Export armamenti, tutti i numeri dell’Italia. Report Mediobanca

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“Esportare armi dall’Italia rispettando le leggi comporta un certo onere e numerosi passaggi burocratici”.

È quanto evidenzia il rapporto dell’area studi di Mediobanca sul Sistema Difesa riguardo la Disciplina legislativa che regola la commercializzazione degli armamenti e i flussi di esportazione e importazione del nostro paese, che “solo le aziende che sono in grado di adempiere e sopportarne i costi appartengono realmente al complesso industriale italiano della Difesa e ne costituiscono il nucleo forte”.

A regolare la materia è il disegno di Legge convertito nella Legge n.185 del 9 luglio del 1990 intitolata “Nuove norme sul controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento”, presentato il 9 dicembre 1987 dall’allora Ministro della Difesa, Valerio Zanone, a nome del governo Goria. Ovvero la legge in base la quale, per esempio, era vietata l’esportazione di bombe e missili verso l’Arabia Saudita così come agli Emirati Arabi Uniti, per impedirne l’utilizzo nel conflitto nello Yemen (embarghi entrambi revocati).

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Ecco la ricostruzione dall’area studi di Mediobanca sulla genesi della normativa e i numeri dell’export di armamenti del nostro paese.

L’EXPORT MILITARE PRE LEGGE N.185/1990

Prima dell’entrata in vigore della Legge n.185/1990, l’esportazione di armamenti in Italia era regolata da disposizioni generali che disciplinavano il commercio con l’estero, ricorda il rapporto di Mediobanca.

La crescita delle esportazioni di armi italiane iniziò alla fine degli anni Settanta e raggiunse i massimi livelli nei primi anni Ottanta. La destinazione principale era rappresentata dai Paesi del Sud del mondo. Da questi proveniva una domanda orientata prevalentemente verso prodotti tecnologicamente di medio livello e non soggetta a restrizioni politiche. La politica italiana delle esportazioni di armi era quindi caratterizzata da criteri commerciali, senza tener conto del livello di protezione dei diritti umani garantito dai Paesi importatori, evidenzia Mediobanca.

I TRE ASPETTI PRINCIPALI DELLA LEGGE N.185/1990

A seguito della presentazione di numerose proposte di Legge durante varie legislature a partire dagli anni Settanta e dopo oltre cinque anni di dibattito parlamentare, nel 1990 venne promulgata la legge n.185. Fino a quel momento, e per quasi 50 anni, era infatti sostanzialmente rimasto in vigore il Regio Decreto n. 1161 dell’11 luglio 1941 (firmato da Mussolini, Ciano, Teruzzi e Grandi). Quest’ultimo aveva sottoposto l’intera materia al “segreto di Stato” sottraendola a ogni controllo del Parlamento, rammenta il rapporto.

Secondo Mediobanca, la Legge n.185/1990 si caratterizza per tre aspetti: primo, richiede che le decisioni sulle esportazioni di armamenti siano conformi alla politica estera e di Difesa dello Stato secondo i principi della Costituzione repubblicana che all’articolo 11 dichiara: “l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”; secondo, richiede un sistema di controlli da parte del Governo, con specifiche procedure di rilascio delle autorizzazioni prima della vendita ed esportazione e modalità di controllo sulla destinazione finale degli armamenti e terzo, prevede che ogni anno il Presidente del Consiglio dei Ministri fornisca al Parlamento una Relazione sulle operazioni di esportazione, importazione e transito di armi avvenute nell’anno precedente che comprenda le relazioni dei vari ministeri a cui sono affidate diverse competenze in materia di esportazioni di armamenti.

IL MECCANISMO DELLE AUTORIZZAZIONI

Le autorizzazioni di cui al punto due sono così sintetizzabili: l’azienda che vuole esportare deve richiedere l’autorizzazione al Governo. I destinatari possono essere solo governi esteri o imprese da questi autorizzati. Inoltre, alla richiesta va allegato un Certificato di Uso Finale (CUF) rilasciato dal Governo destinatario e attestante che il materiale sarà esportato per proprio uso e che non sarà riesportato.

I PAESI VERSO CUI È VIETATO ESPORTARE ARMI

La legge n.185/1990 vieta l’esportazione di armamenti verso: Paesi in stato di conflitto armato; Paesi la cui politica contrasti con il citato Articolo 11 della Costituzione italiana; Paesi sotto embargo totale o parziale delle forniture belliche da parte dell’Onu o dell’Ue; Paesi responsabili di accertate gravi violazioni alle Convenzioni sui diritti umani; Paesi che, ricevendo aiuti dall’Italia, destinino al proprio bilancio militare risorse eccedenti le esigenze di Difesa del Paese, riassume Mediobanca.

L’AGGIORNAMENTO CON IL DL N.105 DEL 2012

Il decreto legislativo 22 giugno 2012, n. 105 ha modificato la legge n.185/1990, in attuazione della Direttiva 2009/43/CE. Questa semplifica le modalità e le condizioni dei trasferimenti all’interno delle Comunità Europea di prodotti per la Difesa.

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Come spiega Mediobanca, tale aggiornamento servì ad adeguare il sistema dei controlli ai cambiamenti intervenuti nel commercio di armi, settore in cui la globalizzazione ha provocato profonde trasformazioni a livello europeo e internazionale: le maggiori società della Difesa sono infatti progressivamente diventate multinazionali, con partecipazioni incrociate e co-produzioni in progetti internazionali.

