le bugie della propaganda di governo

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I dati resi noti qualche settimana fa dalla Commissione europea nel rapporto “Vat Gap in the EUforniscono una fotografia interessante e autorevole circa l’andamento dell’evasione dell’Iva in Italia e in Europa. In particolare, secondo questa fonte, tra il 2016 e il 2019 l’evasione dell’Iva (come approssimata appunto dalla misura del gap, cioè della differenza tra il gettito potenziale atteso sulla base dell’andamento dell’economia e il gettito effettivo) in Italia si sarebbe ridotta di circa 7,6 miliardi, passando da 36,8 miliardi nel 2016 a 29,2 nel 2019 (il 20,6 per cento di meno).

Nello stesso periodo, in Germania l’evasione dell’Iva è rimasta pressoché costante, attestandosi intorno ai 22,5 miliardi, e in Francia è leggermente aumentata, seppure su valori notevolmente più bassi (14,8 miliardi nel 2016 e 15,5 miliardi nel 2019). Si tratta, per l’Italia, di una conferma delle stime della Relazione evasione del Mef, che hanno anche individuato alcune delle riforme che hanno avuto maggiore effetto sulla riduzione dell’evasione dell’Iva, in particolare l’introduzione dello split payment e della fatturazione elettronica.

In questo contesto, ha avuto presumibilmente un peso anche l’azione repressiva e preventiva dell’Agenzia delle entrate che, pure a corto di personale a causa delle conseguenze di una sentenza della Corte costituzionale che aveva invalidato le procedure seguite per la selezione di migliaia di dirigenti, ha puntato sempre di più in questi anni sull’incentivo all’adempimento spontaneo (compliance), anche grazie alle riforme menzionate in precedenza.

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La fatturazione elettronica, per esempio, consente all’Agenzia di incrociare le dichiarazioni Iva con le fatture e quindi di individuare, in un primo momento, i contribuenti che più plausibilmente evadono, e, da quest’anno, di precompilare le dichiarazioni Iva di lavoratori autonomi, imprenditori individuali e società di capitali. Più in generale, sotto la direzione di Ernesto Ruffini l’Agenzia ha modernizzato la propria organizzazione, aprendola a professionalità nuove (statistici ed econometrici) e favorendo una maggiore interazione tra chi analizza i dati e chi li deve utilizzare per effettuare le azioni di recupero del gettito.

Dopo le dimissioni di Ruffini, la nuova direzione si trova a operare in un contesto alquanto diverso. È vero che la riduzione dell’evasione dell’Iva è continuata, sia secondo le stime della Commissione europea sia secondo quelle della Relazione evasione, anche nel biennio pandemico.

Anzi, durante questi due anni i dati sembrerebbero indicare una riduzione ancora più forte: secondo le stime della Commissione si sarebbe ulteriormente ridotta a meno di 15 miliardi nel 2021, e i dati della Relazione evasione vanno nella stessa direzione. È grazie al minor tax gap del 2020 e del 2021 che il fondo per la riduzione della pressione fiscale ha potuto contribuire a finanziare la riduzione dell’Irpef.

Il rimbalzo dell’evasione

Ma le prime stime per il biennio successivo, 2022-2023, sono di segno molto diverso. Sempre secondo il rapporto “Vat Gap in the EU”, in Italia l’evasione dell’Iva nel 2022 è tornata a salire leggermente a 16,2 miliardi, per poi crescere tumultuosamente nel 2023, tornando a 24,2 miliardi. Quali potrebbero essere le ragioni di questo “rimbalzo”?

Per rispondere è necessario considerare che un fenomeno simile si osserva anche negli altri grandi paesi europei. Infatti, anche in Francia e Germania l’evasione dell’Iva si sarebbe fortemente ridotta durante la pandemia (in Germania sostanzialmente dimezzandosi, come in Italia) e sarebbe tornata ad aumentare nel biennio successivo (in particolare in Francia).

Ciò suggerisce due possibili ragioni del crollo dell’evasione stimata nel biennio pandemico, una di natura tecnica e l’altra di natura economica. Può darsi che la metodologia utilizzata per questo tipo di stime non si presti a misurare l’evasione nei periodi caratterizzati da shock strutturali, come sicuramente è stata la pandemia. In questi periodi l’Iva potenziale si è ridotta molto e a questa riduzione ha corrisposto naturalmente una diminuzione dell’Iva versata, perché i governi nazionali hanno cancellato o posticipato degli obblighi fiscali.

