Michele de Pascale su Vanity Fair: «Se mio figlio fosse di destra mi dispiacerebbe, ma lo accetterei. Senza politica? Tornerei a gestire uno stabilimento balneare»

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di
Vittoria Melchioni

Il presidente della Regione Emilia-Romagna si è raccontato tra lavoro e vita privata:«La cicatrice sul naso come quella di Harry Potter». Sui figli:«Come tutte le coppie che lavorano è difficile conciliare vita e lavoro»

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Il neogovernatore dell’Emilia-Romagna, Michele De Pascale, ha scelto Vanity Fair per raccontarsi alla vigilia dei suoi 40 anni. L’intervista ripercorre la vita dell’ex sindaco di Ravenna e da un mese alla guida dell’Emilia-Romagna. 

Nato a Cesena, ma cresciuto a Cervia tra lidi e consigli comunali, sopravvissuto a un incidente mortale, dopo aver superato anni di operazioni (di cui gli resta una «cicatrice in faccia come Harry Potter»), il neoeletto governatore parla della sua famiglia, dalla gestione dei figli al rapporto paritario con la moglie Laura, e della sua missione politica per il 2025: determinare un cambio di passo sulla sicurezza del territorio. Sicurezza da raggiungere anche grazie alla collaborazione leale con il governo di Giorgia Meloni, perché afferma: «per realizzare cose grandi serve la democrazia, non il populismo. Non mi interessa vincere la gara di dibattito, ma produrre un cambiamento». 




















































La voglia di mediare e collaborare con il governo, De Pascale l’aveva espressa subito dopo la sua elezione e, in seguito, anche in occasione della nomina del nuovo commissario per la ricostruzione post alluvione, esprimendo un giudizio super partes nei confronti della premier, meno rispetto il suo operato: «Penso che la presidente del Consiglio abbia una differenza sostanziale con molti degli altri politici che nell’ultimo decennio hanno avuto una crescita velocissima e una discesa altrettanto veloce – dice nell’intervista pubblicata sul settimanale di Condé Nast in edicola questa settimana – se Meloni in questo momento ha un consenso così alto è in parte sicuramente per la sua capacità politica di organizzare un campo. 
Al di là della stabilità, però, il mio giudizio è estremamente negativo sulle sue scelte. Non c’è un progetto di riforma, di innovazione, non stiamo affrontando le sfide strutturali del Paese». 

Rispetto alla netta contrapposizione che spesso segue la narrazione che il meglio sia a sinistra e il peggio a destra, dice: «Non ho mai pensato che i buoni fossero a sinistra e i cattivi a destra. Mio padre era un uomo di centrodestra ma non era razzista. Se mio figlio mi dicesse che si candida nella destra mi dispiacerebbe, ma lo accetterei. Se invece fosse una persona di destra razzista, xenofoba, nostalgica del fascismo, mi sentirei molto in colpa io: avrei fallito come padre». 

De Pascale poi individua quali siano le reali priorità del Paese: «L’emergenza in Italia è la sanità. La nostra conquista più grande del secolo scorso, dopo la libertà e la democrazia, è stato il Servizio sanitario nazionale, ossia l’idea che le persone venissero curate a prescindere dal loro reddito. Questa cosa in Italia sta saltando, e non c’è una strategia del governo per invertire la tendenza». 

Riserva qualche stoccatina anche al ministro Salvini e al suo nuovo codice della strada: «Sono per la cultura anglosassone del “se bevi, non guidi” e, da amministratore locale, ho raddoppiato le zone a 30 all’ora e fatto installare decine di autovelox. Circa il nuovo codice della strada noto una schizofrenia: lo stesso ministro che fa la battaglia contro gli autovelox è quello che fa quella del tasso alcolemico. La sensazione è che Salvini abbia un po’ subito questa cosa, a Natale ha fatto un video dicendo: tranquilli, si può bere». 

Interrogato su quanto la politica sia una vocazione, il governatore risponde con un po’ di nostalgia per il suo mare: «Faccio il lavoro che sognavo, ma se dovessi cambiare tornerei al mare a gestire uno stabilimento. Durante l’università, d’estate ho sempre fatto il bagnino: era il lavoro di mio nonno, piccolo imprenditore della spiaggia, ed è uno dei lavori più romantici che si possano fare. E spero che lo facciano anche i miei figli negli anni di studio. In Romagna si dice: “Scegli, o vai a raccogliere la frutta o vai in spiaggia”». 

E poi si apre un po’ sul suo privato, raccontando le difficoltà che tutte le coppie di genitori lavoratori hanno, compresa la distanza chilometrica che ora si è aggiunta alla già complicata routine familiare: «Giacomo ha dieci anni e Gaia sei e mezzo, come tutte le coppie che lavorano è difficile, conciliare vita e lavoro. Mia moglie Laura è avvocato e abbiamo la fortuna e la sfortuna di non avere orari definiti; quindi, a volte riusciamo meglio a gestire le emergenze, ma spesso ci si rimette a lavorare dopo cena. Abbiamo una buona rete familiare, tre nonni in pensione che ci aiutano, e dei bambini molto bravi, hanno imparato da subito a essere autonomi e responsabili. Ora lavoro a Bologna e siamo davanti a una sfida logistica, però entrambi definiremmo la nostra come una famiglia paritaria, dove è chiaro che ci sono degli impegni di lavoro asimmetrici, e che bisogna alternarsi nella gestione. Vogliamo entrambi che i bambini abbiano la chiara sensazione che delle loro esigenze ce ne occupiamo in due».

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