IL DDL DI MODIFICA APPROVATO DAL GOVERNO MELONI NELL’AGOSTO 2023

Lo studio di Mediobanca non menziona poi il ddl di modifica della legge 9 luglio 1990, n. 185.

Il 3 agosto 2023 infatti il Consiglio dei ministri, su proposta del ministro degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale Antonio Tajani, aveva approvato un disegno di legge per introdurre modifiche alla legge 9 luglio 1990, n. 185.

Lo scorso 21 febbraio l’Aula del Senato ha approvato il ddl di iniziativa governativa che detta nuove norme per il controllo dell’esportazione, importazione e transito di materiali di armamento. Con il provvedimento si introducono “alcuni aggiornamenti” al fine di “rendere la normativa nazionale più rispondente alle sfide derivanti dall’evoluzione del contesto internazionale”. È quanto si legge nella relazione al provvedimento che consta di un solo articolo  giunto all’esame della Camera.

COSA EMERGE DALLA RELAZIONE AL PARLAMENTO DEL 2024

Tornando al rapporto di Mediobanca, si legge che la prima Relazione annuale di cui al punto tre risale al 9 maggio 1991 quando Giulio Andreotti, allora Presidente del Consiglio, la inviò alle Camere.

La Relazione più recente è datata 25 marzo 2024 e si compone di tre Volumi curati, rispettivamente, dai Ministeri degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, della Difesa e dell’Interno e dal Ministero dell’Economia e delle Finanze. Secondo la suddetta Relazione, nel 2023 il valore complessivo delle licenze di esportazione e importazione di materiali d’armamento è di 7,563 miliardi di euro, in crescita del 25,7% rispetto ai 6,017 miliardi del 2022. Di tale cifra complessiva, 6,312 miliardi sono movimentazioni in uscita dall’Italia e 1,251 miliardi in entrata. Il numero di Paesi destinatari delle licenze di esportazione è 83 (84 nel 2022) e il numero delle licenze risulta 2.101 (2.155 nel 2022).

Nel 2023, come già nei quattro anni precedenti, nessun Paese è risultato destinatario di autorizzazioni per un valore complessivo superiore al miliardo di euro, precisa il rapporto.

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IL VALORE DELL’EXPORT DI ARMAMENTI

Il valore delle esportazioni verso i Paesi Ue/Nato risulta pari al 56% del totale (con 1.516 autorizzazioni), mentre il restante 44% ha interessato altri Paesi (585 autorizzazioni). Si tratta della conferma di una tendenziale crescita costante delle esportazioni verso Paesi Ue/Nato, iniziata nel 2018. Il valore esportato verso le nazioni Ue/Nato è diretto per il 37,4% verso Paesi esclusivamente membri Nato (Stati Uniti, Regno Unito, Canada, Norvegia, Turchia, Albania, Macedonia del Nord) e per il 62,6% verso Paesi Ue indipendentemente dalla loro adesione al Trattato Atlantico, segnala Mediobanca.

FRANCIA PRIMO PAESE DESTINATARIO DI EXPORT MILITARE, SEGUITA DA UCRAINA E USA

Tra i primi 25 Paesi destinatari delle esportazioni italiane nel 2023, la Francia sale al primo posto con 465,4 milioni di euro (dal sesto nel 2022), davanti all’Ucraina (49ma nel 2022) con 417,3 milioni, che sostituisce gli Stati Uniti (390,3 milioni), scesi al terzo.  Seguono l’Arabia Saudita (nona nel 2022) con 363,1 milioni, il Regno Unito (ottavo nel 2022) con 277,6 milioni e la Turchia con 231,3 milioni che era in prima posizione nel 2022. Il dato relativo all’Ucraina evidenzia come il conflitto in corso, dopo una prima fase in cui l’assistenza militare fu gestita quasi interamente tramite le forniture organizzate dal Ministero della Difesa (che non necessitano di licenza UAMA-Unità per le Autorizzazioni dei Materiali d’Armamento), nel 2023 ha visto un maggiore apporto del settore privato.

IL CASO ISRAELIANO

Per quanto riguarda Israele, nel 2023 il valore delle esportazioni autorizzate (9,9 milioni) è rimasto stabile rispetto all’anno precedente mentre, dopo l’avvio delle operazioni su Gaza in reazione all’assalto condotto da Hamas il 7 ottobre 2023, è stata sospesa la concessione di nuove autorizzazioni.

LEONARDO, RWM ITALIA, IDV E AVIO LE PRIMA QUATTRO AZIENDE ESPORTATRICI DI ARMAMENTI

In relazione alle aziende esportatrici, i dati del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale evidenziano come nel 2023 le prime 15 società esportatrici cumulino il 91,9% del valore totale delle autorizzazioni. I primi quattro operatori del settore sono Leonardo (26,96%), RWM Italia (12,88%), Iveco Defence Vehicles (11,27%) e Avio (8,17%). Le quattro aziende da sole rappresentano circa il 59% del valore degli scambi. A Leonardo, in particolare, è destinato il 20,7% del totale delle licenze (434 su 2.101). Inoltre, i primi 15 operatori cubano il 52,0% delle autorizzazioni (1.092 su 2.101).

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I NUMERI DELL’IMPORT

Infine, riguardo alle importazioni, la Relazione evidenzia come nel 2023 il valore delle 478 licenze di importazione sia di 1.250,7 milioni di euro (727,7 milioni del 2022), di cui il 40,46% proviene dagli Stati Uniti (506 milioni), il 26,63% dalla Svizzera, l’11,41% dal Regno Unito, l’8,91% dall’India e il 5,64% dal Canada.



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