Economia e salutismo pesano sul mercato del vino. Che deve riuscire a conquistare la GenZ

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Ricavi ridotti, non solo per le vendite in calo, ma anche per l’aumento dei costi, di produzione e del denaro, sono fattori che molti produttori di vino stanno toccando con mano, guardando ai bilanci, e che, con ogni probabilità, saranno “sgraditi ospiti” anche nel 2025. Ma a pesare sugli operatori sono anche, o soprattutto, le incertezze e i timori per quale potrà essere l’evoluzione del mercato globale del vino nel medio-lungo periodo. A ribadirlo, è anche il Rapporto “Situazione congiunturale del settore vino in Italia nel 2024 ed esigenze rispetto alle traiettorie future”, firmato da Ismea, che sottolinea come “si registra una diffusa consapevolezza rispetto al fatto che, sebbene nel 2023 la posizione internazionale del vino italiano sia rimasta solida e i dati sui primi otto mesi 2024 indichino una crescita delle esportazioni italiane sullo stesso periodo 2023, una contrazione generale del mercato danneggerebbe in modo grave la sostenibilità complessiva del sistema del vino italiano nel suo attuale assetto”. Eppure, un ulteriore calo dei consumi sembra lo scenario più probabile, tra economie in difficoltà, salutismo crescente e non solo.
“Fino all’inverno scorso, peraltro, autorevoli agenzie aprivano ad aspettative positive: Statista indicava che i consumi di vino avrebbero dovuto crescere del 10% dal 2023 al 2028, mentre il consumo di spumanti in particolare avrebbe dovuto crescere del 14% nello stesso periodo. Inoltre, il rapporto Global Wine Market Size di Research & Marketing diffuso nella primavera scorsa prevedeva una crescita del mercato globale del vino tra il 2023 e il 2027 del 2,1% annuo in volume e del 8,8% annuo in valore. L’evolvere della situazione del mercato globale ha poi portato Statista a una revisione delle previsioni, che, a giugno 2024, venivano riformulate prevedendo una progressiva, sebbene lieve, riduzione dei consumi globali di vino da qui al 2029, stimata a un tasso annuo dell’1%”, sottolinea Ismea. E se le analisi concordano nel dire che le difficoltà del 2023 e del 2024 sono state legate sia a fenomeni congiunturali, come le guerre, che strutturali, le previsioni di lungo periodo “indicherebbero il rischio di un declino strutturale nel consumo, cui si aggiungono cambiamenti nelle preferenze sulle tipologie di vino”. E infatti, sottolinea ancora Ismea, l’Osservatorio del Mercato Europeo del Vino e altri esperti del settore identificano tre fattori principali che contribuiscono al calo del consumo di vino. Inflazione e recessione economica in primis, con la riduzione dei redditi disponibili che ha portato a un minor consumo di vino, e con l’impatto di questo fattore che potrebbe diminuire con la ripresa economica. A seguire, le preoccupazioni per la salute e cambiamenti sociali, con una maggiore consapevolezza dei problemi di salute che ha portato ad una riduzione del consumo di alcol, in una tendenza che si prevede a lungo termine. Infine, il cambiamento delle preferenze, con i consumatori che, sottolinea Ismea, preferiscono sempre più altre bevande alcoliche, come birra e superalcolici, rispetto al vino.
In particolare, spiega tra le altre cose il report, “mentre il volume totale di alcol puro consumato sta diminuendo in molti Paesi, il vino sta perdendo spazio di mercato in termini proporzionalmente maggiori di birra e superalcolici. In questo contesto di concorrenza intensificata, i prezzi e la dimensione degli investimenti di marketing dell’industria delle bevande pongono il vino in una posizione di svantaggio competitivo”.
