Michele De Pascale: «Se mio figlio mi dicesse che si candida a destra mi dispiacerebbe, ma lo accetterei. Se fosse razzista e nostalgico del fascismo avrei fallito. La cicatrice sul naso? Come quella di Harry Potter»

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Nel suo nuovo ufficio della Regione, a Bologna, Michele De Pascale sta settando il collegamento video. Da un mese è alla guida dell’Emilia Romagna, per lui è tutto nuovo, dopo quasi un decennio da sindaco di Ravenna. «Avevo un po’ il pilota automatico, adesso ho l’eccitazione degli inizi». Nato a Cesena ma cresciuto a Cervia tra lidi e consigli comunali, De Pascale è subentrato a Stefano Bonaccini, e la sua missione per il 2025 l’ha chiara: «Devo determinare un cambio di passo sulla sicurezza del territorio, e farlo in collaborazione anche con il governo».

L’alluvione del 2023 pesa ancora.

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«Abbiamo pure proposte innovative come lo psicologo gratis per gli under 26, eh! Ma quella è la mia missione, perché le zone più colpite sono la mia terra, dove ho speso la mia vita. Qui la gente non dorme la notte quando c’è un’allerta meteo. Hanno visto la loro casa sommersa dall’acqua, e l’hanno lasciata in canoa».

Chi la critica dice che «il cambio di passo» è curioso invocato da lei, visto che la Regione è da sempre amministrata dalla sinistra.

«Nel giro di un anno e mezzo siamo stati colpiti da tre, quattro eventi che, per volumi di acqua, non si erano registrati nel secolo precedente. Le opere non erano state studiate per quella portata: è un fatto oggettivo, anche se non è una scusa, la manutenzione lasciava a desiderare. Dopodiché c’è stato un pasticcio nella gestione dell’indennizzo: la scelta del governo di centralizzare tutto e non coinvolgere il territorio non ha pagato. I cittadini sono usciti con odio verso lo Stato. Io ho vinto con più del 50 per cento in 18 comuni su 18 nella mia provincia di Ravenna, epicentro dell’alluvione, contro una narrazione dall’altra parte che diceva che, a livello locale, si era sbagliato tutto. Adesso con il governo stiamo provando a inaugurare una relazione nuova, è stata scelta una persona che gode della stima di tutti, l’ingegnere Curcio, che non viene dalla Difesa ma da una competenza specifica nel settore delle ricostruzioni. Con Giorgia Meloni c’è una leale collaborazione per cercare di fare meglio».

Lei parla di collaborazione, non è tra quelli che polarizzano il dibattito destra-sinistra.

«Il vantaggio di essere nato come amministratore locale è che i problemi sono sempre molto concreti e vanno risolti. Se voglio ottenere il risultato devo cercare alleati. La verità è che per realizzare cose grandi – non le piccole – serve la democrazia, non il populismo. Non mi interessa vincere la gara di dibattito, ma produrre un cambiamento».

A proposito di Giorgia Meloni: come giudica la sua grande popolarità dopo oltre due anni dalle elezioni, e il suo operato politico?

«Penso che la presidente del Consiglio abbia una differenza sostanziale con molti degli altri politici che nell’ultimo decennio hanno avuto una crescita velocissima e una discesa altrettanto veloce».

Si riferisce a Matteo Salvini?

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«A lui ma anche ai 5Stelle, a Matteo Renzi. Leader di diversa estrazione saliti vertiginosamente e poi calati. Giorgia Meloni a questa sfida è arrivata strutturata, è stata ministra e vicepresidente della Camera che non aveva 30 anni. Ha fondato il suo partito e lo ha costruito da zero, è cresciuta in maniera costante».

Nessuna critica alla premier?

«Concludo il ragionamento: se Meloni in questo momento ha un consenso così alto è in parte sicuramente per la sua capacità politica di organizzare un campo. Al di là della stabilità, però, il mio giudizio è estremamente negativo sulle sue scelte. Non c’è un progetto di riforma, di innovazione, non stiamo affrontando le sfide strutturali del Paese».

Che sono?

«L’emergenza in Italia è la sanità. La nostra conquista più grande del secolo scorso, dopo la libertà e la democrazia, è stato il Servizio sanitario nazionale, ossia l’idea che le persone venissero curate a prescindere dal loro reddito. Questa cosa in Italia sta saltando, e non c’è una strategia del governo per invertire la tendenza. Oppure potrei dire che siamo un Paese che passa da una calamità all’altra da un punto di vista della sicurezza del territorio, ma stiamo discutendo di 15 miliardi per il ponte sullo Stretto: è quella la priorità, quando non ci sono soldi?».



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