da Antonio “U pazzu” al sequestro di 650mila euro​​​

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BRESCIA – Non solo Antonio Bruzzaniti, “U pazzu”, è coinvolto nell’inchiesta che avrebbe rivelato la cannibalizzazione delle aziende di Pasquale Lamberti, l’imprenditore di Monza svanito nel nulla nel luglio 2021 alcuni mesi dopo avere svenduto in circostanze mai chiarite le sue floride società. Anche il nipote Leone (“Leo U Niru“), 65 anni, di Africo, Reggio Calabria, per gli inquirenti con lo zio Antonio ai vertici del clan ‘ndranghetista Morabito-Bruzzaniti-Palamara, figura tra i nove indagati, di cui cinque sono in misura cautelare. In carcere sono finiti Antonio Bruzzaniti, 69enne calabrese residente a Cambiago (Mi) e Claudio Mancini, 59 anni, di Campobasso, di casa a Milano. Ai domiciliari il commercialista Gabriele Abbiati, 51enne di Seregno (Mi) e Fabio Bonasegale, 56enne di Chiavenna (So).

Interdittiva alle attività imprenditoriali per 12 mesi per Domenico Carignano, 52enne broker di Taranto. Bancarotta fraudolenta, indebita percezione di erogazioni pubbliche, malversazione, ricorso abusivo al credito e reati tributari sono le contestazioni mosse a vario titolo ai protagonisti, a carico dei quali c’è un sequestro per equivalente di 650mila euro. E un sequestro preventivo pari ad almeno 2,5 milioni e mezzo, la cifretta che stando all’accusa gli indagati avrebbero depredato dalle società un tempo di Lamberti.

La procura aveva chiesto la misura cautelare anche per Leone Bruzzaniti, accusato di bancarotta fraudolenta solo per alcune distrazioni, ma il gip, Angela Corvi, essendo lo stesso già in carcere, non ha ritenuto sussistenti le esigenze cautelari. A Brescia su questa storia si iniziò a indagare solo dopo che la procura di Monza aveva già aperto un fascicolo per scomparsa del titolare di UCL srl, una ditta zootecnica di Brescia che fino al 2020 fatturava 7 milioni di euro, e Cadel srl di Monza, la controllante. I carabinieri presero a monitorare alcuni soggetti contigui alla criminalità organizzata che parevano gravitare attorno alle società, mentre le Fiamme gialle svilupparono un esposto del collegio sindacale di UCL per presunte intimidazioni e irregolarità. Subito vennero a galla magheggi tra Saint Moritz e la Puglia e vorticosi passaggi di quote. Cadel srl il 9 settembre 2020 passò alla holding elvetica BFB Bau &Service Ag, a seguire a Nanotech srl e Kiwi srl, in Puglia. Poco dopo fu ceduta anche Ucl, a un prezzo ritenuto irrisorio, e nel giro di un paio d’anni andò a gambe all’aria.

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Nelle aziende, dove si iniziò a notare l’emissione di fatture false, spuntarono nuove figure: Abbiati, nuovo amministratore, e Mancini, trascorsi per rapine, furti, armi e pure un omicidio volontario, che prese a comportarsi da padrone – fece assumere la zia, la compagna, la figliastra – a girare in Lamborghini, Mercedes, Range Rover, tutto a spese delle ditte. Nell’organigramma di UCL spuntò Antonio Bruzzaniti – 26 anni di carcere già scontati per associazione mafiosa, traffico di droga, armi – “assistente alla vendita” stipendiato e dotato di Mercedes aziendale.

E poi, appunto, il nipote Leone, assunto da Cadel come consulente immobiliare senza sapere granché: “Leo U Niro“, di casa in Calabria, solo una volta avrebbe messo piede in azienda, durante il lockdown per Covid, così da ottenere un permesso di circolazione. Rispondeva con aria interrogativa alle telefonate delle segretarie, non sapendo chi fossero. Percepiva però uno stipendio, aveva un’Alfa Romeo aziendale e benefit, tra cui il dentista gratis. Il 18 ottobre 2021 è Mancini a fissargli una visita a Saronno (“Per mio cugino, appena arrivato dalla Calabria”) e a chiarire allo zio Antonio che avrebbe pensato lui al pagamento (“Ci penso a tutto io, è tuo nipote, oh, è di famiglia”).

Il 65enne sale al Nord con la moglie, una delle sue poche gite in Lombardia. L’intervento costa 16.790 euro, saldati con bonifico emesso da Cadel srl a MM Dental Service il 25 ottobre seguente. Stando al giudice sebbene la procura abbia abbandonato l’idea originaria di contestare il metodo mafioso, “emerge in maniera cristallina come gli indagati facessero delle intimidazione il loro ‘metodo di lavoro’, non solo e non tanto evocando la fama criminale della famiglia Bruzzaniti, cui Mancini menzionava all’interlocutore di turno… ma proprio minacciando e terrorizzando dipendenti e collaboratori”. Ripetutamente interrogati sulle attività all’interno dell’azienda e circa i rapporti con terzi, pesantemente esortati a non dire nulla di quanto avviene in UCL, spinti con la minaccia a interrompere i rapporti con soggetti ritenuti sgraditi o cacciati. Pratiche attuate per l’accusa soprattutto da Mancini, spalleggiato “dalla presenza silenziosa eppure fortemente intimidatoria di Antonio Bruzzaniti”.



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