Sfumature di vendetta e dilemmi esistenziali nelle serie “Acab” (Netflix) e “Il Conte di Montecristo” (Rai)

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Il dramma della vendetta e il lavorio della corruzione della violenza. Quali sono i confini tra lecito e illecito, giustizia e reato, bene e male? Interrogativi esistenziali, morali, che prendono copro dalla visione di due prodotti di qualità in ambito seriale rilasciati a gennaio. Anzitutto su Netflix la miniserie “Acab” targata Cattleya, sei episodi diretti da Michele Alhaique che prendono le mosse dal romanzo di Carlo Bonini con Marco Giallini, Adriano Giannini, Valentina Bellè e Pierluigi Gigante. Diverso è l’approccio e lo stile di “Il Conte di Montecristo”, diretta dal danese Bille August, dal romanzo di Alexandre Dumas, una produzione di respiro internazionale di cui è capofila Palomar, con Sam Claflin, Jeremy Irons e Michele Riondino

ACAB. (L to R) Adriano Giannini as Michele Nobili, Marco Giallini as ‘Mazinga’ Ivano Valenti, Valentina Bellè as Marta Sarri, Pierluigi Gigante as Salvatore Lovato in episode 102 of ACAB. Cr. Marco Ghidelli/Netflix © 2024

Il dramma della vendetta e il lavorio della corruzione della violenza. Quali sono i confini tra lecito e illecito, giustizia e reato, bene e male? Interrogativi esistenziali, morali, che prendono copro dalla visione di due prodotti di qualità in ambito seriale rilasciati a gennaio. Anzitutto su Netflix la miniserie “Acab” targata Cattleya, sei episodi diretti da Michele Alhaique che prendono le mosse dal romanzo di Carlo Bonini e dalla regia cinematografica di Stefano Sollima, qui in veste di produttore. Con Marco Giallini, Adriano Giannini, Valentina Bellè e Pierluigi Gigante, “Acab” è un viaggio nelle vite di un gruppo di poliziotti della Mobile di Roma, tra esistenze spinte al limite sul lavoro e dilemmi familiari virati sui territori della disperazione. Vite di ultimi, che però per dolore o insofferenza si aggrappano alla violenza, spesso fuori controllo. Racconto stilisticamente notevole, ma tematicamente ombroso e sfidante. Diverso è l’approccio e lo stile della miniserie “Il Conte di Montecristo” diretta dal danese Bille August, una produzione di respiro internazionale di cui è capofila Palomar. Dal romanzo di Alexandre Dumas, un viaggio omerico nei tormenti di un uomo cui l’invidia altrui ha mutilato l’esistenza e rubato la giovinezza, conducendolo al desiderio di vendetta. La forza della miniserie risiede nella regia solida di August, nella suggestiva messa in scena e nell’ottimo cast, in testa Sam Claflin, Jeremy Irons e Michele Riondino.

“Acab” (Netflix, 15.01, 6 episodi)
Un racconto iperrealistico, addizionato di ombre, fragilità e violenza. È questo il tracciato narrativo della serie “Acab”, novità in casa Netflix dal 15 gennaio 2025, una produzione Cattleya con un coinvolgimento produttivo-creativo di Stefano Sollima. A firmare la regia è Michele Alhaique, di cui si ricordano le serie “Non uccidere” (2018) e “Romulus. La serie” (2020-22). Il progetto “Acab” si ricollega all’omonimo film diretto da Sollima nel 2012 e tratto dal romanzo di Carlo Bonini; il copione è stato rivisto e aggiornato al nostro presente, trovando punti di ancoraggio con nodi problematici della società odierna. La sceneggiatura è di Filippo Gravino con Carlo Bonini, Elisa Dondi e Luca Giordano. Protagonisti i bravi Marco Giallini, Adriano Giannini, Valentina Bellè e Pierluigi Gigante.

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La storia. Val di Susa, è una notte di tensione e scontri tra dimostranti e celerini. Una squadra della Mobile di Roma finisce sotto inchiesta perché nel conflitto si è registrato un violento accanimento ai danni di un ragazzo. Tornati a Roma, Mazinga, Marta e Salvatore vengono interrogati sui fatti; nel mentre, si aggiunge alla squadra Michele, che ha un passato di valore nell’arma. I loro temperamenti collidono, accesi da brucianti problemi personali, solitudini e sofferenze, salvo poi trovare lampi di solidarietà per appartenenza all’arma.

“La violenza – dichiara il regista – è un tema che ho sempre provato ad esplorare nei miei lavori. In ‘Acab’ la violenza viaggia su due binari paralleli, c’è quella visibile, fisica, messa in scena negli scontri. Poi c’è un’altra violenza, che viaggia più sotterranea e minacciosa, che condiziona in maniera più profonda i personaggi e le loro relazioni”.

