Le «altre» influencer: la body positivity non è (solo) un trend

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Con il «boom» del movimento della body positivity – avvenuto in Italia intorno al 2020 – i messaggi d’accettazione e rispetto per tutti i corpi sembravano aver raggiunto le case di moda e l’immaginario. Oggi, tuttavia, il panorama appare più fosco. Le modelle che sfilano sono di nuovo quelli filiformi in voga negli anni ’90, le foto promozionali con corpi di tutte le taglie si sono man mano diradate fino a scomparire. Si è trattata di una semplice moda nella moda? Abbiamo chiesto a tre delle influencer italiane più seguite nella galassia della body positivity di raccontarci la loro storia e la loro visione della situazione attuale.

Paola Torrente

«IN ITALIA si parlava ancora molto poco di accettazione corporea, io avevo finalmente iniziato a cercare di accogliere me stessa e le mie curve, invece di continuare a combatterle terribilmente». A parlare è Laura Brioschi, influencer, attivista e imprenditrice classe 1989. «La mia crescita personale è avvenuta di pari passo a quella del profilo Instagram», che oggi conta oltre 560mila followers. Il percorso di Brioschi non è stato semplice, né immediato. Arrivare ad esporsi – e farne perfino un lavoro, mostrando così che altri modelli sono possibili – per chi ha un corpo che scarta o eccede le norme, implica affrontare alcuni nodi, come gli auto-giudizi svalutanti e la colpevolizzazione, spesso inculcati fin dalla più tenera età.

Sono due gli avvenimenti che per Brioschi hanno cambiato tutto: il primo è la creazione della Body Positive Catwalk, nel 2019, una sfilata in biancheria intima a piazza Duomo a Milano, per sfidare la vergogna e rivendicare il diritto di esistenza di ogni corpo. Un evento che richiama i Fat In, gli storici eventi del movimento Fat Acceptance statunitense – il primo si tenne a Central Park, a New York, nel 1967. «Alla Catwalk ci siamo incontrate in tante, e ho avuto modo di conoscere molte storie. E libri, come Fat Shame. Lo stigma del corpo grasso di Amy Erdman Farrell (Ed. Tlon), o Il peso in avanti di Lara Lago (People), o Nera con forme. Storia di un corpo grasso di Marianna the Influenza (Le plurali)».

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Nel suo percorso di consapevolezza, Brioschi si è avvicinata spontaneamente alla politica: «Di femminismo, di movimento politico, non sapevo davvero nulla. Anche ora non mi considero un’esperta, ma mi sono informata tanto, ho studiato». Un filo tira l’altro: decostruire i canoni di bellezza e abilità veicolati dal discorso pubblico, comprendere che la grassofobia, come il razzismo, ha ragioni storiche e psicologiche che dicono molto più di chi si trova nella posizione giudicante, significa abbracciare una trasversalità ricca di possibilità.

È tremendo come ci lasciamo annichilire dalla grassofobia. Si sta tornando indietro, le leggi che approva questo governo non aiutanoLaura Brioschi

Il secondo «salto» è avvenuto, per Brioschi, con la scoperta del Mindful Eating. «Ero finalmente arrivata, dopo alti e bassi con la bulimia, a rinnegare ogni dieta, ma c’erano ancora quelle vocine che mi dicevano: la pasta non puoi mangiarla. Il mindful eating ha segnato un cambiamento enorme. Siamo molto disconnessi, lontani dall’ascoltarci. Così con il mio compagno abbiamo creato questo progetto, Mindful Eating Online, che – con i professionisti allineati – sta aiutando tante persone. Ed è una grande gioia, perché è tremendo come ci lasciamo annichilire dalla grassofobia, soprattutto noi donne». Nel frattempo Brioschi ha fondato anche un marchio di abbigliamento, «un sogno che si è avverato».

TUTTO BENE dunque? Non proprio. «È vero, purtroppo si sta tornando indietro, da tutti i punti di vista, comprese le leggi che approva questo governo che non aiutano. I primi anni sui social sono stati una meraviglia, sembrava davvero di avere una famiglia online, non avevo mai ricevuto così tanto supporto. Invece da un po’ di tempo a questa parte provo molto stress, e posto meno della mia vita personale. Forse perché mi sono accorta della preziosità dell’intimità, ma anche perché arrivano tanti giudizi in più. Il diritto di opinione viene scambiato con il diritto d’insulto. Anche se personalmente non mi ferisce, non devono permettersi di dire certe cose alle persone con un corpo come il mio». Le battaglie da portare avanti, quindi, sono ancora molte, e l’elaborazione di Brioschi continua a evolversi. «Prima dicevo: amati come sei, oggi capisco che non siamo obbligate a piacerci, ma vorrei trasmettere il rispetto per tutti i corpi. Vogliamo avere gli stessi diritti di chiunque altro».

