per gli stessi reati pene diverse comminate da giudici diversi

Effettua la tua ricerca

More results...

Generic selectors
Exact matches only
Search in title
Search in content
Post Type Selectors
Filter by Categories
#finsubito

Prestito condominio

per lavori di ristrutturazione

 


MESTRE – Alla fin fine quel che fa la differenza è la versione in salsa mafiosa dell’intramontabile “lei non sa chi sono io”. Ed è una differenza notevole, in anni di galera. Succede infatti che per gli stessi reati e per lo stesso gruppo di malavitosi – in questo caso stiamo parlando del Tronchetto – un giudice sentenzi che si tratta di associazione per delinquere di stampo mafioso e un altro che invece si tratta di associazione a delinquere “normale”. 

CORTOCIRCUITO

Il che crea un cortocircuito giudiziario dal momento che ci sono imputati che se la cavano con poco e altri che, per gli stessi reati, si trovano a scontare pene molto pesanti. E’ già successo con i casalesi di Eraclea e ora si ripete con i malavitosi del Tronchetto. In discussione non ci sono i fatti ma l’interpretazione del concetto di associazione a delinquere di stampo mafioso.

E dunque vediamo il dettaglio per cercare di capirne di più, avvertendo che è un segno forte di democrazia il fatto che giudici diversi stilino sentenze diverse, anche se questo crea un ovvio cortocircuito giudiziario che solo la Cassazione potrà risolvere. Partiamo dunque dalle motivazioni della sentenza di primo grado sul Tronchetto, che sono state appena rese pubbliche. Il collegio presieduto da Stefano Manduzio, che ha giudicato secondo il rito ordinario, ha escluso la mafiosità del gruppo di criminali, i cosiddetti “mestrini”, capeggiati da Gilberto Boatto, Paolo Pattarello e Loris Trabujo che tenevano sotto scacco il Tronchetto e il suo business miliardario. Perché non sono mafiosi? Per tanti motivi, il principale dei quali è quello che li costringeva, per imporsi, a proclamare di essere parte della vecchia mala del Brenta di Felice Maniero.

Carta di credito con fido

Procedura celere

 

Scrivono i giudici: “La necessità di enunciare e ricordare l’appartenenza alla mala del Brenta per indurre i propri interlocutori a soddisfare i desiderata degli attori criminali, appalesa la mancanza di carica intimidatoria proveniente dal sodalizio in concreto operante e l’urgenza di servirsi dell’alone di intimidazione proprio di un gruppo mafioso diverso (ed estinto) non avendone uno proprio che si manifesta in via autonoma”. Tradotto significa che, se hai bisogno di far sapere che sei uno della mafia del Brenta è perché da solo non riesci a farti riconoscere come un vero boss mafioso. Dunque, chi utilizza il “lei non sa chi sono io” non conta nulla. Chi è mafioso sul serio non ha bisogno di trasformarsi nel marchese del Grillo. E i giudici non a caso citano Buscetta: “Quando mi presento a lei, lei deve sentire il mio peso e deve sentirlo velatamente. Io non verrò mai a minacciarla, verrò sempre sorridente, lei sa che dietro quel sorriso c’è una minaccia che incombe sulla sua testa. Io non verrò a dirle, le farò questo. Se lei mi capirà bene, se no lei ne soffrirà le conseguenze”. Dunque, la minaccia deve essere velata. Ci si deve far forza del nome della cosca, senza pronunciarlo. La conferma che nel caso del Tronchetto non si possa parlare di mafia arriva, secondo i giudici, da un’intercettazione dell’aprile 2017 in cui Boatto afferma: “Quando hai il nome, quale è la cosa più importante? Che certe robe non serve… basta solo fargli una minaccia e va a buon fine, capito? Se non ti conoscono, neanche ti pensano”. 

L’OPPOSTO

La stessa intercettazione viene utilizzata dai giudici della Corte d’Appello del rito abbreviato (presidente Elisa Mariani) per dire esattamente il contrario e cioè che, a segnare il legame con il passato, ci sono, da parte dei malavitosi, “i continui richiami (supportati da elementi oggettivi) da parte dei sodali alle esperienze passate, la consapevolezza di operare in una determinata maniera, con la riproposizione di metodi pregressi”. Dunque, in questo caso e per i giudici di Appello, è proprio l’affermazione “guarda che io sono della vecchia mala del Brenta” che fa la differenza.

Quindi, per riassumere. C’è una sentenza di Appello che dice che al Tronchetto c’è la mafia e c’è una sentenza di primo grado che dice che invece la mafia al Tronchetto non c’è. Dunque ci sono malavitosi che, con il rito abbreviato, si sono portati a casa una condanna per mafia – a meno che la Cassazione non ribalti l’Appello – e ci sono malavitosi che con il rito ordinario per ora non sono considerati mafiosi. Se la sentenza di Appello del rito normale ribalterà il giudizio di primo grado, esattamente come è avvenuto nel rito abbreviato, allora le sentenze saranno omogenee, altrimenti sarà la Corte di Cassazione a dover decidere se, oltre all’omertà e al controllo del territorio, il “lei non sa che io sono della mafia del Brenta” vale o no come indicazione di mafiosità.

 





Source link

***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****

Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link

Source link

Carta di credito con fido

Procedura celere