La miniserie diretta da Alhaique si posiziona chiaramente nel perimetro dei titoli Cattleya-Sollima – tra titoli di punta “Romanzo criminale. La serie” (2008-10), “Gomorra. La serie” (2014-21), “Suburra” (2015) e “ZeroZeroZero” (2020) –, disegnando una contemporaneità ammantata da atmosfere fosche e disperanti, dove si fa fatica a cogliere appigli di speranza. Un quotidiano che risucchia come sabbie mobili, tra problemi sul lavoro e con una vita privata in caduta libera. I poliziotti della Mobile vengono presentati nelle prime sequenze come duri “manganellatori”, per poi allargare il campo dello sguardo sulle loro esistenze, lasciando emergere tutta la loro fragilità, tra irrisolti nel passato e sventure angoscianti nelle pieghe familiari (violenze domestiche, abusi, solitudine, raggiri, ecc.). Un modo per dare complessità ai profili dei personaggi e sottrarli alla polarizzazione bianco-nero, giusto-sbagliato; quasi una voler spingere lo spettatore a interrogarsi sull’origine di tali durezza e rabbia in ambito lavorativo.

Il problema, però, a livello tematico riguarda il fatto che al di là della comprensione delle difficoltà di queste esistenze fragili nulla può giustificare una gestione della legalità inquinata da violenza. I traumi nel privato non possono depenalizzare azioni commesse fuori dalle regole: un reato è un reato, senza se e ma. Per questo motivo la miniserie “Acab”, seppur seducente e convincente per stile di regia e tensione di racconto, corre su un binario altamente rischioso, dove il confine della legalità (e della moralità) è spesso sfumato. Troppo. Serie complessa, problematica.

“Il Conte di Montecristo” (Rai Uno-RaiPlay, 13.01, 8 episodi)
Presentata in anteprima alla 19a Festa del Cinema di Roma (2024), la serie “Il Conte di Montecristo” è uno dei titoli di punta della nuova stagione Rai, in onda dal 13 gennaio 2025 per quattro prime serate (in tutto otto episodi da 50’). Alla base c’è sempre il classico di Alexandre Dumas, il viaggio esistenziale dell’eroe tragico Edmond Dantès, raccontato nella sua parabola di caduta e risalita, puntellata da un senso di rivalsa e vendetta. Realizzata da una cordata produttiva internazionale guidata da Palomar, la serie “Il Conte di Montecristo” è diretta dal regista danese Bille August, su un copione firmato da Sandro Petraglia, Lorenzo Bagnatori, Eleonora Bordi e Michela Straniero. Protagonista un ottimo Sam Claflin, affiancato da Jeremy Irons, Ana Girardot, Blake Ritson, Lino Guanciale, Michele Riondino e Gabriella Pession.

La storia. Marsiglia, inizio ‘800. Edmond Dantès viene nominato capitano del Pharaon e si sta per sposare con l’amata Mercedes. Un complotto, però, è ordito alle sue spalle: accusato di essere un cospiratore bonapartista, viene arrestato e sbattuto nel Castello d’If. Dopo dieci lunghi anni, grazie all’aiuto dell’Abate Faria, Edmond riesce a evadere e a pianificare una vendetta. Vuole riprendersi la vita che gli è stata tolta…

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(Ph. Claudio Modugno)

“Il conte di Montecristo è una delle più grandi storie di vendetta mai raccontate”. Così il regista August, che aggiunge: “[è] il viaggio del protagonista, Edmond Dantès, nel suo percorso di vendetta nei confronti degli uomini che gli hanno rubato venti anni di vita e il suo unico vero amore. In questa sua implacabile ricerca, Edmond tesse intrichi raffinatamente spietati, intrappolando non solo i suoi nemici, ma tutti quelli che entrano nella sua orbita, gettando luce e speranza sull’umanità e restituendo anche a noi la fiducia nel potere salvifico dell’amore”.

Il regista governa in maniera solida un racconto di complessità e respiro, portando la sua esperienza maturata sui grandi romanzi del passato (tra i suoi lavori “La casa degli spiriti” del 1993 e “I miserabili” del 1998). La narrazione viaggia spedita, con una chiara tensione narrativa, ben sorretta da un valido cast e soprattutto da una messa in scena accurata, raffinata. Il tema della vendetta qui assume ben altre sfumature rispetto ad “Acab”, “disinnescato” anzitutto dalla distanza temporale della storia e da una formula narrativa più elegante e meno fagocitante, marcata da poesia. È una suggestione di matrice classica, forte dell’ossatura narrativa di Dumas, dove lo spettatore non è “forzato” a empatizzare con il protagonista e la sua tragedia, libero di maturare una propria riflessione. Una serie che vanta un’indubbia qualità visiva e narrativa, pronta a lasciarsi apprezzare da un nuovo pubblico. Consigliabile, problematica, per dibattiti.

(Ph. Claudio Iannone)





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