Generali-Natixis. Dalle banche al risparmio gestito: è sempre più derby Italia-Francia

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Non soltanto banche. C’è una seconda partita finanziaria europea che si sta giocando, i cui fronti opposti sono Italia e Francia. La posta in palio è la gestione del risparmio, ora che i tassi di interesse in discesa e la domanda di credito ancora debole spingono gli istituti a gettarsi su nuovi bocconi più redditizi.  La grande massa di risparmi degli italiani (5mila miliardi di euro, oltre due volte il pil) rappresentano la preda perfetta. Lunedì 20 gennaio il consiglio d’amministrazione di Generali discuterà la proposta di una grande intesa sul risparmio con i francesi di Natixis Investment Managers. Il progetto è costituire  una nuova società dove far confluire i 650 miliardi gestiti dal gruppo triestino per dare corpo a una realtà che avrebbe in affidamento 2.000 miliardi di risparmi privati da far fruttare.

Il grande scoglio affinché il progetto si realizzi sono le perplessità dei due soci forti della compagnia, la finanziaria Delfin della famiglia Del Vecchio ( i patron di Luxottica) e l’imprenditore romano Francesco Gaetano Caltagirone. Entrambi già schierati contro il vertice di Generali quando nel 2022 si andò a rinnovare il consiglio d’amministrazione. E così i dubbi dei due azionisti di peso sulla joint venture del risparmio diventano un ostacolo ai negoziati per tentare di arrivare in primavera a una lista congiunta per la nomina del nuovo cda, sancendo una tregua all’interno dell’azionariato del gruppo assicurativo.

La mega-operazione Generali-Natixis entra quindi nella partita del credito Italia-Francia, che vede anche altri protagonisti. C’è l’interesse dei francesi di Bnp Paribas su Axa Investment Manager, c’è la trattativa tra Unicredit e Crédit Agricole per rinnovare l’accordo sulla distribuzione dei prodotti del gigante del risparmio Amundi (controllata proprio dalla banca d’Oltralpe), c’è l’offerta della milanese Banco Bpm su Anima, principale asset manager in Italia. La stessa Banco Bpm è anche preda di Unicredit, che ha lanciato un offerta da 10,6 miliardi, ed è partecipata da Crédit Agricole. Le trattative su Amundi rientrano quindi nelle discussioni.  Inoltre sia Bpm sia Anima hanno partecipato alla terza e ultima fase della privatizzazione del Monte dei Paschi di Siena, istituto del quale accanto al ministero dell’Economia -ancora all’11,6%- siedono come grandi azionisti Caltagirone e i Del Vecchio. Da ultimo anche il gruppo bancario francese Bpce, proprio attraverso la controllata Natixis,  ha costruito una partecipazione aggregata in strumenti finanziari pari al 6,398% della banca senese. Insomma, un grande rompicapo sulla direttrice Roma-Parigi.

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I timori della maggioranza di governo

In vista del cda di Generali in calendario lunedì, le indiscrezioni si sono concentrate non soltanto sullo scetticismo di Delfin e Caltagirone. Con insistenza hanno iniziato a circolare ipotesi sulla tentazione del governo di indirizzare l’operazione con la leva del golden power, i poteri speciali che, con una legge del 2012, permettono di bloccare o comunque influire su operazioni in settori strategici. Addirittura si è letto della volontà di rafforzare la norma proprio per intervenire al meglio su Generali-Natixis e su Unicredit-Banco Bpm. Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ha smentito che sia allo studio un decreto per rivedere la normativa. “Non risulta sia realmente un’opzione”, spiega ad HuffPost una fonte vicina a quanto si muove a Palazzo Chigi attorno al comitato incaricato di verificare se ricorrere o meno ai poteri speciali a disposizione dell’esecutivo per intervenire sulle intese industriali e finanziarie. “Aspettiamo che la notifichino”, ha aggiunto una fonte di governo, in riferimento alla necessaria procedura che Generali dovrà seguire una volta deciso di procedere con la costituzione della jont venture.

Le ragioni di tanto clamore sono in una vecchia paura che serpeggia nella maggioranza ogni qual volta si parla di risparmio e di accordi tra realtà finanziarie nazionali ed estere. I timori erano stati messi nero su bianco dal Copasir, il comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica, in una delle relazioni svolte durante la passata legislatura. Passando in rassegna le notizie di possibili aggregazioni tra Unicredit e concorrenti straniere il comitato, all’epoca presieduto dal leghista Raffaele Volpi, scrive che “le iniziative da parte di attori esteri su entità strategiche per la sicurezza economica nazionale rappresentano un rischio di particolare rilevanza per il sistema bancario e del pubblico risparmio, atteso che, oltre a pregiudicarne l’indipendenza, potrebbero determinare una forte asimmetria tra l’area di raccolta delle risorse finanziarie  (Italia) e quella di impiego delle stesse (estero)”.

Il nodo del controllo: comanderà Roma o Parigi?

Lo schema della nuova società dove far confluire i 650 miliardi affidati in gestione alla compagnia triestina prevedono una suddivisione paritaria delle quota: 50-50. I critici sottolineano tuttavia che la società che Generali conferirà al progetto, vale a dire GIH (acronimo per Generali Investment Holding), vede nell’azionariato la Cathay Life al 16,75%. La reale forza dentro la nuova entità sarebbe quindi  inferiore al 50%. In passato contro la compagnia era stato usato anche l’argomento del passaporto del suo amministratore delegato, il francese Philippe Donnet. Gli scettici paventano quindi che a dettare legge sia la Francia. E cosa succederebbe ad esempio al momento di dover scegliere di sostenere il debito pubblico di Roma o di Parigi?

“Il Comitato ritiene che sia di rilevanza strategica mantenere l’indipendenza di Generali, assicurata anche dal mantenimento della governance in Italia. In tale quadro, si collocano alcune operazioni finanziarie potenzialmente finalizzate alla cessione di Assicurazioni Generali a gruppi  assicurativi esteri, tra cui Axa, di proprietà francese”, scriveva ancora nel 2020 il Copasir.  Proprio con la lente della difesa dell’italianità del risparmio erano stati letti in passato i movimento attorno ad Anima. In chiave anti-francese sulla sgr era stato costruita una sorta di rete salva-Italia, portando nel capitale Caltagirone e il fondo Fsi, rafforzando la presenza nazionale assieme a Poste e a Banco Bpm, il cui principale azionista è comunque Crédit Agricole, salita al 15%, con l’ipotesi di arrivare a ridosso del 20% dopo l’offerta lanciata da Unicredit.

Anima, che nell’ultima tranche di privatizzazione ha portato la propria partecipazione in Mps al 4%, potrebbe quindi contribuire a costituire quel terzo polo nazionale del credito che la maggioranza vorrebbe modellare attorno alla banca senese. Dopo Banco Bpm, il Monte è il principale distributore dei prodotti della sgr. Se l’istituto milanese dovesse finire nell’orbita di Unicredit, Mps diventerebbe la prima banca per Anima. Un’alleanza tutta italiana. Quanto alla partita Generali-Natixis lunedì ci sarà il primo round. Peraltro il cda ha come advisor Mediobanca, altro socio della compagnia e che nel 2022 si schierò con Donnet e il vertice nella corsa al rinnovo. Non è escluso che Caltagirone e Delfin possano chiedere di sottoporre la decisione a una assemblea straordinaria. I giochi sono iniziati.



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