Se la metodologia non è stata in grado di catturare correttamente queste dinamiche (ad esempio se l’Iva potenziale è stata sottostimata), ecco che potrebbe essere spiegata la riduzione osservata nei dati. Oppure può darsi che i consumi si siano modificati durante la pandemia, spostandosi da quelli effettuati presso i piccoli punti vendita a maggiore propensione di evasione ai consumi online nei quali il contante non è utilizzabile. Con il ritorno alla normalità, entrambi questi fenomeni potrebbero essersi esauriti in tutto o in parte, il che potrebbe spiegare il “rimbalzo” osservato nei dati.

Quali ne siano le cause, questo rimbalzo del biennio 2022-2023 – che in realtà era in qualche modo stato anticipato dallo stesso governo in un’appendice del Piano strutturale di bilancio dove si parla esplicitamente di «battuta d’arresto» nel contrasto dell’evasione – ha conseguenze piuttosto rilevanti.

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Se i dati del biennio 2020-2021 sono da considerare una parentesi, e se il rimbalzo del biennio 2022-2023 venisse confermato, potremmo doverne concludere che si è esaurita la spinta delle riforme realizzate prima della pandemia, lasciando l’Italia in una situazione certamente molto migliore rispetto al passato ma comunque ancora decisamente lontana da quella degli altri grandi paesi europei.

In termini relativi, infatti, il gap dell’Iva italiano rimarrebbe nel 2023 di poco al di sotto del 15 per cento, contro il 9,7 della Francia, il 7,1 della Spagna e il 4,3 della Germania (dato riferito al 2022). Per non parlare dell’evasione dell’Irpef da parte dei lavoratori autonomi e degli imprenditori individuali, che in Italia è rimasta pressoché costante sull’esorbitante quota del 65 per cento dell’imposta potenziale.

La propaganda del governo

Quali sarebbero le conseguenze per i conti pubblici? Fin dalla legge di Bilancio per l’anno prossimo, nella quale si valuterà l’andamento dell’evasione fino al 2022, vi saranno meno risorse disponibili per il fondo per la riduzione della pressione fiscale, e quindi per le promesse di riduzione delle tasse per il ceto medio, a meno che non vengano varati altri interventi.

Quali? In primo luogo, il governo dovrebbe prendere atto del fatto che continuare con i condoni e simili non fa che ridurre il gettito. Da quando si è insediato, invece, il governo Meloni ha varato diversi provvedimenti di natura condonistica, e, da ultimo, il condono tombale offerto ai contribuenti che aderiscono al Concordato preventivo biennale, con risultati, peraltro, modesti.

In secondo luogo, bisognerebbe riconoscere l’esigenza di attuare riforme incisive dei poteri e dei compiti dell’amministrazione fiscale. Qui il governo si è mosso per annunci, ma le realizzazioni concrete sono spesso distanti dalla realtà. Ad esempio, la riforma della riscossione si è tradotta nella modifica di una serie di aspetti meramente procedurali e nella cancellazione dei debiti inesigibili, senza che siano stati affrontati i nodi che hanno portato la macchina della riscossione a essere così inefficiente.

Nelle best practice internazionali vengono elaborate apposite strategie per prevenire il sorgere dei debiti fiscali e per individuare l’approccio corretto nei confronti di ciascuna tipologia di debitore, ma di nessuno o quasi di questi aspetti fondamentali si occupa la riforma.

Questo ci porta al terzo e ultimo punto che dovrebbe caratterizzare l’operato dell’Agenzia delle entrate: l’uso dei dati. Anche qui sono stati fatti molti annunci basati su affermazioni generiche come “il ricorso all’intelligenza artificiale”, seguiti da parziali marce indietro, ad esempio sull’uso dei dati dei conti correnti per i pignoramenti o sulla possibilità di ricorrere al data scraping da internet per individuare alcune tipologie di evasione.

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Ma forse la cosa più importante, anche per convincere un’opinione pubblica preoccupata dalla necessità di tutelare la privacy, sarebbe chiarire con quali esiti si stia attualmente svolgendo l’attività di analisi massiva dei dati individuali (pseudonomizzati).

Ad esempio, l’analisi del rischio basata sui dati dell’anagrafe dei rapporti finanziari, prevista sulla carta dal 2020 ma concretamente sbloccata solo nell’estate del 2022, dovrebbe rappresentare il primo terreno concreto di utilizzo delle tecniche di learning al fine di orientare l’azione di prevenzione alla compliance e di controllo.

Questo succede, del resto, in tutte le amministrazioni finanziarie avanzate. L’Agenzia delle entrate ha emanato un’informativa su come quest’analisi dei dati potrebbe essere svolta, ma non ha concretamente diffuso alcuna informazione sui suoi esiti concreti: la prossima, consueta, conferenza stampa di pubblicizzazione dei risultati sul contrasto all’evasione nel 2024 sarebbe proprio l’occasione giusta per farlo.

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