L’Abbaglio di Roberto Andò, recensione- FRAMED Magazine

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È possibile, nel 2025, trovare una strada nuova per riportare sullo schermo la Storia, rendendola viva come non mai? L’abbaglio di Roberto Andò ci riesce eccome, appellandosi agli stilemi della commedia all’italiana, sorprendendo il suo pubblico per la complessità trattata, che esplora sapientemente attraverso i suoi personaggi.

Tre attori che si ritrovano

Dopo il successo ottenuto con La Stranezza, Roberto Andò torna al cinema con un altro macro-racconto, stavolta quello del Risorgimento e dell’avanzata di Garibaldi e dei suoi soldati, che raccoglie micro-storie di uomini che si incontrano sulla strada del cambiamento, per acquisire una diversa consapevolezza di sé, per trovare ciò che era sempre mancato nelle loro esistenze. Ritroviamo un trio di attori ormai fortunato: quello composto da Toni Servillo, Salvo Ficarra e Valentino Picone. La perplessità iniziale di trovarli ancora insieme, e con loro il timore di assistere ad una sorta di derivazione del film precedente, si dissolve totalmente di fronte a un’opera completamente diversa, che ne conferma il talento, oltre che la capacità di allinearsi a favore della narrazione, posta in primo piano e frutto di una sceneggiatura ben scritta (firmata dallo stesso Andò insieme a Ugo Chiti e Massimo Gaudioso).

I loro personaggi si trovano inizialmente distanti per indole e desideri: Vincenzo Giordano Orsini (Toni Servillo) è un aristocratico che ha scelto di seguire la via della democrazia partecipando alla spedizione dei Mille a fianco di Garibaldi (interpretato da un eccezionale e trasformista Tommaso Ragno), Domenico Tricò (Salvo Ficarra) è un uomo emigrato da anni al Nord, che vuole tornare in Sicilia per raggiungere la sua amata, convinto che dopo tanto tempo sia ancora lì ad aspettarlo, Rosario Spitale (Valentino Picone) è un illusionista, un bugiardo, un baro che per famiglia ha solo un mazzo di carte. La Storia li investirà, modificandone i destini e anche la volontà.

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La partenza per Palermo è un primo passo verso un futuro ancora da definire, profondamente incerto e ricco di possibilità, difficile da afferrare come un sogno sbiadito. Questi tre siciliani, persi tra centinaia di idealisti provenienti da tutta Italia, torneranno nella loro terra comprendendola forse per la prima volta.

L’Abbaglio di Roberto Andò, 2024. Foto di Lia Pasqualino.

Avvincente e appassionato

L’Abbaglio raccoglie la commedia, il dramma, la riflessione impegnata: non è un caso che lo stesso sceneggiatore Ugo Chiti menzioni i protagonisti de La grande guerra di Monicelli per descrivere i due personaggi che con la spedizione e l’impegno politico hanno inizialmente poco a che fare.

Prima di tutto però a sorprendere del film di Andò è la natura avvincente di un grande affresco storico, appassionato e credibile, dove lo scontro, la tragedia della morte sul campo di battaglia, e la delusione di vedere sfumata la prospettiva di una rivoluzione, sono i temi meglio espressi attraverso cui capiamo le sfumature dei protagonisti, a partire dal colonnello Orsini, che comprende solo infine, a molti anni di distanza dalla spedizione, che strada abbia preso il suo Paese, e perché sia accaduto.

L’azione spalanca i suoi confini sullo schermo rendendo tangibili per chi guarda i suoi effetti devastanti; la battaglia è ciò che raccoglie tutti nell’incertezza della propria sopravvivenza, ponendo fine a molte vite, e ribaltando quell’entusiasmo iniziale che riempiva gli uomini in partenza per la propria Italia. Con grande cura nei confronti della ricostruzione storica, L’Abbaglio ha una resa tutt’altro che statica, trasmettendo al suo pubblico non solo dei duetti riusciti tra i due personaggi più “tragicomici” della narrazione, quelli di Ficarra e Picone, ma una vera e propria rappresentazione della guerra più cruda, sperimentata tra sangue, polvere e idee.

L’Abbaglio di Roberto Andò. Foto di Lia Pasqualino.

Fragile e colmo di dubbi

A completare il quadro dell’azione è poi la psicologia degli uomini e delle donne coinvolti. Andò entra da una porta laterale, si allontana dai libri di storia, dalla lettura critica e dalle notizie più conosciute, la sua fortuna è quella di scegliere di trattare una serie di dubbi, trovando un forte e immediato legame con il presente, che brucia i decenni di distanza come se fossero minuti.

Chiunque in questa storia si appresti ad agire, o a guardarsi bene dal farlo, vive nell’incertezza di un esito che neanche si immagina. Dove i compromessi della storia piegano lo stesso Garibaldi, l’esitazione colpisce anche Orsini, che ha scelto una strada politica completamente diversa da quella perpetrata dalla sua famiglia, e che anche dopo la fine della missione andrà alla ricerca di qualcosa di irraggiungibile, un senso rimasto sfocato.

In breve

L’abbaglio di Roberto Andò è un film che parla direttamente a noi, qui nel 2025, attraverso la vicenda distante di un sogno mai realizzato completamente, figlio del Risorgimento e sottomesso a logiche politiche e sociali che ne hanno stravolto la prospettiva.

La scelta del linguaggio si posa sugli stilemi della commedia all’italiana, l’ombra di un seguito de La Stranezza si dissolve grazie a un cast convincente e di talento. Scardina la Storia più polverosa e ridondante per affidarsi all’esposizione del singolo, al dubbio lecito, alla paura per ciò che verrà.

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Al cinema dal 16 gennaio, con la regia di Roberto Andò, la sceneggiatura dello stesso Andò con Ugo Chiti e Massimo Gaudioso, e la colonna sonora composta da Michele Braga ed Emanuele Bossi ed edita da Edizioni Curci.

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