Ho iniziato su Youtube, affrontando temi legati alla comunità Lgbtqi+, intorno al 2016. Per me le due lotte sono legate, fanno parte di meMuriel

DA UN PIANO più personale, dunque, ad uno politico. Lo condivide anche Muriel De Gennaro, classe 1996, influencer milanese (il suo profilo Instagram conta attualmente più di 270mila followers), performer e attivista Lgbtqi+. «Il movimento body positive non è nato per dire “siamo tutti bellissimi” come si crede a volte. Siamo sempre focalizzati sulla bellezza, nella nostra società è una specie di ossessione». Muriel (si fa chiamare col solo nome) è arrivata ad esporsi dopo un rapporto travagliato col proprio corpo. «Ho iniziato a prendere peso alle elementari dopo aver perso mio padre, sfogavo la mia rabbia col cibo. Sono iniziate le prese in giro a scuola, ci ho sofferto molto. Al liceo sono stati anni di montagne russe col peso, fino a quando è iniziato il mio percorso sui social. Prima ancora di parlare di body positivity ho iniziato affrontare temi legati alla comunità Lgbtqi+, intorno al 2016, su Youtube. Per me le due lotte sono legate, fanno parte di me, in entrambi i casi si parla di persone marginalizzate». I social, dunque, possono far parte di un percorso terapeutico di accettazione di sé, di divulgazione, di supporto e solidarietà. I messaggi di odio però continuano a raggiungere le persone grasse anche lì. «Spesso ricevo critiche che fanno riferimento alla salute, ma mi sembra che questa sia spesso una scusa per prendere di mira corpi che non rientrano nei canoni di questa società. Non mi hanno mai insultato con rabbia in quanto fumatrice, ma in quanto grassa sì».

Muriel

Anche secondo Muriel, negli ultimi tempi si stanno facendo passi indietro, e proprio per questo all’ultima Fashion Week milanese ha dato vita a una campagna di informazione sui corpi esclusi dalle sfilate. «Avevo tanta speranza che le cose cambiassero, perché tra il 2019 e il 2021 un sacco di brand avevano iniziato a includere persone con corpi non conformi. Per come la vedo io, i corpi non dovrebbero essere un trend. Mi ostino a parlare delle Fashion Week perché la moda influenza molto la società, e anche il modo in cui guardiamo a noi stessi, arrivando così a una questione di salute mentale. La rappresentazione dovrebbe essere inclusiva nel senso che dovrebbe rispecchiare la realtà».

Una realtà che invece sembra sempre più allontanarsi dalle passerelle. Lo conferma anche Paola Torrente, la modella curvy italiana più seguita, con ben 710mila followers su Instagram. «Qualche anno fa ero persino troppo magra per alcune campagne, i brand volevano mostrare di essere inclusivi. Ora siamo all’opposto – ci racconta quando la raggiungiamo al telefono – Prima quando andavo a scegliere i capi per una sfilata negli showroom c’erano le taglie adatte a me, ora il campionario si ferma alla 40, al massimo alla 42. Ci abbiamo messo dieci anni per tentare di cambiare qualcosa, invece c’è un senso di stupore enorme nel vedere una donna con delle forme che sfila. Questo mi spaventa molto».

La realtà in Italia è molto diversa da quella che sfila: è quasi impossibile trovare una donna del Sud come me che sia alta un metro e 90 e porti la 36Paola Torrente

TORRENTE, salernitana di 31 anni, ha iniziato la propria carriera partecipando a Miss Italia nel 2016: si classificò seconda, fu un terremoto. «Non avevo mai pensato di fare la modella con la mia fisicità. Poi un po’ per gioco, ho partecipato e ho superato le selezioni. Non avevo mai sfilato, non avevo mai fatto un servizio fotografico. Sono stati dodici giorni molto intensi, anche dal punto di vista psicologico». Poi per Torrente le cose sono andate sempre meglio, anche perché «molte donne si rispecchiavano in me» e rispetto alle critiche «sono diventata un muro». Rimane però l’amarezza per questa fase di chiusura che, secondo la modella-influencer, è particolarmente pesante nel nostro Paese. «La realtà in Italia è molto diversa da quella che sfila: è quasi impossibile trovare una donna del Sud come me che sia alta un metro e 90 e porti la 36. Eppure la nostra situazione mi sembra persino peggiore di quella francese, dove in passato erano categorici sulla 36 o addirittura la 34. In Spagna invece va molto meglio, perché i brand non differenziano le taglie normali da quelle curvy. Per non parlare degli Stati uniti, che sono i campioni indiscussi dell’apertura alla varietà di corpi. Insomma noi siamo proprio messi male».

Una fiamma, tuttavia, ormai è stata accesa, il movimento esiste – e oltre ai corpi Midsize e Plussize, abbraccia le disabilità e tante altre espressioni di diversità. E forse proprio ora che i maggiori interessi commerciali sono svaniti, la body positivity può innescare tante piccole e grandi rivoluzioni, aprendo gabbie dello sguardo, della mente e della politica. Continuiamo a parlarne.

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