Anche per questo, in Italia come già avviene in altri Paesi o territori (vedi Francia, Australia o California, per esempio), si ragiona su come contenere, o quanto meno non aumentare, il potenziale produttivo di vino. Ed è per questo che anche in Ue si sta discutendo in maniera concreta di sostegni alle estirpazioni dei vigneti. La speranza, per una ripresa della domanda, è legata alla capacità di conquistare i giovani e adattare l’offerta, secondo gli analisti. Anche perché i Boomer, che hanno guidato la crescita del mercato, diminuiscono fisiologicamente, con il “bersaglio grosso” che diventa la GenZ, anche se in generale “la capacità di comunicazione del sistema delle imprese del vino viene giudicata strutturalmente ancora inadeguata”.
Da tenere sott’occhio, poi, continua Ismea, il progressivo cambiamento nelle preferenze che sta premiando sempre più bianchi e spumanti, rispetto ai vini rossi.
“Lo spostamento dell’interesse verso i vini bianchi e rosati è ormai un fenomeno consolidato; i rossi rappresentano ancora con il 43% (2021) la quota maggioritaria del consumo, ma la loro quota era il 47% nel 2007. Questa evoluzione fa emergere l’esigenza di individuare, pur nell’ambito delle tipicità e identità sensoriali delle diverse aree e denominazioni, stili più idonei alle nuove esigenze, anche in termini di occasioni di consumo”.
Più in generale, spiega Ismea, “l’attenzione deve essere posta sul fare evolvere il rapporto con i mercati finali, accelerando la trasformazione in senso digitale del sistema della comunicazione, adeguando l’offerta alle nuove esigenze in termini di requisiti qualitativi estrinseci ed intrinseci. In questa prospettiva anche puntando a processi produttivi “leggeri”, più sostenibili dal punto di vista ambientale e ottimizzati nei costi, e favorendo il mantenimento della viticoltura nelle aree più vocate. Ma oltre allo spostamento del baricentro della comunicazione sui nuovi canali social, con la necessaria evoluzione dei codici comunicativi, appare necessario ripensare l’impostazione generale della comunicazione del vino. Si deve superare l’attuale modello di comunicazione che enfatizza gli elementi di complessità del vino, rendendo l’acquisto talvolta ansiogeno, per muovere verso un modello più aperto, che inviti prima di tutto a un consumo facile e piacevole del vino e mantenga aperti i percorsi verso acquisti e consumi più impegnativi e sensorialmente di maggiore spessore; un modello che, soprattutto, elimini i conflitti tra vini “considerati buoni” e vini “considerati cattivi” o “non adeguati”, grazie anche al fatto che i progressi della tecnica viticola ed enologica rendono ormai veramente rari i casi di vini oggettivamente di inaccettabile qualità. Tutto ciò deve essere accompagnato da un ripensamento delle politiche di prezzo, senza inseguire in modo ossessivo la premiumisation, coinvolgendo anche in modo strutturale il sistema distributivo, con un’attenzione particolare alla ristorazione, luogo dove ormai si consolidano le abitudini di consumo, data la destrutturazione dei pasti familiari”.
Testimonianza del crescente interesse del mercato per prodotti di prezzo accessibile e di elevato valore, conclude Ismea, proviene dalla crescita nel 2024 degli imbottigliamenti e delle vendite delle due grandi denominazioni italiane focalizzate su questo tipo di prodotti, ossia il Prosecco Doc e il Pinot Grigio delle Venezie. “Il lavoro sui prodotti e sui processi per conservare e accrescere la sintonia dell’offerta vinicola italiana richiede certamente un impegno importante in termini di introduzione di innovazioni, orientate al raggiungimento di traguardi significativi in termini di riduzione dell’impatto ambientale in un quadro di contenimento dei costi di produzione e commercializzazione, che richiederà a monte un’adeguata attività. L’urgenza di raggiungere questi traguardi significativi è certamente accentuata dall’entrata in vigore del nuovo regolamento sulle Ig, il reg. (UE) 1143/2024 che con gli articoli 7 (sostenibilità) e 8 (relazione di sostenibilità) aprono di fatto un nuovo piano di competizione tra le denominazioni basato proprio sulla sostenibilità intesa in tutte e tre le sue dimensioni; questa è una sfida che dovrà vedere delle denominazioni italiane perfettamente attrezzate”.


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