Massimo D’Alema: «Il mio ’68 a Pisa? Quando assaltammo la Bussola in molti ci criticarono, ma poi…»

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di Mario Lancisi

Le «Botteghe Oscure dei pisani» sono in vendita, il ricordo dell’ex premier del Pci che lì mosse i primi passi:« Si può dire che sono coevo di via Fratti, inaugurata agli inizi del 1968»

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Lì, in via Fratti numero 9, a Pisa, nella sede imponente dell’ex Pci, le «Botteghe Oscure dei pisani», messa in vendita dalla proprietà, l’associazione Primavera (vedi
Corriere Fiorentino
del 12 gennaio), ha mosso i primi passi della sua carriera politica Massimo D’Alema, l’unico presidente del Consiglio con un passato nel Pci.

D’Alema, quando è arrivato a Pisa?




















































«Arrivai nel novembre del 1967. Dopo aver preso la stanza alla Normale e riconosciuto Fabio Mussi sulle scale, andai a cercare la federazione giovanile comunista, alla quale ero iscritto. Allora si trovava in via San Lorenzo, accanto a piazza Santa Caterina. Appena arrivato trovai affisso un cartello in cui c’era scritto: la federazione del Pci si è trasferita in via Fratti. Si può dire che sono coevo di via Fratti, inaugurata agli inizi del 1968. Una sede imponente e di pregio architettonico, costruita da due professionisti di valore come l’architetto Roberto Mariani e l’ingegnere Francesco Tomassi».

E lì, in via Fratti, inizia la sua attività politica a Pisa.

«Sì, sono diventato funzionario a metà tempo del partito e alle elezioni comunali del 1970 fui eletto consigliere e poi capogruppo del Pci. Avevo 21 anni. Si creò l’opportunità di fare una giunta, guidata dal Dc Elia Lazzari, tra il Pci, il Psi e una parte della Dc. Una bella vicenda in qualche misura anticipatrice della stagione del compromesso storico».

Lei aveva solo 21 anni, ma anche altri dirigenti del Partito comunista italiano erano molto giovani.

«Merito dell’allora segretario Giuseppe De Felice, soprannominato Giusì, un dirigente di grande valore, un uomo estremamente intelligente ed esperto, che volle un Pci aperto alle nuove generazioni. Era un’epoca in cui venivamo messi alla prova molto presto».

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In una città, Pisa, in cui sbocciò il ’68. Lei conobbe Adriano Sofri?

«Certo che l’ho conosciuto, come gli altri massimi esponenti della sinistra cosidetta extraparlamentare. Furono anni difficili, complicati ma grazie a De Felice il partito tenne la barra dritta del dialogo con i movimenti».

Lei partecipò, il 31 dicembre del 1968, all’assalto della Bussola. Quali furono le reazioni nel partito?

«In molti criticarono la nostra partecipazione. Ricordo che al congresso del Pci fu approvata una mozione di disapprovazione dell’assalto alla Bussola, sostenendo che si trattava di forme di lotta estranei alla tradizione del movimento operaio e del Partito comunista, ma De Felice fu così aperto e intelligente da non perdere il contatto e il dialogo con questo mondo».

L’ex sindaco di Pisa Paolo Fontanelli ha ricordato in un articolo che per lui, autodidatta, il Pci rappresentò anche una scuola.

«Ha ragione. Il rapporto con il partito era intenso ed educativo. Noi studenti più acculturati, che magari frequentavamo la Normale, venimmo incaricati dal partito di insegnare ai giovani meno istruiti. E, si badi bene, non si insegnava tanto Marx quanto l’italiano, le materie insomma scolastiche con lo scopo di colmare il divario culturale. L’obiettivo era quello di creare una classe dirigente a cui potessero accedere anche i figli dei ceti popolari».

Poi nel 1975 diventa segretario nazionale della Fgci e lascia Pisa, ma il suo rapporto umano e politico con la Toscana rimane molto forte. Rispetto all’altra grande «regione rossa», l’Emilia Romagna, quale è la principale differenza?

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«Direi che l’Emilia Romagna è più solida e la Toscana più creativa. E anche più litigiosa, retaggio storico di una regione marcata dai Comuni. Ricordo bene nei miei trascorsi pisani i vivaci contrasti e le vere proprie contrapposizioni tra Pisa e Firenze. A Colle Val d’Elsa, che nelle vecchie circoscrizioni elettorali del Senato era divisa tra Firenze e Pisa, le due federazioni si dividevano anche i comizi, anzi si teneva proprio una gara oratoria tra chi fossero più bravi, i pisani o i fiorentini».

Con chi ha avuto i migliori rapporti?

«Direi con tutti i maggiori esponenti. Con Paolo Fontanelli è stato forse un rapporto più intenso. E non dimentico il fatto che Paolo è stato presente anche nei momenti meno felici della mia carriera politica. Si sa, quando uno è all’apice tutti sono amici, ma quando è meno forte gli amici tendono ad andarsene».

La Toscana a lei più vicina è stata poi in qualche modo soppiantata dall’avvento di Matteo Renzi. Ma oggi il Pd deve riannodare o no i rapporti con Renzi?

«Lo dovrà decidere Elly Schlein, io non mi occupo di queste questioni. Penso che, al di là di Renzi, il problema del centrosinistra sia quello di costruire una coalizione che non sia condizionata da rancori».

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17 gennaio 2025 ( modifica il 17 gennaio 2025 | 15:19)

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