Manuela l’italiana e quei bambini da salvare

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Scendono dalla scaletta dell’aereo con le manine rattrappite e le gambe o le braccia divorate dalla osteomielite, la malattia che sbriciola le ossa. Altri hanno il volto bruciato per lo scoppio di un fornelletto difettoso o di un braciere incustodito. Arrivano dall’Afghanistan, dall’Angola, dallUzbekistan, dal Kurdistan e da altri Paesi in cui a fare ammalare o a rendere invalidi è la povertà. Soli, senza nessuno. Sanno che in Germania li attendono medici, infermieri, volontari che restituiranno loro la salute e una vita normale. E troveranno anche Manuela, la donna che ha portato una passione tutta italiana fino ai vertici di Friedensdorf – Villaggio della pace di Oberhausen, 30 km a nord di Dusseldorf, la Ong che dal 1967 anni ha accolto e curato migliaia di bambini malati o bisognosi di operazioni e terapie complesse a causa di incidenti legati all’estrema povertà, provenienti da Paesi dove per loro il destino sarebbe stata la morte o l’invalidità permanente. Manuela Cittone Rossi ha 55 anni, un sorriso aperto ed entusiasta, è nata e cresciuta a Milano dove ha studiato Biologia. Con la sua famiglia ha vissuto all’estero fino ad approdare in Germania. Dopo un decennio da volontaria a Friedensdorf – Villaggio della pace, da tre anni è la responsabile della Ong per la Germania orientale. «Il mio compito è reclutare volontari e cercare in tutto il Paese ospedali e medici disponibili a operare e curare i nostri piccoli stranieri. Il nostro motto è: ogni ospedale può salvare un bambino». Manuela è come un panzer: non la ferma nessuno. Non c’è chirurgo, a Dresda, Weimar, Berlino… che può resistere alle sue richieste, alla sua missione: c’è un bambino da curare, e i 40mila euro necessari per il trattamento di una osteomielite saltano fuori dai bilanci delle cliniche. Così come non mancano i volontari che assistono i piccoli sia al Villaggio sia in corsia: persone che come Manuela hanno ritrovato il loro posto nel mondo, la loro ragione di vita a fianco ai piccoli stranieri malati. In questo momento il Villaggio segue 200 bambini, che stanno affrontando le cure negli ospedali della Germania: gli ultimi arrivati, lo scorso novembre, sono 89 afghani tra i 2 e i 14 anni, selezionati in Afghanistan tra migliaia di bimbi bisognosi di cure dopo una valutazione medica da parte degli operatori della Ong. «Partono i più gravi, e noi sappiamo che chi resta in Afghanistan è destinato a morire, o ad essere disabile a vita. Questa è la parte più difficile», dice Manuela in collegamento video dalla Germania. Arrivano a Dusseldorf da soli, senza parenti per una precisa indicazione delle autorità tedesche. I bambini hanno necessità di tutto: di una presenza materna, di un accompagnamento linguistico, di cure e medicazioni costanti, di assistenza giorno e notte negli ospedali, ma anche di giocare e continuare a imparare per tutto il tempo che stanno in Europa, dai 6 mesi ai 2 anni, prima di rimettersi in piedi e tornare in patria. Tutti i bambini di Friedensdorf sono figli di Manuela, che non conta i turni di notte trascorsi in ospedale al loro fianco, dopo un intervento chirurgico. «Ciascuno ha un posto nel mio cuore. C’è Maria, arrivata dall’Angola a 4 anni. Aveva il volto bruciato da un incendio scoppiato mentre era a casa da sola. I medici le hanno ricostruito i tessuti. Oggi si guarda allo specchio, canta, sorride a tutti. Mi ha insegnato cosa vuol dire essere forti». E poi c’è Kadija, bambina afghana di 10 anni. Si era ferita a un piede camminando scalza su un prato, il taglio si è infettato e l’infezione le ha mangiato le ossa, finché non camminava più. «Qui sarebbe bastato un antibiotico, in Afghanistan invece Kadija non aveva accesso a medicine, per anni ha sopportato terribili dolori. Gli ortopedici tedeschi l’hanno rimessa in piedi, togliendo pezzi di osso distrutti e ricostruendoli: ci è voluto un anno ma è tornata dalla sua famiglia sulle sue gambe», continua. Le storie dei bambini di Friedensdorf sono storie di riscatto. La rete di ospedali coinvolti in questa opera di solidarietà è tesa nei Paesi di lingua tedesca, quindi non solo in Germania, ma anche in Austria e Svizzera. Il sogno di Manuela è portare il Villaggio della pace nella sua Italia. E c’è da scommettere che quel giorno arriverà presto.
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