La vecchia “Nuova destra” era quasi una sinistra

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Quarantenne, manager culturale, autore qualche anno fa di un divertente «Dizionario sentimentale del pallone», Calciopop era il titolo, Giovanni Tarantino ha ora scritto per la casa editrice Il Palindromo un saggio interessante sul fenomeno della cosiddetta Nuova destra, La chiamavano Nuova destra (pagg. 368, euro 25), arricchito da un centinaio di immagini di archivio, foto d’epoca, copertine di libri e di dischi, illustrazioni, fumetti, manifesti, riviste, giornali, e da un’appendice documentaria e un inserto a colori. Il sottotitolo, «Storia e idee di un percorso metapolitico 1977-1992», aiuta a definire il contesto e a storicizzarlo e permette altresì di capire il senso e il perché di quell’aggettivo, «nuova», indicativo all’epoca nel segnare una sorta di spartiacque rispetto a quanto c’era stato prima e fino ad allora. Va da sé che la data posta al termine di quell’esperienza aiuta a rendere vano, se non pretestuoso, qualsiasi tentativo di leggerla con gli occhi, le scelte e le aspettative del presente: dalla metà degli anni Novanta in avanti, infatti, il paradigma ideologico-politico è talmente cambiato che ogni ipotesi di filiazione e/o di attualizzazione si rivela impossibile. Lo stesso ritorno di una logica di bipolarismo, destra/sinistra, meglio ancora centro-destra/centro-sinistra, se da un lato tende a cristallizzare lo scontro politico in fronti contrapposti e non trasversali, dall’altro fa sì che sul piano delle idee, della loro circolazione, del loro intrecciarsi si sia di fronte a un arroccamento e, come dire, a una difesa e rendita di posizioni, a un ritorno all’aut-aut rispetto all’ et-et che fu una caratteristica degli anni presi in esame dal saggio. Sotto questo punto di vista, pacatamente si può in fondo dire che si stava meglio quando si stava peggio: gli «anni di piombo», se letti con attenzione, furono anche anni fervidi di incontri, volontà di cambiamento, tentativi di uscire da una logica sanguinosa di scontro generazionale, di curiosità intellettuale e di apertura rispetto al «diverso»…

L’analisi di Tarantino ha molti pregi. Il primo e il più significativo è quello di ancorare il fenomeno della Nuova destra, Nd, non alla sua controparte politica, il Movimento sociale italiano, Msi, dell’epoca, ma alla società degli anni Settanta: sarà quest’ultima in effetti il motore del cambiamento di cui la Nd si farà portatrice. Una società, scrive Tarantino, «che a scapito della narrazione imperante non è stata permeata solo dal piombo, dal femminismo, dalle battaglie per la conquista dei diritti civili ma il terreno in cui si è sviluppata, quasi come anticorpo, rispetto a quella stessa cultura dominante menzionata, è stato, anche, quello dell’attenzione per il sacro, per il rito, per il fantastico, per la natura: il tipico orizzonte post-materialista e della nuova teoria dei bisogni incarnato dal ’68». Non a caso nello stesso periodo in cui la Nd prende forma, nascono nuovi soggetti come Comunione e liberazione, il movimento verde-ecologista, un socialismo riformista di impronta craxiana e nazionale e un variopinto fenomeno movimentista, gli «indiani metropolitani», che prende d’infilata e insieme contraddice la galassia dell’estrema sinistra politica…

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Un altro elemento che sancisce la novità della Nd è la modernità, ovvero il linguaggio della contemporaneità attraverso cui viene da un lato recuperato, antropologicamente, tutto un patrimonio di valori e di tradizioni, e dall’altro viene proposto un taglio interpretativo diverso a fenomeni come il pop, il fumetto, la musica cosiddetta alternativa, il cinema (per inciso: due dei migliori critici cinematografici italiani, Maurizio Cabona e Giuseppe Del Ninno, provengono da quell’esperienza), ovvero una voglia di intervento e di rilettura/interpretazione del presente. È anche questo a fare della Nd, secondo le parole di un pensatore tanto controcorrente quanto fortemente tradizionalista quale Augusto Del Noce, qualcosa di altro, di radicalmente diverso «rispetto alla destra vera, quella economica, politica, golpista, piduista»…

Del resto, il paradosso insito nella Nd, fin dal suo inizio, è che il suo carattere di novità era talmente forte da rendere fuorviante e per certi versi incomprensibile il riferimento di campo, chiamiamolo così, in cui veniva a situarsi. Come puntualizza bene Tarantino, «non poteva essere definita tout-court di destra: non lo era nella sua sostanziale missione di tipo culturale e non politicista, non lo era perché ha sempre rifiutato il conservatorismo borghese o l’ossessione per la sicurezza, non lo era rispetto a un’indiscussa adesione della destra alla difesa dell’Occidente, non lo era rispetto alle scelte della destra politica italiana in politica estera, non lo era rispetto alla predilezione della destra verso un indefinito individualismo, non lo era rispetto al nazionalismo con gli annessi e connessi di difesa del tricolore e della Patria. Non lo era, e non è un dato secondario, rispetto ad ammiccamenti più o meno velati nei confronti del Ventennio fascista, dell’autoritarismo, del culto di Mussolini, fenomeni rispetto ai quali la Nd ha tenuto una posizione netta già alla fine degli anni Settanta, andando in rotta di collisione con gli stessi ambienti da cui si era generata, proiettandosi verso l’uscita dal tunnel del neofascismo, criticando apertamente i malati di nostalgia, ovvero i patetici del torci-collo, ponendo una cesura netta nei confronti del fascismo molti anni prima rispetto alla svolta di Fiuggi di cui si è tanto parlato dagli anni Novanta in poi».

La chiamavano Nuova destra è insomma una ricerca estesa e ambiziosa rispetto a un esperimento che fu sì significativo, ma che tuttavia rimase minoritario, quanto a numeri, dimensioni, risorse. Un bacino di utenza ristretto, tirature di libri e riviste di poche migliaia di copie, un’attività convegnistica sempre militante e mai attraverso canali istituzionali. Proprio questo contrasto spinge Tarantino ad allargare oltre misura lo spettro della sua indagine, finendo con il trovare una prospettiva di «Nuova destra» anche lì dove c’era più che altro una sorta di insofferenza giovanile e di ansia di novità, ambedue però più epidermiche che sostanziali e ambedue destinate in seguito al riflusso se non al rientro nell’alveo politico-ideologico in cui erano comunque maturate. Un altro elemento discutibile del libro è una sorta di rilettura a posteriori di quel fenomeno fatta da chi all’epoca ne fece parte, in una logica di tipo giustificatorio rispetto a quelle che saranno legittime, ma non per questo non opinabili scelte di natura politica e personale.

Proprio perché quello della Nd fu un progetto metapolitico, la sua lezione più interessante resta nel campo delle idee, dell’elaborazione di un pensiero in grado di veicolare una visione e una percezione diversa quanto alternativa rispetto a quella egemone, allora vincolata alla dicotomia liberalismo-marxismo, oggi tributaria di un politicamente corretto dei diritti in campo etico e di un globalismo occidental-liberista nelle logiche economiche e sociali.

Allora come oggi, le scelte, ovvero le ricadute politico-partitiche non sono altro che gli aggiustamenti, le inerzie e le scorciatoie messe in atto dalle élites di governo per consolidare e insieme controllare uno status quo che ha come orizzonte il proprio mantenimento, una società politica che ingessa e insieme avvelena la società civile, facendo finta di fare il suo bene, ma evitando accuratamente di ascoltarne ragioni, sentimenti e bisogni.



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