dell’European Innovation Fund, il principale programma dell’Unione Europea per promuovere lo sviluppo e l’adozione di tecnologie per la decarbonizzazione dell’industria, a ottobre 2024 si fermava a 164 milioni”.



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