Pregiatissimo Presidente del Consiglio, Signori Ministri,
sembrerebbe che la società si stia pericolosamente abituando, per non dire rassegnando, a una “deriva a-culturale”, inneggiante alla violenza nei confronti delle Forze dell’ordine. Finanche alcuni sedicenti “artisti” compongono, ormai, canzonette che vanno in quella direzione, non curandosi del fatto che stanno concretamente contribuendo al sedimentarsi di quel sottoprodotto culturale che, purtroppo, attecchisce facilmente nella mente delle nuove generazioni, come un virus letale per l’intera società.
Questo virus è, però, alimentato da più parti: dall’inconsapevolezza, dal “colpevole” silenzio di rappresentanti delle Istituzioni, talvolta dalla loro mancanza di coraggio, se non addirittura da esternazioni al limite della decenza e ragionevolezza.
Nessuno dimentichi le vicende del passato che hanno segnato la storia di questo Paese, come negli anni del contrabbando, dove i nostri Colleghi, Alberto De Falco e Antonio Sottile, perirono eroicamente perché “lasciati colpevolmente soli dallo Stato”, con mezzi assolutamente inadeguati, né tantomeno gli eroici Magistrati e appartenenti alle Forze di Polizia che hanno perso la vita per combattere la criminalità organizzata, spesso senza mezzi e nell’indifferenza generale di chi avrebbe dovuto tutelare loro con strumenti e legislazioni adeguate. Solo dopo questi tragici e bui episodi “lo Stato fece lo Stato”, assestando colpi devastanti a quelle organizzazioni criminali senza scrupoli.
Dal passato si può imparare tanto e vogliamo, con la presente, ricordarlo sommessamente, ai massimi rappresentanti delle Istituzioni, che debbono essere ben consapevoli che hanno in mano “le leve della cultura”, dell’orientamento delle masse e le sorti del futuro del Paese e, di questo, ne sono senz’altro responsabili, nel bene o nel male.
Non solo chi ha responsabilità politiche o istituzionali non può dimenticare i sacrifici dei Colleghi, lo strazio delle famiglie, ma non deve assopirsi in sterili dichiarazioni di vicinanza se non, addirittura, come accaduto in questi giorni, in manifestazioni di solidarietà (velata o espressa) nei confronti di chi delinque o comunque mette in atto azioni non rispettose delle leggi che regolano la civile convivenza.
Le Forze dell’ordine rappresentano lo Stato, l’Italia e gli Italiani e garantiscono la sicurezza dei cittadini, condizione necessaria del vivere civile e pacifico: dell’esistenza stessa di uno Stato.
Se all’Alt delle Forze di polizia non ci si ferma o non si adempie a loro ordini legittimi impartiti nell’esercizio delle proprie funzioni, prestando la collaborazione doverosa, non ci si può certo lamentare delle conseguenze di quella condotta, giacché scaturente da una scelta colpevole e intenzionale che mette anche a rischio la sicurezza degli altri. Diversamente, si giungerebbe a conclusioni assurde e inaccettabili che minerebbero e falserebbero irrimediabilmente i presupposti che sono alla base della sicurezza, in uno Stato democratico.
E ciò è ancor più vero oggi, in un clima di fortissime tensioni sociali, con il pericolo concreto di attacchi mirati da parte di antagonisti violenti o, ancora peggio, di matrice terroristica, testimoniati da parecchie cellule sgominate sul nascere proprio dai tutori dell’ordine, con formidabile intuito e preparazione: non certo attraverso un “numero di targa” (cit.).
Le sfide e gli attacchi contemporanei alla sicurezza non possono essere semplificati o affrontati con “logiche burocratiche” (peraltro, sempre dopo gli accadimenti e spesso stando seduti su comode poltrone), perciò occorre compiere un’attenta analisi che porti ad un’elaborazione delle cause di certi fatti, al fine d’individuare mezzi, apparecchiature, equipaggiamenti innovativi, sistemi, regole d’ingaggio e tutele adeguate, ben innestate nella variegata realtà che connota le ripetute azioni criminali, considerata la pluralità ed eterogeneità dei rischi per la società.
Serve, ora, un deciso cambio di passo – con coraggio, responsabilità e lungimiranza – perché venga consentito alle Forze di polizia di poter realmente svolgere il proprio vitale lavoro nel modo più utile alla collettività e alle Istituzioni.
I principi di esercizio di un diritto o di adempimento di un dovere legittimo, nonché di proporzionalità tra l’offesa e la difesa di cui agli artt. 51, 52 e 53 del Codice Penale, nelle sue diverse accezioni e declinazioni (per le interpretazioni in fatto e diritto che hanno assunto nel tempo, messi in correlazione con il mutamento degli scenari violenti che la società sta vivendo), non sono più confacenti e, così come interpretati, non possono certamente continuare a trovare applicazione per le Forze di Polizia.
Il disegno di legge sicurezza, fortemente auspicato e caldeggiato dalla scrivente Organizzazione Sindacale, deve essere approvato al più presto e se in fase di applicazione dovessero riscontrarsi ancora criticità o impedimenti che espongano gli agenti alla gogna mediatica, giudiziaria o non garantiscano le adeguate tutele per esercitare il ruolo che si è chiamati a svolgere, bisognerà procedere, senza indugio e con tempestività, al necessario rafforzamento delle misure a loro tutela, se del caso anche con altri veicoli legislativi a disposizione del Governo.
E, quindi, interpretando i sentimenti di migliaia di Colleghi, poniamo una serie di domande e riflessioni:
“Diteci, come dobbiamo procedere? Che modello di sicurezza volete per il nostro Paese? Cosa succederebbe se, visto il colpevole abbandono a sé stessi che si respira tra gli appartenenti alle Forze di Polizia (oggetto di violenze inaudite ogni giorno e inquisiti alla prima occasione), gli agenti dovessero maturare l’idea di cambiare approccio ed iniziare a pensare di dover mettere a riparo da azioni giudiziarie e da condotte violente prima sé stessi e poi pensare all’interesse collettivo ed alla salvaguardia dell’incolumità degli altri cittadini e dei beni pubblici?”.
Nessuno di noi vuole uno Stato autoritario, anzi rifugge con vigore da un’ipotesi del genere, poiché le varie forme di libertà garantite ad ogni cittadino sono linfa vitale per una società democratica, né tantomeno vuole essere al di sopra della legge, tuttavia non è più concepibile che si invertano i ruoli e persone con disagi sociali, professionisti del disordine o criminali scarichino la loro rabbia e le loro azioni violente nei confronti delle Forze di Polizia, che più di qualche ben pensante vorrebbe inermi e pronte a subire passivamente ogni tipo di umiliazione e violenza e poi finire anche sotto processo con tutto quello che ne consegue.
Il rischio che possano essere prese in seria considerazione tutte le misure possibili per scuotere le coscienze ad ogni livello, su queste “assurde condizioni di lavoro”, che probabilmente mai prima di quest’epoca avevamo vissuto, è tutt’altro che remoto.
Chi ha responsabilità politiche e istituzionali si guardi bene, pertanto, dal proferire parole o compiere azioni che possano contribuire ad alimentare la rabbia sociale, demonizzare e demoralizzare le Forze dell’Ordine, perché il rischio che il prodotto finale possa essere devastante per la sicurezza della collettività è molto verosimile e realistico.
Con deferenza.
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